DEI NOMI DIVINI
Porfirio chiede perché i sacerdoti usino dei nomi che non significano niente. Giamblico risponde che tutti i nomi di questo genere significano qualcosa presso gli dei e per quanto di alcuni i significati siano ignoti, di altri invece sono noti, poiché ne abbiamo avuto l'interpretazione dagli dei. Tuttavia il modo di significarli è del tutto ineffabile e non secondo immaginazione umana, ma secondo l'intelletto che in noi è divino o piuttosto in un modo più semplice ed utile, secondo l'intelletto unito agli dei.
Bisogna togliere perciò dai nomi divini ogni pensiero e discorso razionale e la connessione naturale della radice di esso con le cose poste nella natura e pochè il carattere simbolico della similitudine divina è intellettuale e divino; così questo stesso fatto dobbiamo supporre ed accogliere in ogni cosa; e per il fatto che è così, è specialmente venerabile; od è tanto più elevato, perché non entra nella nostra conoscenza; ed in questi nomi divini abbiamo accolto per influsso divino la risoluzione delle cose divine, in essi abbiamo compresa tutta la conoscenza dell'essenza, della potenza e dell'ordine divino col nome stesso e conserviamo nell'animo un'immagine mistica ineffabile e completa degli dei ed attraverso queste cose eleviamo l'anima agli dei, ed una volta elevata, la uniamo ad essi, a seconda delle nostre forze.
Inoltre si chiede, perchè, fra i nomi divini, preferiamo quelli stranieri agli altri; perchè gli dei approvano la lingua dei popoli sacri, cioè gli Egizi e gli Assiri, come specialmente adatta alle cose sacre; e perchè pensiamo che le antiche voci e modi di parlare si devono usare come legati alla dizione e preghiera agli dei: perché questo più antico modo di parlare, fu il primo ad essere in vigore; e perchè i primi nomi furono accolti per ispirazione divina e poi mescolati nella lingua comune con uso famigliare, adattati da un significato consentaneo ad essa, così ce li tramandarono da conservare in perpetuo.
Noi quindi dobbiamo conservare la stessa regola della tradizione secondo il rito. Se, infatti, qualcosa conviene agli dei, questo è eterno immutabile, ed oltre ogni cosa legato ad essi. A proposito di questo, Porfirio dice che quando si sente nella voce di un nome divino l'esistenza di significato, la conoscenza in esso si rivela, qualunque sia la dizione.
Giambilco risponde che anche interpretando in questo modo la cosa non è così, come si pensa; infatti se i nomi fossero stati posti per un patto convenuto fra gli uomini, non importerebbe niente cambiarli con altri. Se invece furono adattati alla natura delle cose che specialmente sono in armonia con questo fatto, essi sono assai graditi agli dei; da ciò appare chiaramente che la lingua delle genti sacre è superiore a qualsiasi altra razionale.
Infatti non conserve il medesimo valore dei nomi interpretati in altra lingua; ma vi sono alcune voci proprie a singole genti, che non possono in alcun modo essere tradotte in altra lingua; si aggiunge a ciò il fatto che, se possiamo interpretare le proprietà dei significati da un'altra lingua, tuttavia i nomi usati non conservano la medesima potenza; inoltre i nomi stranieri hanno molta enfasi ed efficacia di intuizioni e significato, e concisa brevità, pochissima ambiguità, e varietà e moltitudine di termini; per tutte queste cose sono sommamente adatte agli dei.
Lascia quindi i sospetti lontani dalla verità per cui pensi che la lingua egizia ti porti al fatto che dove c'è un termine egizio, o l'uso della lingua egiziana, li vi sia la possibilità di un'invocazione. Piuttosto pensa che, poiché gli Egizi per primi fra tutti ottennero in sorte la presenza e la partecipazione degli dei, perciò gli dei sono particolarmente favorevoli al supplice che invoca secondo il rito egizio e non si può dire che questi riti stranieri siano oscuri e che i nomi divini siano stregonerie da prestigiatori o maghi, perché solo per il fatto che sono particolarmente aderenti agli dei, ci congiungono ad essi ed hanno forze aderenti quasi eguali agli dei, e sono fantastici buoni senza i quali nessuna opera ottiene il suo effetto nei sacrifici.
Ma neanche queste modalità esteriori si compiono per mezzo delle nostre passioni attribuite dall'opinione comune al divino.
Infatti non partendo da ciò che noi stessi sopportiamo, ma da quanto è proprio degli dei, diamo a questi termini un'interpretazione secondo la natura divina. Così non giungiamo a conoscenze contrarie alla divinità. Al contrario, quando una cosa si mantiene vera, è aderente alla sua natura, e come i primi che ci tramandarono le leggi della santità del culto religioso hanno raggiunto in questo modo la verità, così noi dobbiamo perseverare in esse; infatti se c'è qualcosa che piace particolarmente al dio nelle sacre leggi e nei riti, è proprio la continuità che è al dio particolarmente adatta. E' importante, quindi, che i riti dell'adorazione, siano sempre conservati intatti, senza togliere od aggiungere niente, come era nei tempi antichi, perché tutti i nomi e le preghiere non siano diminuite nel loro valore; in vero quasi certamente a ciò è dovuto il fatto che ad un tratto tutto, e nomi e preghiere, sino affievoliti, poiché a causa della stessa prevaricazione e smania di innovare sempre sono stai mutati e non finiscono mai di essere mutati.
I greci, infatti, sono per natura desiderosi di novità; e si lasciano trasportare facilmente come una nave priva di timone, senza avere alcuna costanza e non conservano quanto accolsero da altri. Ma lasciamo presto da parte questa o quest'altra cosa e sogliono trasformare tutto per la loro incostanza e per seguire lo sviluppo di nuove invenzioni; gli stranieri, invece, come sono tradizionalisti e fermi nelle loro usanze, così conservano sempre lo stesso modo di parlare e per questa loro fermezza sono assai amici degli dei; ed offrono loro preghiere gradite che non è lecito cambiare per nessuna ragione.
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