DIGNITA’ DELL’UOMO
DIGNITA’ DELL’UOMO
(Volgarizzazione da PICO DELLA MIRANDOLA
-Opera, Basilea, 1601, P.107 segg.-di B.Cicognani)
Lessi negli antichi libri degli Arabi che interrogato Abdala saraceno quale, ai suoi occhi, in questa scena del mondo, fosse lo spettacolo più meraviglioso, rispose che nulla vedeva più maraviglioso dell’uomo. Il che s’accorda con quella esclamazione di Hermes: « Grande miracolo, o Asclepide, è l’uomo! ».
Ora, a me che meditavo la ragione di tali giudizi, non persuadevano affatto quelle che soglion esser portate a proposito della superiorità dell’umana natura: che l’uomo è messaggero fra le creature, familiare che le divinità, re degli esseri inferiori per l’acutezza dei sensi, per l’indagine della mente, per il lume dell’intelletto, interprete della natura, quasi interstizio tra l’eterno immobile e il tempo che va, o, al dir dei Persiani, congiungimento del mondo, frutto, anzi, di queste nozze perenni, appena un poco (secondo che David attesta) da meno degli angeli.
Ragioni, queste, sì di gran conto, ma non essenziali, che spieghino il privilegio della somma meravigliosità. Perché infatti, perché non s’ammiran di più gli stessi angeli e beatissimi cori celesti?
Finalmente m’è parso di aver capito perché felicissimo e quindi degno d’ogni ammirazione sia l’uomo, e quale sia, nella serie dell’Universo, la condizione ch’egli ha sortito, invidiabile non solo dai bruti, ma dagli astri, ma dalle intelligenze ultramondane. Cosa di là dalla credibilità e dalla maraviglia…
Ecco: già il Sommo Padre e architetto Iddio aveva, con leggi d’arcana sapienza , creata questa che noi vediamo casa mondana della divinità, augustissimo tempio. Al di sopra, aveva abbellito di intelligenze la regione celeste, avvivato d’anime eterne gli eterei globi, popolato d’ogni più varia forma d’animali le parti putrescenti e fermentanti del mondo inferiore.
Ma, finito il lavoro, l’Artefice desiderava che alcuno fosse il quale di tanta opera intendesse la ragione, ne amasse la bellezza, ne ammirasse la grandiosità. Per questo, da ultimo, quando tutto era stato già portato a compimento, pensò di produrre l’uomo. Non c’era, però, negli archetipi di che affigiare una nuova forma, e nei tesori cosa elargire al nuovo figlio in eredità, e nelle sedi di tutto il mondo non v’era dove, contemplatore dell’universo, potesse, quegli, assidersi. Ogni spazio pieno; tutto già distribuito ai sommi, ai medi, agli infimi ordini. Ma non sarebbe stato della potestà del Padre, all’ultimo del generare, quasi per esaurimento venir meno; non della somma Sapienza aver esitato per mancanza d’espediente nella necessità, né del beneficante Amore che quegli chiamato a lodare nelle altre creature la liberalità divina fosse stato costretto a rammaricarsene verso di sé.
Statuì quindi, alla fine, l’ottimo Supremo Autore, che ha quello a cui non poteva esser dato nulla di proprio, fosse comune tutto ciò che singolarmente alle altre creature era stato dato in particolare. Creò dunque l’uomo – quest’opera di tipo indefinito – e postolo nel mezzo dell’Universo così gli parlo:
« Né determinata sede, né proprio aspetto, né dono veruno speciale, o Adamo, t’abbiamo dato, affinché quella sede, quell’aspetto, qui doni che coscientemente tu abbia bramato, quelli, di tua volontà, per tuo sentimento, tu abbia e possegga.
L’altrui definita natura è costretta entro leggi da noi prescritte, tu, non costretto entro chiusa veruna, di tuo arbitrio, nel cui poter t’ho posto, di per te stesso te le prescriverai. T’ho collocato nel mezzo del mondo perché d’intorno più comodamente tu vegga quel che esiste nel mondo. Non ti facemmo né celeste né terreno, né mortale né immortale affinché tu di te stesso a tuo talento e per così dire onorario plasmatore ed effigiatore, prenda la forma che coscientemente avrai scelto. Potrai degenerare in quelle inferiori che sono brute. Potrai, per decisione dell’animo tuo, rigenerarti nelle superiori che sono divine ».
O somma liberalità di Dio Padre, somma e maravigliosa felicità dell’uomo! A cui è dato di aver ciò ch’ei brami, di essere ciò che voglia. I bruti, appena nascono, traggono seco dalla vagina materna quello possederanno. I sommi spiriti, fin dal principio o subito dopo, furono quel che in eterno saranno. All’uomo, nel nascere, il Padre diè ogni vario seme e i germi d’ogni specie di vita. Quali ciascuno avrà coltivato, codesti alligneranno e in lui produrranno i loro frutti. Se vegetali, diverrà pianta; se sensuali, diverrà bruto; se razioni, escirà anima celeste; se intellettuale, angelo sarà e figlio di Dio. E se avvenga mai che, di nessuna delle creature pago, si raccolga nel centro della sua unità, diventato allora uno spirito solo con Dio, nella solitaria tenebra del Padre che è costituito su tutte le cose, sovrasterà tutti.
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