SOMMARIO: Le influenze delle energie universali sul nostro corpo — La sensibilità magnetica varia da uomo a uomo — Il sistema nervoso è lo scheletro della sensibilità del corpo lunare — Le attività comuni al­l'uomo e alla natura cosmica — La volontà e l’intelletto del mondo — Il Dio Pane — La scrittura della Creazione — Signa rerum — L’intel­ligenza della natura non può morire — Il linguaggio dei rapporti analo­gici — L’uomo può disporre delle forze cosmiche che gli occorrono — Le forze cosmiche in rapporto alle infermità umane — L’aura molecolare — L’epilessia è male di origine magnetica — La cura della nevrosi nella novella psichiatria — La materia è unica perchè cosmica — Il cervello umano e la sua funzione — Il pensiero ed il suo enigma — Il pensiero è 1'essere — La neutralità è necessaria per giudicare esattamente le sensa­zioni — L’individuo storico — Il pensiero ritenuto prova della vita ani­male dell'uomo — Pitagora ed il silenzio — Il pensiero è di tre catego­rie — Nel silenzio parla il Nume — La Chiesa Cattolica e le catene delle anime oranti — La fede collettiva è atto d’imperio — Il medico e l’edu­cazione universitaria — Come si comporta l’ermetismo magico innanzi all’uomo infermo — Tutte le infermità procedono da disordini o anoma­lìe del cervello — I centri nervosi possono reagire al dolore — Impotenza del cervello quando l'ultima ora è suonata — Riappare ancora Saturno.

 

Giuliano. — Ecco che siete venuto puntualmente. Giornata di Venere splendida, luminosa; atmosfera serenissima, sensazione di gaudio. Nella limpidezza dell’aria vi è come un’eco, una risonanza musicale; nella luce vi è uno scintillio di pagliuzze d’oro, nelle mani un fluido irrequieto che è turbante, e al contatto di una qualsiasi cosa finita, ci pare di sentirne l’anima e il pensiero. Gaudio di cuore e bellezza di visione: l’immagine del mondo ci rispecchia felici.Venere vi dà, nella influenza gioviana, la risposta al vostro quesito: se cioè il magnetismo, l’elettricità atmosferica e terrestre, il calore, la luce, il suono, hanno identica potestà sul corpo umano nello svol­gersi della vita.

Discepolo. — Anche io, al tramonto opalino di una giornata così deliziosa, mi sento come in un sogno vago di benessere e di delizia. Così è stato in tutta la mattinata fino all’ora presente in cui il sole declina. Non devo conchiudere con questo che l’influenza delle forze ed energie della terra agiscono con eguale intensità sul corpo umano?

Giuliano. — Il benessere fisico e iperfisico del nostro corpo non può dipendere da eguale influenza su di noi di tutte le forze e di tutte le energie universali. Primo, perchè la determinazione di que­ste forze non è ben definita, risultando al filosofo naturalista che esse non sono costanti nè di sempre identica intensità; secondo, perchè, per gli elementi essenziali del nostro organismo, noi non siamo, nei varii momenti, eguali ricettori dei riflessi di queste forze della natura, nè in pari grado reattivi ad esse. Imperando su di noi, tra tutte le energie cosmiche, il magnetismo terrestre, gli elementi di cui son composti il nostro corpo visibile e quello non visibile, ci costituiscono imperfettissimi come apparecchi ricevitori e, spesso, sordi o troppo delicati nell’accogliere le influenze della natura. D’al­tronde la fisica sperimentale ci insegna che vi è una varietà di so­stanze che non sono tutte magneticamente classificabili in un gruppo solo. Se tra uomo e uomo vi è variazione nella sensibilità magnetica, per fermarmi a questa sola forza tipica delle energie scaturenti dal cosmo, nelle sostanze o corpi terrestri, come materie costituenti la terra, vi è una differenza molto netta. Vi sono quelle per loro natura fortemente magnetiche o ferro-magnetiche, come il ferro, le para-magnetiche, come il platino, e le diamagnetiche, che si calamitano (magnetizzano) in senso inverso di un campo magnetico, come l’oro, l’argento, il rame. E se agisce, su queste varie sostanze di vario ma­gnetismo, un’influenza termica, gli esponenti dei gradi magnetiz­zanti mutano. Dunque negli elementi sostanziali componenti la terra, la ricettività delle forze della natura è di gradi e qualità diversi. Negli organismi umani, la differente sensibilità loro all’influenza delle energie cosmiche, non solo è varia, come nelle sostanze com­ponenti la terra nei diversi metalli e materie organiche, ma per i suoi elementi costituitivi in uno stesso organismo umano è mutevolissimo il saggio di comprensione di queste forze, nei differenti momenti e gradi in un’ora cronometrica sola.

Discepolo. — In verità questa parte fisica dell’influenza delle forze naturali su di noi è interessante.

Giuliano. — Lo credo anche io, non perchè abbia scoperto l’uovo di Cristofero Colombo, ma per la veste moderna che dò alla cosa. Tutti i libri antichissimi, anche quelli che si trovano nell’antro di Apollonio, come direbbe un cabalista del 500, ne parlano con circospezione, simbolicamente. Il simbolismo è stato un po’ la malattia infettiva di tutti gli scrittori di cose misteriose. Posso inalberare la bandiera della novità, a vanto mio, io che pel primo ho parlato chiaro, benché in maniera dissonante con l’ambiente superscienti­fico contemporaneo. Un uomo nella stessa giornata, se è buon ricet­tore sensibile di tutto quel che ci colpisce proveniente dalle condi­zioni atmosferiche, elettrotermiche e magnetiche del campo in cui viviamo, sente mutare di condizione e di potere sensorio tutto il suo essere; dico essere per comprendere nel suo organismo anche quel che si chiama il suo morale e la sua intelligenza. Figuratevi poi, caro critico, che cosa debbano valere queste influenze sugli orga­nismi malati, sul decorso delle malattie, sulle febbri, sulle nevrosi...O Sant’Apollinare, che fosti del Dio Apollo ammiratore, non farmi sentire da qualche gran medico moderno! Il nostro sistema nervoso, che è il limite tra il corpo saturniano e la sua sublimazione lunare, è uno scheletro della nostra sensibilità psichica, che costituisce il passaggio in trincea tra le impressioni esterne e il cervello, e tra il cervello e il mondo esterno. Un filtro a diramazioni e prolungamenti che prende tutto l’uomo dal capo ai piedi. Se date uno sguardo a un disegno anatomico del corpo umano, tutto il sistema nervoso, dall’encefalo alla punta dei piedi, assume l’aspetto di un fiume che si dirama in fiumicelli, in ruscelli, in rigagnoli, e che prende tutto l’insieme dell’organismo, in modo da darvi l’impressione che questo sia stato costruito per sostenere e difendere i nervi nella loro unità centrale fino ai più estremi punti della periferia. Tutta la parte essen­ziale dell’uomo è là, nella sensibilità di questa materia lunare e pre­mercuriale che costituisce noi stessi. E’ un filtro delle influenze, delle energie della natura. E’ un crivello sottile che, cernendo le im­pressioni delle forze esterne, le porta al cervello, modificandole. Tutta la vita umana e il suo mistero è là. Recidete le braccia e le gambe ad un uomo, accecatelo, tagliategli naso e orecchie, la vita non è finita se gli resta un lembo della sua sensibilità. Le influenze delle forze naturali cosmiche, come tutte le impressioni morali, sono ac­colte e portate al centro attraverso questo distillatore attenuatore che propizia il discreto ricevimento di esse ai centri, addolcendole. Bisognerebbe ben stabilire, prima di emettere una conchiusione sin­tetica e vera, se tutta la meccanica del corpo umano abbia come unica modificatrice la sensibilità del sistema nervoso, per poi abbor­dare la comprensione della maggiore giustificazione dell'Ermetismo come razionalità di un’arte guaritiva unica e supremamente efficace. Anche i più scemi sanno che una scossa nervosa per improvviso spavento si ripercuote sulla circolazione e sugli intestini alterandone le funzioni; che una collera intensa altera l’attività epatica e via dicendo; ma possiamo noi dire con precisione che altre impressioni, come quelle prodotte dal mutamento di azione delle forze cosmiche, in balìa delle quali noi viviamo, non hanno per conseguenza un importante influsso sulla circolazione, sulla respirazione, sulla dige­stione, sulla economia generale dell’organismo umano? L’esperienza fatta nell'ultima grande guerra dai medici che hanno assistito alle innumerevoli tragedie negli ospedali e nei posti di soccorso della Croce Rossa, dovrebbe essere oggetto di un esame accurato da un punto di vista che non è il solo giudizio elaborato e casellato dalla medicina universitaria. Le teorie sulle nevrosi, per esempio, meri­terebbero essere riviste ed esaminate con accuratezza di visione, se­guendo un metodo induttivo che non si ferma all’esperimento osser­vato nella sua semplicità fenomenica del meccanismo vitale.

Discepolo. — Ma siamo in piena alchimia?

Giuliano. — All’alchimia penseremo dopo. Questo è per farvi intendere in che consiste per la nostra scuola la vera Medicina Er­metica; io devo darvi delle idee necessarie sul corpo dell’uomo di fronte al complesso delle energie del mondo. Si comprende che ad un certo punto il mio dire è un po’ astratto, algebrico per la comune aritmetica, ma devo far capire i rapporti tra il Microcosmo e il Ma­crocosmo, tra l’uomo e l’universo, nella loro pienezza. L’analogia tra l’unità umana e la Grande Unità del Creato è generata dal con­senso di due fattori comuni: di intelligenza e volontà sul corpo astrale e sul saturniano, e di due fattori fisici: le forze cosmiche invadenti e il ricettore uomo che non obbedisce costantemente alla reazione delle influenze e delle forze.

Discepolo. — Si sente l’algebra! Credevo che con una bella gior­nata come questa, piena di luce fino al tramonto, si procedesse con chiarezza, in modo che tutti i fanciulli, come noi, non abituati a questi discorsi un po’ strani, potessero ben formarsi una idea giusta delle cose che mi dite. Ora volete conchiudere, per ridurre gli argo­menti al punto di verità, che tra l’uomo (Microcosmo) e la natura cosmica o mondo universo (Macrocosmo), esiste un quatrinomio di attività comuni; dico bene?

Giuliano. — Proseguite.

Discepolo. — Intelligenza e volontà, forze cosmiche e organismo ricettore.

Giuliano. — Correggete: intelligenza e volontà nel Microcosmo e Macrocosmo; le forze cosmiche nell’unità grande, l’apparecchio di ricettività nell’organismo umano.

Discepolo. — La volontà e l’intelletto voi li attribuite anche al mondo? Di questa sintesi bruta che è il Macrocosmo, voi ne fate una unità che vuole e comprende, come noi.

Giuliano. — Semplice idea che vi spaventa. Siamo noi che ci rifiutiamo intendere l’intelligenza universale come la volontà uni­versale. Il dio Pane, il dio intelligente del Tutto (che significa quindi il Macrocosmo) suonava la sua Siringa a sette toni; esprimeva nel concerto musicale l’armonia delle sette forme della volontà nella manifestazione della intelligenza. Nel Commentarium pubblicai un breve scritto, molto denso di idee, del sig. Ottaviano, il quale è uno studioso di molti argomenti che escono dalla volgarità della comune comprensione della vita e della scienza. Il carattere dell’Intelligenza dell’Universo è di esprimere coi segni naturali lo spirito e il signi­ficato degli avvenimenti che passano, e profetare l’avvenire prossimo, e svelare le cose nascoste e lontane.

Discepolo. — Davvero?

Giuliano. — E’ l’uomo che, credendosi intelligente, in tante cir­costanze si manifesta un’oca che non comprende l’alfabeto e la scrit­tura della creazione (signa rerum), e per la sua asineria nega a Pane, il Signore del Tutto, l’anima del Tutto, l’intelligenza del Tutto, che è l’Universo, l’armonia della manifestazione sua di volontà e di com­prensione. I segni delle cose sono le parole che pronunzia Pane per confessare la verità che nessuno uomo si accinge a leggere, perchè l’intelligenza umana è deviata dagli studi di tante varietà di dot­trine e discipline, che il semplice non ha valore, e si scaccia come ingombro insignificante. Nel fervore delle forze cosmiche, nello scatenarsi degli uragani e delle tempeste, nelle tragiche catastrofi di elementi in convulsione, cicloni, inondazioni, la voce di Pane avvisa, e dove non è la sua voce, è la sua musica, la sua scrittura, la sua apparizione. E’ fuggiasco nella solitudine della selva, della mon­tagna, nel fruscio dei venti della foresta, nella profondità delle grotte oscure. I cristiani, i Santi Padri di felice memoria, raccontarono che quando il trionfo del Cristo fu accertato, i naviganti sentirono una voce immensa, gridare: Il dio Pane è morto! Che scempiaggine! L’intelligenza della Natura non può morire: il giorno che si spe­gnesse, l’ordine musicale, armonico dell’Universo intero cesserebbe e si ripiomberebbe nel Caos, come quando tutto era disordine di elementi, o nella morte dell’Universo in cui cesserebbe la vita, il moto, la vibrazione dell’Etere. Le conoscenze divinatorie, dalla Astro­logia ai Tarocchi, hanno fondamento sulla comprensione delle cose come la natura ce le presenta. L’intelligenza umana ha conquistato, leggendo nel Libro della Grande Natura, gli arcani dell’antico sa­cerdozio, come questo dovette impossessarsene studiando lo stesso libro. L’Astrologia antica, le superstizioni sull’apparizione delle co­mete, le figure dei Tarocchi ritraendo i simboli naturali, sono esercizii e sforzi dell’intelletto umano per interpretare la figurazione del­la natura vivente, ottimo specchio della intelligenza delle cose, per visione di forma, per rapporti di idee. Così il simbolo, quando non è uno sproposito, non è artificio, è natura stessa nel linguaggio dei rapporti analogici. Setteali, un ben noto ermetista del comincia- mento del secolo XIX, si trovava il 5 Maggio del 1821 a Capri, in riva al mare, insieme a pochi suoi discepoli. Uno di essi indicò al maestro un gruppo di nubi che si apriva in cerchio in cui, in una chiazza azzurra, delle nuvolette bianche disegnavano un’aquila. Il Setteali disse: un'aquila è volata ai cieli, Napoleone è morto. La natura aveva fatto da telegrafo senza fili e l’intelligenza umana ne aveva spiegato il messaggio.

Discepolo. — Se questo Setteali era un lucido, poteva da solo, senza la comparsa dell’aquila, annunziare che a Sant’Elena l’im­peratore dei Francesi se n’era volato ai cieli.

Giuliano. — Quando la nostra mente non evoca l’avvenimento intorno ad un soggetto che ci riguarda, o quando l’avvenimento lon­tano non ci trova come se noi attendessimo la voce di un nunzio, per lucida che sia la nostra mente, la televisione non avviene. Ed è una fortuna! Se dovessimo veder lontano e vicino, in tutte le loro fasi, gli avvenimenti del mondo, noi terremmo nel nostro capo un cinematografo a milioni di projezioni contemporanee, e saremmo vittime della più spaventevole follìa. L’avvenimento lontano che ci riguarda, la natura ce lo indica con un segno. La nostra intelligenza lo legge, cioè lo interpreta, lo indovina, lo sa. Il miracolo di una cosa sola è fatto: lo dice Ermete. Così chiusa la porta per inutili visioni a cui non ci interessiamo, ritorniamo alla serenità della osserva­zione apparente, come tutti gli uomini. E’ come per la lettura dei segni naturali, che formano la scrittura della intelligenza universale a cui nessuno crede. Se la magia e l’ermetismo parlano di un Ma­crocosmo (Universo) analogo all’uomo (Microcosmo), vuol dire che tutto il Cosmo ha intelletto, sensazioni, volontà, come l’uomo pos­siede. Non vi ho altra volta accennato che gli avvenimenti umani si ripercuotono, come in un’eco amplificata a ripercussione continua, in tutto il creato? Non vi ho detto che ignoriamo, in tutta l’esten­sione sua, l’effetto della grande tragedia dell’ultima guerra, di là dall’orizzonte dell’ordinario intendimento? Le forze cosmiche sono omologhe al sistema nervoso dell’organismo umano: percepiscono le sensazioni delle masse e si sentono potenzialmente sensibili alla corrente emessa dai ricettori sui quali imperiosamente hanno azione completa. Parrebbe che in qualità e in quantità gli uomini, in equi­librio delle loro forze e funzioni, avessero il diritto, in tempi nor­mali, di disporre delle forze cosmiche nella proporzione che loro occorrono. Ecco perchè al vostro arrivo io vi ho detto che l’influenza gioviana di Venere, complessivamente, ci dà il benessere e il godi­mento della vita; noi di questa ora gioviana prendiamo quanto ci bisogna pel nostro equilibrio e ci sentiamo in quella relativa felicità che ci può concedere la vita della terra. Per poco che le vibrazioni eteree (diciamo eteree per prendere a prestito dal linguaggio scien­tifico una maniera convenzionale e balorda di esprimerci) — per poco che le vibrazioni conduttrici del magnetismo e dell’elettricità terrestri aumentassero, noi saremmo dei recipiendarii commossi e febbricitanti — è con altro umore morale faremmo una conversa­zione diversa da questa. Nelle infermità umane queste forze cosmi­che o diventano compensatrici o sottrattive, ed in senso inverso ucci­dono o per violenza invasiva o per riassorbimento della vita. Il ma­gnetismo terrestre è la più medicale di queste forze: presiede al li­vellamento, alla proporzione delle quantità e, meccanicamente, dà il tono all’equilibrio generale.

Discepolo. — Allora il magnetismo terrestre per tutti i malati è un custode, un infermiere, un sanatore?

Giuliano. — Forse più di quanto io vi faccia sospettare! Ma il magnetismo se è forza cosmica, se sta nella innervatura terrestre, deve per necessità analoga rinserrarsi nel corpo dell’uomo, forse per svilupparsi in senso attivo in noi stessi. I magnetizzatori guaritori lo chiamarono forza magnetica umana o magnetismo animale, più tardi lo chiamarono forza nervea, e certamente, come le anguille, questa forza speciale del nostro organismo vi scivola di mano e non sapete come chiamarla. Io non credo che questa forza possa definirsi ma­gnetismo animale. In emissione è aura molecolare del nostro corpo, e, nel riassorbimento, è forza copulativa di nutrizione vampirica, avida di magnetismo terrestre. In questa fase è un circuito di presa della vita: circuito letteralmente inteso, che l’uomo nel sonno ripa­ratore forma nel proprio corpo per rifornirsi delle energie perdute. Esiste un’infermità dell’uomo, congenita per eredità o sviluppata a causa di reazioni nervose in seguito ad uno spavento, o per disor­ganizzazione nucleare, l’epilessia, il gran male, il mal caduco, il sacro morbo degli antichi, che è assolutamente di origine magnetica. Il corpo lunare in questi infermi è spostato per disorientazione verso i poli magnetici della terra. Questa concezione della epilessia, lo com­prendo, deve sembrare un grande errore della nostra fantasia o uno spunto pseudo scientifico perchè dice delle cose rare che non con­cordano affatto coi dubbi della scienza positiva e sperimentale. Ma tutti i disordini nervosi, tutte le anomalie cerebrali, tutti gli squilibri mentali fino alle nevrosi e alla follìa, nella scienza sperimentale sono seguiti da un punto di osservazione che non è il nostro. La tera­peutica non è avanzata di un millimetro per potere ridonare la sanità e la calma ai sofferenti nervosi e ai dementi, quantunque si stia ora annunziando che metodi nuovi si seguono nella novella psichiatria. Vedrete che non si raggiungerà nessuna guarigione positivamente studiata! E’ errato il principio di definizione dei disordini nervosi e mentali. La sostanza di cui è costituito tutto il sistema nervoso è materia elementare lunare. Non mi domandate se chimicamente è costituita di materia con elementi speciali o con i soliti comuni elementi costituenti le altre parti del nostro organismo, non è questo che occorre sapere. Forse è la disposizione atomica delle cellule nervose, dei gangli, dei filamenti: la delicatezza sensibile di queste parti materiali della nostra impressionabilità dipende dalla dispo­sizione degli atomi costituenti i fili conduttori dall’esterno sul centro cerebrale nostro. Nell’ermetismo — in cui consideriamo la materia come unica, sempre, perchè è cosmica, sia organica che inorganica, differente per tante varietà di aspetto — noi non intuiamo le diffe­renze che per variazione dispositiva di atomi : cosa che con certi veli è stato detto da filosofi come Empedocle e Timeo di Locri. Così a parte ogni esame anatomico, chimico e fisiologico, il cervello diventa per noi un nucleo dispositivo nei riflessi del magnetismo terrestre, della elettricità terrestre e atmosferica, e delle altre forze cosmiche (calore, luce, suono) che direttamente o per rimbalzo riceve. Da questo che accenno risulta che anche la materia cerebrale è ato­micamente (cioè per disposizione di atomi) diversa dai nuclei nervosi e ganglionali. Il capo umano, erectum et audax, scatolo duro di ossa, è lo scrigno prezioso che racchiude tanto tesoro. Vi si arriva per mezzo dei sensi, e si perfeziona con la delicatezza comunicativa del­l’ultrasensibile. Ma fa questo cervello funzione di accumulatore? Può non solamente ricevere le sensazioni ma anche lanciare idee e sensazioni fuor di noi? Può concretamente determinarsi projettore di idee e forme mentali su onde di materia nervosa, generate, come in un’atmosfera magnetizzata ed elettrizzata, non possibili a cadere sotto il controllo dei nostri sensi se non a fine raggiunto?

Discepolo. — Pensare a tutto questo è seducente perchè è strano. Tutte le cose un po’ strane e dette con serietà, come voi le dite, se­ducono come le fiabe. Che concezioni fantastiche sono queste favole per gli adulti, imbrattati, con una certa superficialità, di scienze naturali e di fisiologia. Ma mi avvedo che il vostro ermetismo pro­pone i problemi, presenta i dubbi, suppone che sia così o in altro modo, ma non risolve praticamente nè problemi nè dubbi; allora mi dà tutta la parvenza di una filosofia della medicina all’antica ma­niera, quando i medici, prima e dopo Paracelso, davano l’assalto ad un infermo con Platone ed Aristotile nelle mani, e somministra­vano al paziente un’oncia di mummia egiziana come l’elisir di tuttimiracoli.

Giuliano. — Queste cose che io vi espongo non sono soggetto di fiaba nè semplice variazione su di un tema filosofico, nè fantasti­cheria per invitare a sognare; sono gli elementi della concezione ermetica o magica, come meglio volete chiamarla. Il cervello umano è stato ed è studiato come materia e forma, come sostanza e funzione. La fisiologia se ne impossessa e vi ricama su una specie di cuffia della sapienza che diventa, in certe prolusioni di corsi universitarii, una tara del sacerdozio dottrinale che tutto pare di promettere, e che dimostra relativamente poco. Che cosa è l’anima umana? L’ho detto altra volta; l’idea primitiva è vento, soffio — qualche cosa come la forza che fa l’aria espulsa dal soffietto che accende il fuoco nella fu­cina di un fabbro. Per traslato la parola indica la vita, vita da vis, forza di vivere — ma si dice anima ragionante nell’uomo, come se gli animali non ragionassero alla loro maniera, o come se si ragio­nasse coi polmoni, col cuore, con le arterie, con lo stomaco che di­gerisce. Il pensiero non è un corpo che si afferra con le pinze — la fisiologia, che studia profondamente il cervello nelle sue funzioni relative alla sensibilità e come centro di tutto il sistema nervoso, non vede con precisione come si pensa; e mentre, esaminandolo, il fisiologo ragiona e pensa, non sa perchè ragiona e perchè pensa, e ignora dove si elabora il suo pensiero e il modo preciso del suo travaglio. E se il ragionamento sia un vizio umano o una necessità delle sensazioni per analizzarle e prenderne il succo, e se il ragionare sia uno stato patologico del nostro organismo, causa di tutte le sven­ture dell’umanità chi ce lo verrà a dimostrare, a confermare, a ne­garcelo?

Discepolo. — Voi negate che si rasenti la fiaba, ma sapete che tutto questo che dite è terrificante?

Giuliano. — Non capisco il perchè di questo terrore. Io dico che l’uomo di scienza positiva e sperimentale, non con l’esame anato­mico e chimico, nè studiando le funzioni del cervello può infor­marsi di che specie sia il suo prodotto e dove risieda la macchina pensante, e, se questa si chiami cervello, come agisca, come pro­duca, come si espanda, come il risultato del suo travaglio generi il canto di poeti come l’Alighieri o semidii come Leonardo da Vincio come Michelangelo. Nel mio dire non dovete intravedere nessuna intenzione di far paura — io voglio esporvi, perchè lo sospettiate almeno, che gli sforzi umani per la conquista della verità ultima, che è la disamina del pensiero umano e la coscienza della sua essenza, non han raggiunto il loro scopo e non accennano neanche a sfio­rarlo. Sapete voi che i1 pensiero è l'essere, cioè tutto ciò che è, che fu, che sarà? Tutto il visibile, l’invisibile, l’immaginabile e se volete, anche l’inimmaginabile?

Discepolo. — Ma anche l’Ermetismo, facendo voi queste rifles­sioni per semplice constatazione negativa, non risolve il problema. Il pensiero è tutto quanto esiste — voi l’avete definito così. Il bello, il brutto, ciò che ci fa piacere o ci ripugna, ciò che noi guardiamo odiando o amando, l’insieme e le cose particolari che ci colpiscono i sensi, indipendentemente della loro realtà fisica, sono modificati in un senso grato o ingrato arrivando al centro della nostra essenza mentale cosciente. L’Ermetismo, riconoscendo il fatto della imma­ginazione sentita e modificata diversamente in ogni uomo singolo, per fare cosa originale e utile, ci dovrebbe spiegare il perchè è così, e quindi condurci alla disamina del valore del pensiero come la scienza delle Università non ha ancora spiegato. Voi stesso mi avete altra volta detto che il capo nel corpo umano, ritenendo il cervello come organo pensante, è paragonabile ad una precisa macchina foto­grafica che ci dà l’immagine positiva delle cose che noi vediamo; e quando queste immagini si affievoliscono, scomparendo, si inabis­sano nella riserva dell’incosciente. Se così fosse, avverrebbe che, come per la macchina fotografica, tutte le cose viste e sentite dovrebbero essere immaginate con la stessa neutralità di una macchina; e quindi le impressioni dovrebbero essere identiche quando diverse persone guardano o sentono la cosa stessa — mentre invece non è così. Credo che la non conoscenza dell’organo pensante e del pensiero che ne risulta, ogni volta che una sensazione arriva in noi, dipenda da que­sta varietà mobilissima d’immagini che giungono differenti e non identiche a diversi soggetti. Il valore filosofico dell'Ermetismo in questo caso si dovrebbe affermare in maniera precisa.

Giuliano. — Oh! caro amico critico, voi non dite cosa esatta. Mec­canicamente dieci macchine fotografiche, tutte perfezionate con ot­timi obbiettivi, messe allo stesso punto di presa di vista di un oggetto immobile, devono ritrarne la identica immagine. Questo in principio e come idea. In pratica la cosa non è la stessa. Dieci apparecchi fotografici non possono occupare contemporaneamente lo stesso posto, per ritrarre la forma di un oggetto immobilizzato, per la legge ele­mentare della impenetrabilità dei corpi. — Dieci apparecchi, e dieci varii punti diversi per ritrarre l’immagine del corpo fissato. Dieci negative diverse in dieci modificazioni della luce che rischiara questo unico modello. Se le dieci macchine si susseguissero allo stesso punto focale, prenderebbero e otterrebbero la identica visione grafica, salvo le gradazioni della luce se varia, ed ancora differirebbero i risultati in qualche cosa per la diversità degli obbiettivi e per lo spostamento inavvertito della camera oscura. Dunque anche adoperando mezzi meccanici perfezionati le impressioni non sono identiche in due apparecchi. Il pensiero, definito dai vecchi filosofi come un esercizio dell’intelletto, non è affatto ben definito con queste parole elastiche ed indeterminate: bisognerebbe preconoscere che cosa è l’intelletto e cosa sia questo esercizio. In ogni modo, lasciando la parola pensiero senza definirla, è ovvio che si pensa in base a immagini sensorie, a sensazioni di ogni genere collegate, seguite e messe in confronto e paragonate. Ora se le impressioni variano in due apparecchi mec­canici, le differenze sono più sensibili e più profonde da uomo a uomo, quando, per mezzo dell’udito, del tatto, della vista o del­l’odorato, portano al cervello una determinata impressione. L'uomo non ha mai la neutralità necessaria nel giudicare le sensazioni al loro giusto e preciso valore. Questo non è un dogma che vi presento per farvelo rispettare e porre per atto di fede come base di ogni cosa che ne consegue. Questo è un enunciato che voi potete esaminare sperimentalmente in voi e negli altri. L’uomo, che nel colmo della sua potenza percettiva può essere neutro, nel senso che ho dato a questa parola nella mia piccola Porta Ermetica, che può cioè con­servare la coscienza serena, intatta, separata dalla sensazione e pron­ta a giudicarla senza interesse alcuno, è di dieci chilometri più su di tutto il livello della folla umana. Le sensazioni pervengono al nostro cervello non solo modificate dal nostro interesse, filtrate attra­verso le piccole passioni del momento, secondo la nostra coscienza e le abitudini delle cose sentite, ma anche attraverso i ricordi del nostro individuo storico.

Discepolo. — Che cosa è questo individuo storico che sarebbe in noi? Un quinto corpo?

Giuliano. — No. Se noi siamo dei reincarnati, cioè dei morti che abbiamo rivestito nuove maschere umane, come vi ho spiegato prima, portiamo nel nostro intimo, sotto forma di istinto, o di memoria chiara o nebbiosa, o di impulsi incoscienti, la storia, il carattere storico permanente che si è formato determinando la nostra individualità. Cioè dopo tante vite ed in tante reincarnazioni il nucleo pensante nostro si è forgiato a caratteri spiccati e specifici in un modello eternamente resistente alle influenze che non com­baciano con le nostre abitudini, coi nostri pensieri e con le nostre simpatie. Ecco quel che io chiamo uomo o individuo storico che è in noi. Cioè l’essere dei cabalisti, quel che fu, che è e che sarà, noi stessi in eterno, migliorando per le esperienze successive delle vite umane. Così le sensazioni vengono apprezzate o percepite da noi secondo il nostro essere pensante, secondo il nostro insieme, quali siamo per natura e come il momento ci suggerisce. Se sono un uomo, come voi, e ho visto e vedo tante donne belle, graziose, eleganti, seducenti — le guardo tutte nello stesso modo, da un punto inco­scientemente artistico, dall’alto in basso, giudicandole, apprezzan­dole, godendone la visione. Dove vanno, che cosa fanno, che pen­sano, come si comportano nella vita, a me non riguarda. Ma se amo una donna, se ne subisco l’incanto, se insomma particolarmente ne sono preso, questa donna io la guardo e la percepisco come non ho fatto per le altre. Mi sembra qualche cosa di perfetto, di ideale, di completamente piena di tutte le doti desiderabili. Voi, uomo come me, la guarderete come tutte le altre donne. A voi non farà la impressione che ella fa su di me, per voi è una donna come tante altre che passano per la via, forse più brutta delle altre. Ora a me stesso, di qui a pochi mesi, se arrivo a dissipare l’incanto, questa donna sembrerà meno bella, o brutta e non interessante. Vi ho portato questo esempio per due ragioni: per dimostrarvi la diffe­renza delle stesse sensazioni da uomo a uomo, e la differenza delle sensazioni che lo stesso uomo può ricevere guardando in momenti psicologici diversi la stessa donna, cioè lo stesso oggetto che attira o ripugna o è indifferente. Per quanto io possa paragonare il mecca­nismo cerebrale ad una macchina fotografica, l’immagine, e quindi ogni sensazione integra e nella sua nudità percepita, è accettata e commentata nell’uomo in modo diverso da quello che possa fare un apparecchio ottico. Lo stesso per tutti gli altri sensi: sentire il colpo di un’arma da fuoco, in un uomo abituato alle armi produce il senso di un fiammifero che si accende; invece in un timido causa una catastrofe di spavento. Il gusto di una arancia è ripulsivo per quelli cui l’acre non piace, ad altri è al contrario attraente perchè ne assaporano tutta la freschezza e l’aroma. Così pel tatto, per l’odo­rato e per tutto il resto. Il principio modificatore che è in noi, è parte essenziale del complesso dei valori di una qualunque sensa­zione o immagine mentale della sensazione stessa. Chi secerne e caratterizza una impressione sensoria è il corpo lunare, mobile, variabile, caratterizzante ogni forma di percettività. La sensazione, per concludere, prende essenza attraversando il filtro delle simpatie e antipatie dell’uomo storico ed assume immagine concreta con linee modificate dagli ostacoli o rifrazioni che ne hanno alterata forma e originalità.

Discepolo. — Ma non divaghiamo — Io vi chiedo, come vi ho chiesto, di dirmi che cosa sia il pensiero e come si pensa.

Giuliano. — Ritorno alla vostra critica di poco fa, una critica sommaria che io apprezzo assai, perchè mi indica che prendete interesse a questa chiacchierata. Voi mi dite che l’Ermetismo, se veramente vuol essere preso in considerazione, additando una mo­mentanea lacuna della scienza universitaria e della filosofia, dovrebbe dirci che cosa è pensare, che cosa è pensiero; colmare cioè questo vuoto che scienziati e filosofi passano con una dimenticanza origi­nalissima, come cosa su cui tutti restiamo intesi. Dunque l’Ermeti­smo dovrebbe essere una filosofia dimostrativa in parole chiare e concorrere ad un sistema di definizioni da grammatici! Beato voi che dimenticate quello che è il prolegomeno, il prologo, l’introdu­zione ai nostri colloqui! Vi ho detto che Ermetismo e Magia non sono, presi insieme, una filosofia chiacchierona che si compiace di far dei paradossi per separarsi da tutto ciò che è accettato dal grosso pubblico degli studiosi, per diletto di vedere e sentire una critica a quello che hanno detto e scritto gli altri. L’Ermetismo, a fondo materialista, è uno studio sperimentale; e l’arte di scrivere o parlare non è un esperimento conclusivo. Appena qualche secolo fa, il prin­cipio filosofico della autorità in materia di dimostrazione era cosa accettata come prova e sostegno di argomenti. Quello scemo di Cristoforo Colombo pensa, da vero pazzo, che vi sono delle terre di là del mare, forse le Indie, forse continenti sconosciuti, forse altre razze di popoli. Ma che follìa! Aristotile ha detto così. Platone ha annun­ciato in questo altro modo. Avicenna ha sentenziato con queste parole... Dunque la terra nuova, il mondo nuovo, la nuova via per le Indie non possono esistere che solo nella fantasia di un allucinato! Quell’altro mattoide di Galileo (sapete che guardando le stelle si finisce lunatico e peggio), vedete da che scervellata impressione è colpito! La terra gira intorno al sole... Ma pazzo mostruoso di su­perbia; vuol correggere i libri sacri! Giosuè non avrebbe fermato il sole per battagliare fino a sconfiggere i nemici; avrebbe fermata la terra... Dunque, caro Galileo, ungete un po’ le ruote del vostro copricapo, confessate che avete bevuto un po’ quando avete visto girare la terra intorno al sole! L’Ermetismo non dice: gli altri hanno detto o io affermo. L’Ermetismo vi annunzia e vi addita una cosa; filosofi e scienziati, ignoranti tutti della conoscenza di quanto è spirito essenziale dell’uomo, se è autonomo nelle sue azioni o esercizii, come dicono i superuomini, o è dipendente direttamente dal­l’organismo umano e indirettamente dal cervello... fritto, pensano e non sanno perchè pensano; anzi, senza fare giuochi di parole, non pensano perchè elaborano i pensieri, perchè credono in una logica propria per affermare o negare una cosa sperimentata o una cosa creduta e non dimostrata. Ora l’Ermetismo vi domanda: perchè voi pensate e perchè pensando credete fare opera secondo natura? Che cosa è il vostro pensiero elaborante idee percepite, di origine sen­soria? E credete giusto ciò che pensate, vero o verosimile?

Discepolo. — In ogni modo voi, tanto per continuare con certo soddisfacimento il nostro colloquio, potreste dirmi la vostra maniera di esame del pensiero, e che cosa esso sia secondo voi. In quanto ad esaminare il pensiero in me stesso vi è sempre tempo.

Giuliano. — Capisco. E’ più economico per lo sciupìo delle energie cerebrali, far parlare gli altri dei risultati delle loro speculazioni mentali. Economie consigliate dalle teorie del minimo sforzo col massimo risultato di conoscenza. Una volta si diceva il lavoro (la fatica sotto tutte le forme) nobilita l’uomo — e il priore dei Cap­puccini aggiungeva che esso disonora i monaci e le donne. Ora anche il pensare è un travaglio, aspro e incomodo. Io penso, quindi vivo. Da Cartesio, ve lo ripeto, hanno ritenuto il pensiero come una prova della vita animale dell’uomo: uno spiritista potrebbe obbiettare che i morti (cioè quelli che non vivono più la vita terrena) pensano meglio, tanto è vero che ci portano i numeri del lotto...

Discepolo. — Ho cominciato a capire che non volete dirmi che cosa credete voi del pensiero, ma veramente non riesco ancora a comprendere come facciamo a perdere tempo discutendo su come e su quanto un’idea si manifesti in noi. Nel campo pratico dell’Er­metismo o Magia che sia, deve importare poco conoscere in qual modo in noi si elabori un pensiero. Noi pensiamo continuamente senza saperne il come; nell’Ermetismo faremo lo stesso: pensare come sempre, dirigendoci verso problemi più alti ed interessanti. A che approda la conoscenza sorpassata dall’abitudine nella vita ordi­naria, in una scienza nuova o vecchia che ci indirizza, come dite voi, alla gnosi, cioè alla conoscenza della verità?

Giuliano. — Non fermatevi al frontespizio del libro. Pitagora consigliava il Silenzio. Silenzio è parola che deriva dalla radicale si che accenna al moto e nel senso riflesso alla tranquillità, alla man­canza di moto e quindi di rumore. Il Brozzi nella sua Etimologia della lingua latina ne riporta molti esempii, nelle lingue morte e vive, che ora non ricordo. Silere significa non parlare, non far ru­more, non emettere suoni; ma è anche non sentir rumore, suono e parola. Non vi è bisogno di commenti. Questo Greco, nella Magna-grecia divenuto italico per trasformazione del suo spirito ellenico, non era un matto. Se a suo tempo fosse sta inventata la stampa e gli editori fossero fioriti, avrebbe proibito di scrivere e di leggere. Perchè? perchè il pensiero è di tre categorie...

Discepolo. — Ecco che senza definire il pensiero già lo dividete in categorie! Furberia ermetica!

Giuliano. — Vi è quello dell’uomo così come è, frutto del suo complesso essenziale storico, della educazione del suo spirito, del suo organismo, delle sue sensazioni precedenti riposte nel suo inco­sciente e d’idee rievocate, poi, in una seconda maniera, il pensiero per scambio di idee, suggestione per ciò che si è sentito dire, risultato del nostro contatto con la folla: In ultimo vi è il pensiero elementare che potremmo chiamare divino, cioè dell’essenza-natura : il Nume che parla o lancia idee e forme di idee, parole articolate o idee com­plesse. Spiegare che cosa sia il pensiero, vorrebbe dire come e per quale meccanismo organico l’uomo formula le idee dopo ricevute le sensazioni del mondo esteriore e dopo averle mutate e trasformate — ma che cosa sia il pensiero in una di queste tre categorie, volta per volta che si pensa, è ancora più difficile, perchè l’analisi, per quanto profonda, non arriva ad anatomizzare un complesso di idee, le quali ad ogni minuto e sotto lo stimolo delle passioni, dell’inte­resse, o della necessità, ci inondano senza determinare la propria origine — perchè anche le idee antiche, che sono state nostre in altre vite nostre, subiscono le leggi trasformatrici dell’adattamento alla vita attuale, e ci sembrano naturalmente moderne. Se Pitagora diceva di stare in silenzio, voleva dire non parlare (emettere suono) e non sentire (evitare che il suono esteriore vi colpisca). Prendete il monito nel suo valore letterale e risolvete di ritirarvi in solitudine, dove niente interrompe la vostra pace interiore. Le montagne della Svizzera, che stanno sempre un po’ freddolose e silenti, ospitano spesso melliflui cenacoli di nevrastenici della mistica, che, con suc­cessive trasformazioni e correzioni, vogliono mutare l’uomo in angelo alato e le folle in cori di beati. La mistica cerca il silenzio, e le mon­tagne frescoline della Repubblica di Guglielmo Teli sono taciturne. Sono i mistici che vanno di là a parlare alle turbe. La nevrastenia sacra che trasporta l’anima dell’uomo alla più vorace fame di silenzio, non è pitagorica. L’educazione per avviarsi al silenzio si concepisce, nell’Ermetismo, come il non parlare e il non sentire; non farsi vin­cere dalla necessità di emettere suono formulando ed esponendo idee esposte dalle persone (da persona, maschera ampliatrice dei suoni); — ma non ritirarsi nelle tacite solitudini delle alte rocce e del deserto. I pitagorici vivevano dovunque nella folla delle città di commercio, negli angiporti densi delle darsene di Tarentum e di Brundusium, nei chiassuoli vicini ai mercati, nel vocìo delle fiere. Il nume, presente allo spirito dell’iniziato, ripeteva il monito, il silete classico. Il rumore esterno non sentirlo; tu stesso non esser causa di rumore, non farne, non emettere o pronunziare verbum, parola creatrice, iniziale movi­mento di un’azione dell’idea, che si ripercuote, si allarga, si aumenta in onde di pensiero, e, allargandosi, cammina all’infinito. Non so come le odierne scoperte herziane, tanto diffuse ora come base della telegrafia senza fili, non abbiano negli studiosi delle leggi di emis­sione del pensiero risvegliato il sospetto che, analogicamente, l’uomo organismo accumulatore magneto-elettrico, possa, in condizioni ner­vose inavvertite, emettere e pronunziare una parola generatrice di onde di una potenza non misurata. La bestemmia, non quella detta per abitudine sboccata dei carrettieri, ma quella pensata e pronun­ziata con intenzione, nella fredda concentrazione di odio e di ira, è una maledizione che vola su onde emesse dall’organismo umanoe quelli che ne conoscono e ne possono conoscere le leggi, sanno precisamente il mezzo migliore per lanciare un pensiero velenoso a un nemico, come pure un’idea di bene o di amore. La Medicina Ermetica di cui in queste conversazioni esponiamo gli elementi, fa largo consumo di questa comunicazione in lontananza di idee, di forza e di materia su chi si dirige alla catena delle buone volontà guaritive.

Discepolo. — Anche comunicazione di materia? Ma questa ca­tena è un apparecchio esplodente come le armi da fuoco, le catapulte che lanciavano sassi, come i fulmini — ...

Giuliano. — Ricomincia l’ironia, perchè è tale l’abitudine delle idee vissute nella vita quotidiana, che già avete dimenticate le cose che abbiamo discusse ampiamente e con chiarezza; e fiorisce il sorriso critico e l’intonazione del motteggio, appena dico cosa che è conseguenza del già detto. Vi ho portato già l’esempio della pila in omologia al valore dell’organismo umano, e di una serie di pile come catena di uomini che un ideale di bene e di buona volontà può far agire sul dolore di un sofferente e sulla evoluzione di un morbo o di un contagio. Siate conseguente alle cose già discusse senza con­troversia. Le chiese cattoliche (contenendo il cristianesimo rituale di Roma, in gran misura, elementi magici ereditati dai meandri del­l’Urbe antica e da radunate gnostiche) organizzano catene di anime nella preghiera delle masse, specialmente sotto l’impulso agitatore della paura o dell’interesse più o meno personale e comune dei fattori che costituiscono le coorti. Ricordate le chiese affollate durante le grandi epidemie di colera del 1884, a Napoli, e le autorità che discretamente consigliavano a non frequentare chiese e teatri. Ricor­date le processioni dei santi più miracolosi per arrestare i torrenti di fuoco del Vesuvio nel 1631, quando il vulcano, distruggendo cam­pagne ricche e paesi, s’avanzava minaccioso alle porte di Napoli. Vi esiste ancora la statua di S. Gennaro, il patrono, che dal Ponte della Maddalena, con la mano protesa, arresta la lava distruttrice.

Discepolo. — Atto di fede.

Giuliano. — Nelle masse la fede collettiva è atto d’imperio. Suscitare la fede nelle masse è crearsi nelle mani un valore reale di onnipotenza. E’ opera ermetica e magica. Buona o perversa. Chi vuol essere il semidio che fa opera di tal sorte, deve cogitare la vita di là del Bene e del Male, come il superuomo dell’amico Nietzsche. La fede è come l’illusione. Un gran bene e un gran male. La scienza vi avvisa di non illudervi mai. Ma un uomo che non condisca la vita con la salsa dell’illusione è un essere che pena nella contemplazione di tutte le miserie dell’universo. Così della fede in qualche cosa che ci invita utilmente a vivere, a sperare, a godere, quando l’aridezza della esistenza non ci incanta nella povera realtà di ciò che è. L’amore stesso è uno stato di fede, anzi di fede e di illusione. La sanità del corpo umano è fede in certi stati speciali della nostra coscienza, quando sentiamo in noi la forza della vita in tutta la sua esuberanza di giovinezza. Perciò non cantate spesso il ritor­nello della fede per volermi precipitare nella voragine del misticismo — non mi spostate la conversazione dal ritmo della chiacchierata alla buona. Io non vi parlo in tono cattedratico, e vi dimostro che ho molta indulgenza per questa povera visione reale del nostro vivere, come dovrebbe averla la gente pratica della nobilità e muta­bilità della prole di Adamo. Noi ci intratteniamo a discorrere come amici che conversano senza imposizione di un programma di inse­gnamento, balzando da un argomento all’altro, da un soggetto inte­ressante a un commento pietoso o critico che illustra molte nostre debolezze. Se vi ho detto che l’Ermetismo e la Magia non s’inse­gnano come tutte le discipline, la ragione vi dice che il metodo più proprio per mutare l’uomo ordinario in un ermetista è di invitarlo a pensare, non sulla falsariga della maniera comune di guardare le cose e valutarle, ma da un punto di vista proprio che non è l’ordinario. Se in voi alligna il seme che io vi getto, per poco che siate persuaso che la fotografia della vita si può ritrarre da punti e fuochi diversi, germoglierà immediatamente l’uomo rinnovato nell’uomo vecchio — e sarete iniziato in una vita mentale diversa dalla solita di maniera profana e comune. Initium è principio, cioè cominciamento. La vita nova di Dante si schiude in una ricerca di quella analisi della commedia umana che può arrivare alla sintesi del divino... sulla terra ove si mangia, si beve, si digiuna, si soffre, si ama e si muore — ove nessuno sa perchè ci siamo arrivati e perchè non dobbiamo viverci secondo natura, raddolcendo i mali necessari e amandoci come fratelli, figli della stessa mamma.

Discepolo. — Queste son parole sante! Amarci come fratelli. Anche Caino ed Abele erano fratelli, anche Romolo e Remo...

Giuliano. — Non fate la caricatura a sproposito. La filosofia ermetica non si illude sulla rugiadosa evoluzione e sul fine dell’uma­nità. Sono le religioni che aspirano a sogni di tal genere come rea­lizzabili: la materia, atomi e molecole, non vive in pace con sè stessa, perchè la pace nella materia sarebbe la morte della natura, ed io già vi dissi che il Dio Pane non è morto...

Discepolo. — Non mi confondete. L’iniziato a questa filosofia, avete detto, arriva alla critica della commedia umana per giungere alla sintesi del divino nel quale comprendete il problema risoluto della pace tra gli uomini... Un momento dopo vi contraddite dichia­rando che tutto voi sapete e volete dirmi con l’esempio del movi­mento continuo e del rinnovamento nel moto (che è lotta) della materia, che la felicità dell’umanità non sarà raggiunta con la pace finale e col matrimonio, come nelle farse con Pulcinella.

Giuliano. — Eccovi di nuovo nella mentalità comune. Senza riguardo vi condenso la spiegazione di un arcano: è la continua fatica per arrivare ad uno scopo o risultato inverosimile che mette l’uomo in condizione di sforzo, di travaglio di sottilità mentale. Quello che voi chiamate e intuite come lotta nella massa movimen­tata della materia cosmica, io ve l’ho definito come non vivere in pace, e questo, se ricordate le mie digressioni in precedenti conver­sazioni, vuol dire Amore, con l’A maiuscola. Tutte le forme di fusioni, di combinazioni, di associazione, di penetrazioni fisiche e chimiche, molecolari o atomiche, non sono condizioni di pace, ma non sono lotta. Amore è passione, passione vuol dire patimento. Comprensione attrattiva e reagente. Lo vedete e constatate con la pratica della vita quotidiana nella società umana, nell’amore tra gli uomini. Passione e fusione e dopo viene la pace; ciò vuol dire il non desiderarsi tra due elementi già fusi, già compensati. Peccato che non posso fermarmi su questo problema d’umanità, cioè della natura compensatrice umana, problema che tocca la morale della ragione di vivere e la causa del conflitto tra il desiderio e il fatto compiuto. Questi conversari spesso ci allontanano dal nostro soggetto, perchè le chiacchiere sono come le ciliege che, tirandosi tra loro, nel grovi­glio si portano appresso foglie secche e piccoli sterpi. Spero che non vogliate perdere di vista che se venite a parlare con me non è per fare della critica filosofica o per sentenziare alla maniera di Socrate e del resto dei filosofi. Noi parliamo per farvi intendere, in parole più chiare possibili, gli elementi analitici di cui è costituita la Medicina Ermetica e l’Ermetismo magico nella sua possibilità concreta di ricostruzione di uomo più completo, con aspirazione al superuomo. Comprendete e siamo d’accordo?

Discepolo. — Non completamente. Perchè gli argomenti filosofici che voi sfiorate sono interessanti e invitano alla continuazione del discorso. Vi piace di abbandonarli, appena toccati, per non allonta­narvi dal soggetto principale, ma non posso applaudirvi. Il soggetto dell’amore tra gli uomini attira come un indovinello capitale che nel mondo finora non è stato risoluto, e voi tagliate corto... e passate al­l'argomento ermetico...

Giuliano. — Comprendo che la vostra cultura moderna si affe­ziona ad un argomento quando chi parla vi dà tutto il senso di un espositore di stramberie che non collimano con la consueta maniera di veder le cose, di discuterne, e di tenerle per dimostrate dopo una ben nutrita chiaccherata polemica; ma non è una buona maniera di continuare a dialogare spostandoci dallo scopo principalissimo se non unico che ci fa intrattenere. Non vi è nessuna astuzia ermetica se vi riconduco subito all’ermetismo. Il medico chiamato al capezzale di un ammalato non vede che poche cose e queste dal punto di vista della sua educazione universitaria. Il medico non osserva che un organismo umano sofferente, il suo organismo interiore, il suo aspet­to, il dolore, la temperatura, i possibili microrganismi infettivi, le infiammazioni, le cause del malanno nel contagio, per freddo o per caldo, a frigido o a calore, e i componenti chimici per compensare quelli perduti e gli eccessivi. Se occorre parlare di cause morali, lo fa come il cuoco che pensa alle salse per condire una vivanda. E’ uo­mo prima di esser medico, e sa che certe impressioni dell’anima uma­na possono destare o causare in noi mille malanni. La morte di una persona cara, una visione spaventevole, un attentato alla persona, un amore tradito sono cause di disordini organici. Se domanda, è per accertarsi che qualche cosa nel cervello vi è stata sorpresa e si è alterata in maniera da influire sul resto del corpo materiale. Nel suo materialismo medico egli accetta che il morale (lo chiamano così) agisce sul fisico e lo sbanda, ma non prolunga la sua analisi psico­logica, si ferma alla constatazione di una causa. Se prescrive un me­dicamento, o è una specialità maravigliosa che aumenta il bilancio di una farmacia di lusso e ne paga l’illuminazione elettrica e non produce nè bene nè male — o è un antibacillare che dovrebbe fare strage di microbi nefasti — o un prodotto chimico che chimicamen­te dovrebbe agire per mettere a posto la chimica alterata dell’orga­nismo malato. L’Ermetismo magico, innanzi all’uomo infermo, co­mincia a vedere il disordine centrale, causa dello stato presente del degente, e innanzi al dolore (parola astratta) comprende che questa sensazione come tutte le altre, ha sua sede nel cervello dove ogni at­to o contrasto dei sensi arriva per colpire la personalità umana. E se lo stato anormale e indolore (febbre, abbattimento, convulsione) ve­de il cervello dimezzato della sua potestà centrale sensitiva, per affievolimento della sua azione indipendente.

Discepolo. — In altri termini tutte le infermità stanno nel cer­vello, niente è reale, come nella commedia L’ammalato immagina­rio che fu messa in musica non so da chi! Determinato così il primo principio del morbo o della sanità, viene voglia di domandare perchè al medico non si dà per stemma un cervello... al burro!

Giuliano. — La critica diventa irrispettosa. Tutte le infermità procedono dal disordine o da anomalia temporanea delle libertà sane del cervello. Ho prima detto, non so in quali dialoghi, che ogni in­fermità benigna o dissolvente sì annunzia con sensazioni deviate, af­fievolite, o di abbandono. Voi mi avete portato l’esempio di una in­fezione bacillare, e vi ho risposto sui bacilli come son guardati da noi. Ma è sempre la sensazione di uno stato di essere anormale (sen­sazione, quindi cervello) che dichiara una infermità qualunque, che ne accusa la presenza, quindi il disordine del centro della sensibilità umana. Non ricorrete ad esempi di infermità gravi e complicati, vi basti pensare che una graffiatura qualsiasi altera l’equilibrio della vo­stra sensibilità; e per poco che siate molto sensitivo e delicato per­cettore di impressioni nervose, una unghiata al mento prodotta da mano infantile diventa per voi un affare di stato. Capitemi bene.

Discepolo. — Questo esempio dell’impressione delle cose mini­me sui nervosi (come si dice comunemente) o sui sensibili, come voi ben chiamate i delicati percettori delle sensazioni, è cosa vera. La prova è quotidiana nei bambini: una scalfìtura e una goccia di san­gue, pianti e strilli che pare sia arrivato il finimondo...

Giuliano. — E nei bambini vi è l’esempio indiscusso del potere della parola (idea espressa con suono articolato) sui centri sensorii per reagire sulle impressioni ingrate o sul dolore: basta che al pian­to e ai gridi la mamma o la nutrice risponda : non è niente, e il fini­mondo cessa in un sorriso. Negli adulti, quando il carattere si è af­fermato, è la stessa cosa, con un elemento nuovo più duro, più re­sistente, più ostinato che il bambino non ha, cioè la volontà di oppor­si ad una suggestione estranea che inibisce di credere alla gravità della cosa. Ma se si trova il modo di mutare il principio ribelle del ragionatore in principio consenziente, il malato si persuade da sè e la sensazione dolorosa prima si attenua e poi sparisce. Un signore ammalato di sciatica non poteva dormire la notte. Il suo medico n’era disperato, gli aveva somministrato tutti i sonniferi immagina­bili meno la morfina. Era un medico di molta coscienza e aveva paura che il suo ammalato prendesse gusto al farmaco. L’ammalato si ossessiona che doveva provvedersi della morfina ultimo e vero rimedio della sciatica. Quanti giorni mi lasciai pregare: io, suo ami­co, non avevo cuore, rinnegavo l'amicizia; ma poi... mi commossi. Gli feci giurare sulla tomba della madre che non avrebbe mai con­fessato al medico che gli avevo portato i confetti giapponesi alla morfina, pericolosissimi se ne fossero presi più di due ogni sera. Giu­rò convinto, e gli portai in una boccetta, strana di forma... una doz­zina di confettini rosa che comprai per due soldi dal dolciere. La prima notte poco effetto. La seconda notte, malgrado il giuramento, nascostamente ne prese tre. La mattina non sapeva più svegliarsi. Mi confessò pauroso, la sua trasgressione. Lo riportai a due ogni sera, poi ad uno... Dormì e guarì.

Discepolo. — Di nuovo la suggestione!

Giuliano. — Di nuovo dovete dire che il centro cerebrale, convincendosi, aveva comandato al sonno e al dolore. Dunque se dico che l’ermetista guarda alla defigurazione anormale del cervello in ogni malato, significa che solo provocando una sensazione reattiva nel centro della sensibilità, gli organi e le correnti che alimentano il corpo umano possono ritornare sani.

Discepolo. — E le alterazioni biochimiche? E le degenerazioni or­ganiche? Il glucosio nei diabeti e l’albumina nella malattia di Brigt? Se ne vanno lo stesso?

Giuliano. — Tutte le infermità, tutte le degenerazioni, tutte le infezioni... capite? obbediscono allo stesso imperio.

Discepolo. — E la morte si allontana?

Giuliano. — E’ messa in fuga, debellata, sbandata fino a quando la potestà imperatoria del centro intellettivo e fecondante sensorio dell'uomo conserva un milionesimo di potere di volontà. Eccettuati quelli che subiscono una morte per violenza, quando l’ora finale del­lo spettacolo della vita è arrivata, il cervello è spogliato della potenzia­lità del comando e la fine si presenta. Quanti moribondi di lunga agonia, circondati dai familiari, si risvegliano per un minuto per­chè è ancora presto — e quanti per annunziare: ci siamo! e muo­iono?

Discepolo. — Anche io ho notato...

Giuliano. — Aprite la finestra. Vedo laggiù, all’Oriente, che la tenera luce di una bianca stella precede l’apparire di Saturno!...

Discepolo. — Che i numi lo mandino all’inferno. Guarda un po' questo bel tipo di divinità che mi perseguita in maniera offensiva.Giuliano. — Dispiace anche a me, ma gli dii supremi domandano di essere obbediti per renderci la vita possibile.

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