HAVISMAT - LA TRADIZIONE E LA REALIZZAZIONE
LA TRADIZIONE E LA REALIZZAZIONE
Sviluppo e integrazione, restaurazione del frammento nel corpo unico della Realtà. Resurrezione – come ritorno. Ritorno, come superamento della limitazione spaziale e temporale che è condizione dell’esistenza umana, riducendo queste limitazioni nel simbolo della orizzontale e della verticale, il cui punto di intersezione e di confluenza, concrezionalmente, è l’uomo. Prolungando le due direzioni, il vertice diviene centro, il punto di incontro della orizzontale e della verticale come fine caduta limitazione si fa punto vivo, centro radiante – l’uomo, Uomo Universale. Questo è il simbolismo della Croce – la Croce degli elementi: Fuoco in alto, Terra in basso, Aria a destra, Acqua a sinistra. Al centro il Nome ineffabile. Colui che abbraccia tutto abbraccia sé: disciogliendosi s’integra, integrandosi si conquista, conquistandosi si realizza, realizzandosi è.
Di tutto ciò, il segno è fissazione scheletro nelle cui midolla viva impensabile ciò che non si può e non si deve dire. Unico mistero, è ciò di cui le varie tradizioni danno il presentimento offrendo i gradi della realizzazione con l’agitare le Forme perché nelle loro pieghe si percepiscano i Ritmi, inserendo in questi le pause affinché tra le loro trame sia il Silenzio. La parola allora svela le Forme, schiude i Ritmi e cova il Silenzio. Dal punto di vista dell’Ascesi integrale, questo è il simbolismo del Verbo.
Le tradizioni sono e non possono essere che il simbolo della Tradizione unica che è al di là di esse, senza la quale esse non esisterebbero e grazie alla quale esse velano e svelano ciò di cui non si può dire, ciò che nell’uomo è al di la dell’uomo, ciò che nella forma è al di la della forma, ciò che nell’esistenza è al di là dell’esistenza. In tal modo lungo i gradi della Realizzazione, rimovendo le ombre e i simboli e i signamina, divenendo la Realtà, dimorando in essa, essendola, le tradizioni portano alla Tradizione. Qui, apicalmente, anche la condizione dell’« essere » è superata e l’integrazione in toto è conseguita: questo, bene inteso, dal punto di vista dell’Ascesi integrale che è sommità e centro, punto di arrivo e asse centrale di visione: tutti gli altri punti nei vari piani o stadi avendo un valore puramente relativo, quello di transizione, transitio, passaggio e, in un certo senso, veicolo.
Quello che ad un certo livello nelle varie tradizioni deve apparire come vincolo non è in realtà che sostegno, un insieme di sostegni perché in ciò che è evio si ritrovi un alveo ove si contenga il tumulto delle acque attraverso la cui fluenza sia possibile, sia pure intermittentemente, la visione del fondo.
Qui la tradizione è scientia, ars, ?????? e, il compimento, usus, ???????. Ma non si tratta che di due aspetti, i quali nell’Ascesi integrale, ?????? ??? ???????, ars et usus, riconfluiscono in un sol punto. La divisione non è possibile che da un punto di vista puramente umano e relativo, nel quale la visione tollera la lontananza, e realizzazione significa conquista. Ma nell’ordine della Realtà non vi è punto di arrivo né punto di partenza, né terminus ad quem né terminus a quo, ciò che è essendo assolutamente al di là del tempo e dello spazio e, soprattutto, dell’uomo. Nemmeno di compimento si può parlare, bensì di una abolizione della limitazione, di una distruzione del sonno. Ma, praticamente, vi è ?????? e vi è ???????, scientia et usus, nella misura che l’integrazione, il ritorno allo stato normale, implichi uno sforzo; e così abbia aspetto di conquista.
Il mondo moderno, da qualche secolo, non solo ignora l’accidentalità di questo aspetto, ma con male sete e mala ricerca né va proiettando il fantasma nel mito della condizione temporale: nel futuro. Essendosi falsato l’asse della Conoscenza, l’incapacità a portarsi oltre i limiti che condizionano l’esistenza umana spinge l’uomo a protrarre, nell’indefinito di una oscurità che egli ignora, la Realizzazione, che è sola ed effettiva conquista. Così lo sviluppo reale, il quale non è altro che integrazione, gli appare in un succedersi – Storia – o in un rapprendersi – Filosofia – o in un anelare – Religione; la prima fissando la mobilità che è irreducibile a successione, la secondo cristallizzando l’immutabilità che è irreducibile ha immobilità, l’ultima parodiando la certezza che è irreducibile a promessa. Così volgendo a ciò che mai sarà, l’uomo si stronca e si perde. Ad una illusoria conoscenza, s’appone una illusoria azione, ad una vertigine senza centro s’appone una agitazione senza scopo: ciò che è perduto nel dominio della vita è ciò che è cristallizzato e costituito ad ente fittizio nel dominio della conoscenza. L’uomo è un bimbo nato a mezza notte – dice un testo taoista – e crede che l’ieri non sia mai esistito: vuoto di dentro, il soffio s’è ritratto da lui. Spinto da fuori, è volto verso fuori. Cos’ l’uomo moderno cede all’abbaglio del futuro, non sospettando nella sua povertà ciò che non vede, ciò che l’eccede, ciò che è prima di lui, dietro a lui come vena profonda ed invisibile.
Esaurito il ritmo della Contemplazione, resta artificialmente inspessito il ritmo dell’Azione. Storia, Arte, Filosofia, Credenza – fra questi quattro cadaveri l’uomo cadavere vive il mito del futuro, cioè dell’irrealizzabile, e ne fa corona e maschera alla propria morte: morto prima di nascere, egli afferma una vita a venire: putrefatto prima di vivere, egli gioca agonicamente con la resurrezione futura: in un presente nullo, si volge ad un avvenire illusorio.
Ma se una reintegrazione è ancora possibile, questa reintegrazione implica il compimento della decadenza: bisogna che si realizzi tutta la sterilità della falsa conoscenza e della falsa azione e che da una catastrofe radicale sorga l’èmpito che rinnoverà radicalmente l’equilibrio. Negare prima e sempre, affermare solo quando tutto è stato negato, quando l’uomo sia veramente, dinanzi a ciò che non conosce e che non possiede, un cadavere nelle mani della lavatrice dei cadaveri – com’è detto nella tradizione islamica. Soltanto una passività assoluta può generare un’attività assoluta: soltanto offrendo integralmente si può, per radiazione di chiarita, tutto riprendere, tutto riassorbire.
L’atteggiamento di purità verso le tradizioni, malgrado le differenze che le distinguono in tipi vari a seconda le speciali tendenze degli uomini a cui si rivolgono, implica l’assenza totale di pregiudizi di ogni sorta per cui la forma mentis risulti veramente quel che dovrebbe essere, una mens informalis che è poi, e non altro, la pura attitudine metafisica, quella dell’Ascesi integrale. Tutti i punti di visti sono relativi di fronte a quest’ultimo, che è terminale e risolutivo di ogni altro e grazie al quale la visione è purificata da ogni scoria.
Le vie della Realizzazione sono infinite, ma il centro è unico e l’Ascesi integrale è ciò per cui la Realizzazione diventa possibile: una subordinazione gerarchica in vista del fine ultimo è appunto il Corpo della Tradizione le cui membra sono le tradizioni particolari e visibili. Non si tratta qui della recta ratio, ma della recta via per cui tutto l’uomo vibri nel senso della Verità: tutto l’uomo e non solo una parte di esso che isolandosi si cristallizza e cristallizzandosi decade.
Il miserabile che diventa Povero è colui che ha regalmente tutto donato e il suo dono è l’offerta e quest’offerta è, superlativamente, il Sacrificio Universale.
Colla Realizzazione tutto ciò che fu diventa ciò che è e che sarà. La natura del Sé è eterna presenza – dice ?ânkaracâya, e, nel suo significato profondo, Usu Vetera Novant, cioè: con la Realizzazione ciò che fu divenendo ciò che è, esso passa dal dominio apparente della temporalità in quello reale dell’eternità.
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