GLOSSE ALL’”OPUS MAGICUM”
Gli scritti di « Luce » e di « Leo » già esposti indicano l’avviamento ad una delle prime fondamentali operazioni dell’Arte Iniziatica: la traslazione del senso di se nella regione del cuore – il cuore non essendo però da intendersi nella sua realtà fisica ma sub specie interioritatis e come centro dell’essere umano.
Aggiungiamo che, contrariamente all’opinione comune, secondo l’insegnamento tradizionale tutto ciò che è mentale, riflessivo, cerebrale, va riferito all’elemento lunare, femminile, passivo, mentre al cuore è attribuita la qualità dell’elemento solare, maschile, centrale.
Solo che, nel riguardo, non si deve pensare a nulla di ciò che volgarmente si attribuisce al cuore – sentimentalismi, passionalità, ecc. la realizzazione occulta del cuore – o di se nel cuore – ha invece il significato di un primo mettersi in rapporto con l’aspetto sottile o elementante della realtà.
Vi sono imagini che, realizzate contemplativamente, propiziano in via naturale detta traslazione del senso di se (metodo indiretto); ovvero si può cercare di operare direttamente detta traslazione, al che seguirà l’esperienza di un particolare spazio (metodo diretto). « Leo » e « Luce » hanno accennato all’una e all’altra di queste due vie.
A tali cenni noi vogliamo aggiungere una pratica con cui si può andar molto in la sempre su questa direzione, e da cui molte altre discipline riusciranno grandemente vivificate ed agevolate. Essa si scinde in due fasi che dovrebbero occupare, l’una i momenti precedenti l’addormentarsi, l’altra quelli che seguono il destarsi del mattino.
Si tratta anzitutto di compenetrarsi intensamente in questo pensiero: che la così detta vita di veglia degli uomini non è che uno stato di torpore, di ubriachezza, di stordimento: uno stato di nebbia e di irrealtà. E’ quando le voci violente del mondo esteriore, le impressioni e l’agitazione dei sensi, la risonanza dei sentimenti, dei pensieri e delle azioni cessano, è quando l’invisibile, occulta mano del sonno sospende con una fascia di silenzio interiore tutto ciò – è allora che la via sarebbe aperta per la crescenza interna, per il destarsi, per il sorgere possente del Sole della Conoscenza e della Realtà. Invece in quel momento noi veniamo meno, ci perdiamo alla nostra coscienza.
Avendo in mente tutto ciò alla sera, prima di addormentarsi, in uno stato calmo, non stanco, tersa la mente da assilli, si realizzi meditativamente che ci si trova nelle prime ore della notte ai piedi di un monte, e che si inizia l’ascesa – lentamente mentre le caligini a poco a poco si dileguano e le prime luci, e poi il Sole, sorgono. Si continuerà ad ascendere pensando all’ascendere simultaneo del Sole in cielo, al crescente trionfare ed espandersi e folgorare della sua luce sulla cose, e, nel momento di sentirsi sulla vetta del monte, si realizzi che il Sole è allo Zenit, al vertice della sua ascesa, nel cielo sgombro e tutto luce. Si arresti la contemplazione a questo punto e si realizzi il tutto come senso di quel che effettivamente accadrà interiormente di la della soglia del sonno, sino a metà della notte. Naturalmente l’ascendere di me sul monte e del Sole dall’alba al meriggio debbono essere vissuti in una stretta correlazione e il tutto va assunto in una progressione di risveglio che al limite della vetta deve dar luogo ad un senso di identificazione con la stessa luce meridiana – radiosa, silente, compiuta purità di luce nell’essere senza limiti.
Alla mattina, appena desti, sgombra la mente da ogni residuo di sonnolenza, ci si riprenda contemplativamente dalla cima del monte al meriggio, in cui si era rimasti, e ci si veda discendere lentamente fino alla pianura. Nel contempo anche il Sole discende, volge al tramonto ed ogni luce sarà scomparsa quando la pianura sarà da noi raggiunta. Ciò sia imaginato, ricordato, come il significato del tratto fra la metà della notte e il mattino. Nell’oscurità del giorno, in cui ci si trova svegliandosi, permanga pertanto l’eco della Luce dall’alto, del Sole di mezzanotte, nel senso, che io sono il portatore di questa Luce, che essa ora è nel centro di me nel cuore.
Si potrà rilevare il senso nuovo, animato, secondo cui apparirà la luce del sole fisico quando si siano realizzate e vissute queste discipline. E, insieme a questo si noti e si presti anche molta attenzione ad ogni altro significato nuovo che vada lampeggiando fra le comuni percezioni. Oltre che imaginarsi di ricordare, si cerchi infine di ricordare effettivamente qualcosa delle impressioni di quel tratto in cui, a parte i sogni, la coscienza è interrotta dal sonno.
Si tenga però presente, che il volersi ricordare respinge i ricordi. Occorre invece attrarre il ricordo invocarlo senza desiderio, amandolo. Allo stesso scopo, bisogna far si che il risveglio dal sonno avvenga spontaneamente, non per rumori, ed ancor meno per la presenza di altri nella vostra stanza. Propizia il ricordo anche un lieve profumo di muschio, rosa o iride fiorentina.
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Uno degli strumenti della magia operativa è la capacità di fissare un sentimento, di realizzarlo come un quid oggettivo, non legato al riferimento alla mia persona fisica; come uno stato che posso anche porre all’esterno di me, nello spazio, per così dire, senza che per questo esso cessi di esser fatto di coscienza. Sapere evocare, alimentare e poi liberare da se (indurre o proiettare) un sentimento o anche un pensiero – senza questa capacità non si può far nulla in magia operativa. Essa è per un certo aspetto legata alla discesa al centro della terra, quindi alla sede del cuore.
Un altro dettaglio di tecnica. Affinché agisca nell’ordine che qui interessa, occorre che ogni imagine sia amata. Deve essere assunta in una grande calma interiore, poi riscaldata, diremo quasi nutrita, con dolcezza, senza che in nulla entri il fattore volontà o sforzo e tanto meno l’aspettazione dell’effetto. L’agente qui gli ermetisti lo chiamavano « fuoco dolce », « fuoco che non brucia » ed anche : « fuoco di lampada » giacché esso ha effettivamente una virtù illuminativa sulle imagini.
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In margine a quanto ha scritto « Abraxa » si possono metter in rilievo:
Il primo è che lungo la via dell’Alta Magia non si ha bisogno, per imporsi una disciplina, di riconoscere preliminarmente dei concetti di « bene » o di « male » in senso imperativo. Ciò può esser necessario per uno spirito passivo, in cui manca del tutto la parte che comanda: solo perché non trova in se questa parte, costui è spinto a cercarla altrove, a farsi comandare. Un essere completo ed integrato in base a quell’esser due, di cui ha parlato « Abraxa », crea in se stesso un potere di comandare ad un potere di obbedire l’uno tanto assoluto quanto l’altro. Quando invece manca non pure la potenza di comandare – grave agli uomini più di qualsiasi peso – ma con essa anche la potenza di obbedire; quando questa impotenza ad obbedire della parte inferiore prende la mano in uno sfrenarsi, usurpando il diritto proprio alla parte superiore – soltanto allora si ha la sregolatezza, la licenza e quella « falsa libertà » in cui molti mistici videro a ragione uno dei più gravi pericoli della via. Ma questa deviazione non va scambiata con la libertà degli esseri superiori, che sanno darsi a se stessi una legge. Anche la disciplina intesa a determinare la morte di una certa propria volontà è però a destare colui che in noi sa obbedire assolutamente, è parte essenziale della via magica.
L’altro punto è che, specie per gli aspetti operativi della magia, devesi alimentare una facoltà definibile così: esser sé stessi di là da sé stessi, nei termini di uno slancio, di un auto superamento attivo, di un’affermazione che si pone di la dalla propria individualità. Nella vita profana l’eroismo, l’ebbrezza eroica e perfino orgiastica, il gusto giuocare la propria vita, ed anche certi momenti di prontezza al sacrificio sono già segni indicatori di questa direzione. Il potere proprio ad una vita libera rispetta a sé, capace di andar oltre se in siffatta forma attiva, è così importante per la pratica magica e teurgica quanto i principi dell’assoluto comando e dell’assoluta obbedienza compresenti in se stessi. Chi soggiace al vincolo interno dell’Io o non saprà portarsi oltre il limite, o non lo supererà che per trovare la propria perdizione.
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« Abraxa » ha indicato che, affinché la via mistica possa condurre a risultati valevoli iniziaticamente, bisogna che ad un certo punto si effettui una inversioni di parti rispetto allo stato in cui, creata la dualità, l’imagine divine incarnante l’Io superiore sta di fronte al mistico come un altro essere. E’ interessante notare che nell’esoterismo islamico vi è un termine tecnico per indicare questo mutamento: shath. Shath,letteralmente, significa proprio « scambio delle parti » ed esprime il punto in cui il mistico assorbe l’imagine divina, e parla in funzione di quella. Sono anzi indicati, nell’Islam, alcuni « segni certi » per riconoscere in quali casi lo shath ha avuto luogo oggettivamente e non si tratta di un semplice sentimento in questione. Tuttavia si ammonisce che le verità esoteriche che si conoscono quando una tale nuova condizione interviene debbono esser tenute segrete, essendo pericolose per i semplici credenti. Sembra che la fine che ebbe a subire El Hallaj, il quale vien pur tuttavia considerato come uno dei principali maestri dell’Islamismo esoterico (sufismo), sia dovuta alla trascuranza di tale precetto.