IAGLA - SAGGEZZA SERPENTINA
Essi bruciano col fuoco –
noi con l’acqua;
essi lavano con l’acqua –
noi con il fuoco.
L’occultismo (1) – (Lasciamo che « Jagla » usi il termine « occultismo », pur avendo preferito evitarlo, sapendosi bene che cosa significhi, oggi, l’« occultismo ». Non abbiamo saputo proporre un termine migliore, perché non è al tipo puro dell’Adepto che ci si riferisce o, almeno, solo ad aspetti particolari della sua azione, per i quali, come si vedrà, «Jagla » si rifà soprattutto alla tradizione estremo-orientale.)ha una « virtù » molto sottile. « Serpentina ». Assai essenziale.
Gli uomini hanno i loro clichés, hanno i loro ideali etici, religiosi o sociali, hanno le loro opinioni sulla Forza, sul Sapere e sulla Grandezza. Ma l’occultismo è in tutto e per tutto una cosa differente. Sfugge, non si lascia misurare. Giunge dal senso opposta da dove sono rivolti tutti gli sguardi. Così passa inavvertito o, se è avvertito, sconcerta; toglie la sicurezza a quelli che si credevano sicuri, ben saldi sulla terra ferma.
L’occultista è un essere a cui non si possono applicare misure. Non si sa cosa possa fare, né quale sia – e per dove giunga – la sua azione. La sua vita non è penetrabile. Potete essere il suo amico intimo, il suo compagno, la sua amante: potete pensare di possedere tutto il suo cuore, tutto il suo affetto o la sua devozione. Pur tutta via egli sarà un altro, oltre quello che conoscete. Vi accorgerete di quest’« altro » solamente quando voi stessi penetrerete nel suo regno. Allora avrete forse la sensazione che prima stavate quasi camminando lungo un abisso.
Non importa che in Occidente oggi pullulino le persone che si dicono occultisti, Iniziati, Maestri, ecc. e che sarebbero molto infelici se non si sapesse di questa loro presunta qualità. Ripeto invece che, salvo precise intenzioni, è raro che un vero iniziatosi riveli come tale a chi non è dei suoi. Si è che in lui sopravviene uno stato il quale distrugge categoricamente ogni possibilità nei confronti degli uomini. Questi, che cosa dicano o pensino di lui, è che il loro giudizio su di lui sia giusto o ingiusto – cessa di interessarlo come che sia. Per una inclinazione irresistibile gli uomini vogliono che si « sappia » ciò che sono (peggio: ciò che credono di essere); che, quando agiscono, si sappia che sono essi che hanno agito, e ci compiaccia della loro qualità di autori; la non-reazione, l’impassibilità naturale dinanzi alla parola o all’azione ingiusta, non è cosa da loro. Tutto questo, un occultista invece lo trova puerile. Egli, non esiste. Cerchino e credano di poter afferrare l’aria, coloro che ci trovano gusto. Lui, può togliere loro il terreno da sotto i piedi, e lo farà quando sarà il caso, senza che essi possano nemmeno avvertire da dove venga l’azione e, anzi, che ci sia stata un’azione. Vogliono percuoterlo sopra una guancia? La facciano. Egli è disposto anche a porger l’altra: giuoca soltanto i giuochi di cui sia lui a porre tutte le condizioni. Non è in balia di niente: quali reazioni si debbono destare in lui per le parole, le azioni o le qualità degli altri, lui solo lo decide. Lo si dica un vigliacco o lo si dica un eroe, non lo interessa; studia invece che effetti seguano da questo pensare degli altri, che conseguenze esso porti per il suo giuoco. Egli bada soltanto che alcune cose accadano: pone freddamente i mezzi e le condizioni, agisce, e basta. All’azione non aderisce come a cosa sua. Non ne parla, soprattutto, né vi tiene. Essa è mera strumentalità. L’« auto-affermarsi » è, poi, una mania che egli non conosce.
Più un occultista avanza, più nel profondo retrocede il suo centro, e coloro su cui opera e fra cui vive avranno la perfetta illusione di essere liberi. Non so quanto sia in luce, oggidì, questa caratteristica dell’occultismo. E’ inutile, del resto, che sia in luce; è utile che non lo sia. So però che in Occidente troppo spesso l’occultismo è alterato da vedute estranee e da pregiudizi profani. Si sa poco, e si chiacchiera molto. La facilità di equivoci e di malintesi, così, è stragrande: mentre non bisognerebbe dare nessun appiglio a coloro che non sanno nemmeno dove sta il principio e ai quali l’occultismo serve per continuare i guochi e le manie di cui si dilettano gli uomini. In queste stesse pagine si torna spesso sulla « volontà », sull’« azione » e sull’« Io ». Quelli che scrivono penso che sappiano bene che intendono dire; ma non so quanto risulti a coloro che leggono, che qui la volontà non è la volontà, che qui l’azione non è l’azione, che qui l’Io non è l’Io.
Circa duemilacinquecento anni fa, in Estremo Oriente, fu scritto un libretto, in cui i principi della saggezza sottile ed ermetica sono dati in forma netta, fredda e lucente, come in nessun altro posto. E’ il « Taote’ king » di Laotze. Non sarà inutile che qui vengano rievocati i temi principali di questa sapienza di vita, la quale non ha tempo né patria. E’ un punto di riferimento senza equivoci. Pericoloso molto, ma assoluto. Non conosco niente di più assoluto. Un senso di chirurgia. Una trasparenza essenziale. Nessuna eco delle limitazioni e delle manie degli uomini. Si respira, si consiste.
Anche se leggendario, l’incontro di Confucio con Laotze narrato da Co-hong nel « Si-sien-ciuen » è pieno di significato. Narra Co-hong che Confucio, il quale cercava di irretire Laotze nelle sue preoccupazioni circa il costume, la tradizione, la morale e il resto, si ebbe risposte tali che, riferendosi all’incontro, egli non trovò di meglio da dire che: « Reti ed ami afferrano anche i più agili pesci delle oscure acque; nei lacci cadono gli animali della foresta; anche i liberi uccelli sono raggiunti dalla freccia dell’abile cacciatore – ma con che mani potremmo noi prendere il dragone che si libera nell’etere, al di sopra delle nubi? ».
Ed ecco che le massime di Taote’ king scolpiscono gradatamente questa natura del Compiuto – l’Ambiguo, il Sottile, l’Inafferrabile.
La Via, che è la Via, non è la via ordinaria – comincia così, il testo . Il Nome, che è il Nome, non è il nome ordinario. Gli uomini rubano la vita, certo. Stanno fuori dal centro e attirano fuor dal centro le virtù che dovrebbero restare profonde e invisibili. Ci si costruiscono il fantoccio della « personalità », essi, invece di essere; e ci si aggrappano, contratti, animalmente tenaci: accumulano, assorbono, stringono, « affermano » ad infinitum: Io! Io! Io! La maschera, il ghigno diviene tutto. Non si accorgono che ciò è febbre, errore, mania.
La morte, ci sta dentro alla loro costruzione-guscio. E la morte li stronca. Sono le larve rigettate dal Gran Gioco.
Ecco che cosa dice il Compiuto: l’affermazione vera, l’individualità assoluta, non è l’affermazione, non è l’individualità conosciuta dagli uomini. Via di corruzione e di illusione è questa, invece. Parlano di possesso, e non sanno che cosa significhi possedere. Parlano di « forza », e non parlano che di una favola. Egli dice: solo perdendosi, l’Io si individualizza; cessare l’« affermazione » per essere realmente individui e Signori dell’Io. Non si può avere mantenendo, non ci si può acuire afferrando. Il Compiuto scompare – così rivela: si vuota, e così perviene all’essere assoluto. Per porsi al culmine, vela il suo Io. Prodigando guadagna; donando, è ricco. Abbandona, si discioglie, sale. Lascia cadere il raggio, abolisce lo splendore, si fissa nell’origine invisibile. Concentrato, consegue – disperso, fallisce. Dal pieno si è spostato al « vuoto », lui: qui sta l’essenza del pieno, come nel vuoto del mozzo la consistenza della ruota; dal movimento, va a ciò che, quale causa reale del movimento, è senza moto; dall’essere, a ciò che nella sua non-corporeità è non-essere. « Io », « non Io », « volontà » - tutte manie! Il guadagno diviene perdita. Lo sforzo di chi sta sulla punta dei piedi non è elevarsi, né è camminare lo scartare ridicolmente le gambe. Chi si pone in luce resta all’oscuro, chi si ritiene giunto si trova risospinto indietro: mostrarsi è dipendere, guardarsi è decadere, sforzarsi è inutile, l’insano, ciò che porta sempre più lungi dal principio. Più « affermi », e più vai fuori, più affermi il niente.
Se non smetti il giuoco della resistenza, del possesso, della tua volontà, non cesserai di essere giuocato. La Via è un’altra: volere senza voler volere, agire senza voler agire, compiere senza fare, attuare senza restare la gente, elevarsi senza dominare. Dritto ma flessibile, chiaro ma non abbagliante – ecco che dice Laotze. Essere veramente è non volere essere. Egli te li rovescia tutti, i « valori ». Di te, che vieni innanzi duro e torvo con la maschera del « superuomo », del « conquistatore », di colui che « si frange ma non si piega », di te sorride, fine, come per un piccolo bambino. Che ingenuo! E ti dice dell’acqua: non vi è nulla al mondo, che come l’acqua sia pronta ad assumere una forma qualsiasi – ma nello stesso tempo non vi è nulla che meglio di essa sappia vincere il forte e il rigido. Essa è indomabile perché a tutto adattantesi: perché priva di resistenza, è inafferrabile. E la « virtù » del Cielo, la imita. Il flessibile trionfa sul rigido, il debole trionfa sul forte. Forte e duro sono i modi della morte, sottile e flessibile sono i modi della vita: quelli sono in basso, questi in alto. Questi dirigono quelli: l’incorporeo compenetra l’impenetrabilità della materia.
Chi si espone, crea la possibilità di esser abbattuto. L'albero forte viene stroncato … il fallire è reso possibile dal « volere », la perdita è resa possibile dall’attaccamento, non vi è azione su cui non riconvenga una reazione. Così: buon lottatore non usa violenza, buon vincitore non lotta, buon direttore non dirige, buon camminatore non lascia traccia, buon detentore non ha bisogno di chiudere, buon imprigionatore non usa corde.
L’esercito veramente vincitore non deve « combattere » - non ha mai ammesso lotta, possibilità di lotta. Senti quanto tutto questo è sconcertante: tu non troveresti presa, non troveresti resistenza e sentiresti tutta via una forza contri cui non puoi fare nulla, che ti togli per prima cosa la possibilità della lotta, perché una spada non può colpire l’aria, perché una rete non può imprigionare l’acqua. Questa forza posseggono coloro « che sono stati morsi dal Dragone »: con questa essi dirigono, con questa operano, invisibili e silenziosi. Gli uomini, per essi non sono nulla – come non sono nulla, gli uomini, per le forze impersonali della natura: come strumenti essi li usano, - dice Laotze – senza conoscere amore o odio, bene o male. Forse il costruttore si comporta diversamente con le pietre che adopera? Il quadrato infinitamente grande non ha più angoli, il recipiente infinitamente grande non ha più capacità, il suono infinitamente acuto non è più udibile, l’imagine infinitamente grande non ha più forma – ecco che ti dice Laotze. La non-traccia è la traccia del suo Perfetto. Nella verità della forza del suo spirito, rispetto a quella limitazione che è la coscienza di voi uomini, sembra che appena sappia di essere. Sotto l’aspetto della debolezza, ha la vera forza: si sa potente e sembra debole, si sa illuminato e sembra oscuro, si sa grande e si mostra piccolo, mediocre: ottunde l’acuto, rischiara il confuso, addolcisce l’abbagliante, si identifica esteriormente al comune. Progredisce senza avanzare, assorbe senza conquistare, ha senza prendere. Divenendo come tutti, si diversifica da tutti. E va: prudente con chi guada un torrente invernale, vigile come chi sa intorno a se il nemico, freddo come uno straniero, vanente come fiocco di neve che fonde, rude come tronco non dirozzato, vasto come le grandi valli, impenetrabile come l’acqua profonda, chiuso come le altezze solitarie. Giunge senza esaminare, penetra senza guardare, compie senza volere, agisce senza fare, sparisce. Senza comandare, si fa obbedire; senza lottare vince; senza chiamare, trae a se.
Quanto deve essere sconcertante per coloro che hanno il clichés della virilità-muscolo, della virilità-metallo, questo, che è il vero uomo, l’uomo assoluto! Egli assorbe serpentinamente in se la virtù ambigua della femmina.
Ti parla, Laotze, appunto della magia invisibile, del femminile, che attrae e assorbe felinemente l’atto del maschio: e te la congiunge all’imagine delle valli, oscure, nascoste, che traggono irresistibili a sé le acque dell’altezze alpestri.
« La Via che è la Via non è la via ordinaria », certo.
Sai tu che sono, per esempio, il tuo « eroe », il tuo « martire », il tuo « uomo di carattere »? Creature di vanità, e niente più. « Mi frango, ma non mi piego » - tu vuoi dire: per il « bel gesto », per la soddisfazione orgogliosa da fare inghiottire al mio « Io », sacrifico la realtà. Quel enfant! I fumi dell’« eroico », del « tragico », lui non li ha, Laotze: freddo e lucido, gli importa solamente di compiere. Tu avanzi? Si trae indietro e poi torna, come l’onda: « retrocedere di un passo anziché avanzare di un pollice – fra due combattenti vince quello che non combatte ». Poni l’ostacolo, l’« affermazione »? Egli ti lascia fare, va sotto, si stronca la radice. Previene ciò che non è ancora manifesto, agisce su ciò che è ancor debole, scioglie la crisi prima che essa scoppi. Si sottrae: intende agire là dove non ci sono condizioni e non ci sono difese, là dove non si crea una « causa », ossia dove non si crea nulla su qui possa reagire un effetto.
Ti ripete: l’azione, essi non sanno che cosa sia. Oggi c’è la religione dello « sforzo », del « divenire », dell’ « atto ». Non il giungere in porta, ma il « tendere infinito », la « lotta», l’« aspirazione eterna ». L’azione serve loro per sentirsi, non per compiere. Più sono presi, più sono eccitati e trasportati – più sono contenti: così si sentono di più, loro, perché, naturalmente, essi hanno bisogno di « sentirsi »…. Che catastrofe, il giorno in cui non trovassero più resistenza! Scoppierebbero come quelle bolle d’aria, che sono. E proprio così accade alla morte, quando si sfascia l’astuccio solido del corpo fisico che serviva a « riflettere » la loro coscienza, e il nodo si scioglie e si dilata nell’etere infinito, dove non c’è appoggio e non c’è direzione, dove è il regno del Dragone.
Livellare, tacere, sparire; la voce, senza parola; la vista, senza l’oggetto; il possesso, senza contatto; l’atto, senza il movimento. Questa è la vita del Tao. Paradosso? Non-senso? Tutte parole, piccole piccole mosche che ronzano intorno all’elefante regale. Bada più tosto, tu che vorresti passare all’altra sponda, a qual che ti dice lui, Lotze il sottile: « Come il pesce non potrebbe vivere abbandonando gli abissi tenebrosi, così l’uomo volgare non conosca l’arma di questa sapienza del Signore ».