EA - POESIA E REALIZZAZIONE INIZIATICA
Chi tiene presente quanto siano legati alle prime forme di coscienza sottile l’elemento « ritmo » e l’elemento « imagine », può comprendere come certe esperienze trascendenti possano esprimersi meglio attraverso la poesia, che non attraverso il comune pensiero astratto.
A dir vero, la musica, ancor più che la poesia, si sostanza di ritmo. Ma il mondo ritmico musicale è ancora troppo direttamente e prevalentemente rivolto agli elementi sub-intellettuali della sensibilità e dell’emotività. Il ritmo della poesia richiede invece un organo più sottile ed intellettuale per essere afferrato: richiede un’attività, che fa parte della mente cosciente.
E’ noto che in India le stesse esposizioni sapienziali erano stese in forma ritmico-poetica, e la stessa lingua – il sanscrito – ha un caratteristico elemento di ritmo. Quest’ultimo carattere si conserva ancora nella lingua greca, ma si disperde gradatamente nelle lingue moderne. Il ritmo poetico può ripristinarlo, quando non parta da un puro virtuosismo acustico, ma si moduli invece seguendo stati interiori in sé stessi ritmici.
Bisogna precisare che l’elemento ritmo nella poesia non si esaurisce in cadenze metriche, consonanze, strofi, ecc.. Vi può essere anche un ritmo che viene da certi rapporti fra valori verbali – ed esso a sua volta ha rispetto al primo la stessa maggiore dignità, che la poesia ha rispetto alla musica. Vi è un’arte sottile di associare certe parole, che secondo il loro significato solito tratto da corrispondenze sensibili nessuno penserebbe a mettere insieme. Chi, invece di sconcertarsi, è capace di affrontare attivamente rapporti del genere, può essere portato a delle intuizioni, che hanno già un certo carattere illuminativo – appunto perché qui la mente ha dovuto agire disciolta dai rapporti che le vengono dal mondo sensibile. Nella poesia moderna, specie simbolistica e analogistica – p. es. in un Rimbaud, in un Malarmè, in un Maeterlink, in un S. George, in un Eliot, in un Auden – non mancano situazioni del genere, per quanto date istintivamente e a caso, senza nessuna relazione cosciente con l’esoterismo.
Un tentativo, invece, consapevole e collegato ad una certa conoscenza occulta, si è avuto in Italia con Arturo Onofri.
Per questo, la poesia di Onofri è unica nel suo genere, e la critica che l’ha affrontata – per dirne bene o male – da un punto di vista forzatamente profano e letterario, è lungi dall’intravvedere ciò che in essa vi è di più originale. Dal nostro punto di vista, invece, dovremmo rilevare diverse « irregolarità » negli elementi di « scienza occulta » antroposoficamente influenzati accettati dall’Onofri (ci sarebbe impossibile sottoscrivere alle posizioni dottrinali da lui abbozzate nel libro: « Nuovo Rinascimento come arte dell’Io », Laterza, Bari, 1925); dovremmo constatare che spesso brividi di sensazioni oggettive si perdono fra semplici lirismi; e che spesso un tono didascalico domina sgradevolmente le sue espressioni. Pur tuttavia restano molti elementi che hanno valore in sé stessi, che corrispondono non a semplici « imagini » create dalla fantasia soggettiva del poeta, ma ad esperienze interiori reali, note e riconoscibili da parte di tutti coloro che sono abbastanza addentro nelle nostre discipline. E la poesia di Onofri rende questi elementi in ritmi verbali che hanno un particolare valore suscitativo.
Noi qui vogliamo scegliere alcuni fra i più caratteristici, fra quelli che possono davvero considerarsi trascrizioni illuminate di esperienze e di insegnamenti ormai noti ai nostri lettori. (1) – (Diamo tutti insieme le indicazioni dei passi citati nel presente scritto: A. Onofri, Trombe d’Argento, Carabba, Lanciano, 1924, pp.69, 89, 94, 122, 134, 136, 138; Terrestrità del Sole, Vallecchi, Firenze, 1925, pp. 7, 14, 18, 24, 71, 87, 130; Vincere il Drago, Ribet, Torino, 1928, pp. 9, 12, 29, 30, 48, 59, 63, 73, 75, 83, 84, 88, 94, 118, 153, 170, 154, 145, 148, 172.).
A « trarre l’anima fuori dal suo circuito minerale » vengono forzate le vie del sangue e del sonno. Ecco un primo frammento, da riferirsi a ciò che noi chiamiamo « mortificazione » e « impietramento ».
… un tragico silenzio
(quello che vige oltre pianeti e sole)
ottunde la stanchezza che mi duole
come un corpo distaccato a cui presenzio …
Un mutismo irreale, antecedente
alla natività di tutti i mondi,
scava abissi impossibili, i cui fondi
precipitosi, intimano alla mente
un nulla smisurato.
Ad una fase successiva, di « soluzione » o « liquefazione », di resurrezione dalla « pietra nera » (il « diamante nero ») in prime visioni sacre, va riferito il seguente passo:
Una scorrevole estasi di caldo
trapassa la mia polpa irrigidita,
e al calore fluente dalle dita
sembra che il mondo sgeli, a spaldo a spaldo.
Tutto il buio del cuore, duro e saldo
come un nero diamante, apre un’uscita
alla densità sua, dispessita
in fiamme d’ametista e di smeraldo.
E’ l’allentarsi del « vincolo del cuore », il socchiudersi della « sede mediana ». il riferimento al cuore è uniforme nelle tradizioni d’Oriente e d’Occidente. La serpe che in certi simbolismi lo avvince, nel simbolismo cosmico nordico-atlantico corrispondeva al gelo e al buio del periodo invernale, fuor dal quale, al solstizio d’inverno, la « Luce della Terra » risorge. Anche nei mistici si parla spesso dell’« illuminazione nel cuore ». Della « sottilizzazione » che ne segue, del « flusso d’aria vivificante » che rinnova la coscienza e della successiva possibilità di « percepire luminosamente il proprio corpo », oltre alle Upanishad parla, in Occidente, Gichtel (Theosophia Practica, III, 36; IV, 8; V, 51-2, 65; VI, 44: crf. Il vol. II di queste monografie, c. I, pp.16 sgg.).
Ecco due passi corrispondenti:
O musica di limpidi pianeti
che nel sangue dell’Io sdemoniato
articoli i tuoi cosmici segreti:
nella tua chiarità, che ci riscatta
dalla tenebra morta del passato,
la densità ritorna rarefatta.
Dal più deserto azzurro
balénan-mio-corpo, rutilando
le tue curve cantanti
e gli occhi di silenzio del futuro …
Ed ecco il tuo strale sonoro in mezzo al petto,
ecco i timpani d’oro in queste tempie, ecco le corde-in-fremiti dei reni.
L’azzurro, come risoluzione del « gelo » e del « nero più nero del nero », e così pure le impressioni trascritte per i vari organi, sono elementi rigorosamente oggettivi.
Per l’inizio della visione:
di notte, quando l’intimo slancio dell’albero si emancipa
[dalla sua scorza di secoli,
e nell’azzurro, finalmente nero, disegna in limpide for-
[mule di luce
la direzione esatta al nostro sforzo, verso i suoi paradisi
[feroci ?
ci lampeggiano intorno, in silenzio, i fragori e i cicloni
[della visione reale,
che non può chiamarsi nemmeno « domani », essendo
[essa sola …
Il riferimento all’« albero » può riguardare un tema di meditazione, assunto come appoggio analogico per l’avviamento ad un’altra forma di coscienza che, come diremo, ha relazione col mondo vegetale. La visione si sviluppa:
… il notturno sangue, rallentato
nel suo sonno lucente, a un tratto esulta …
L’Uomo, che veglia le sue membra stese
n’ode in ampiezza cosmica l’occulta
gloria d’angioli, in lui fatta palese.
Ed anche:
… s’allentano i legami ostinati del cuore
e si profila nel buio delle mie notti un paese di luci e di
[musiche
un paese ove incontro me stesso come un essere nuovo …
Nell’improvviso barlume del sangue
io respiro le scene autorevoli, come d’un altro,
le gesta mondiali di un nume di ferreo vigore e di tutta
[certezza.
E ancora:
Esseri d’oro affiorano improvvisi
giù da nubi svuotate d’ogni buio;
ripùllulano in gesta musicali
dentro il mio vegetale respirarli.
Sonagliere di lampi, e coloriti
crudeli, come dèi d’epoche morte,
fanno sbandieramento di battaglia
sul mio riposo diventaTo sguardo.
E’ appunto la « memoria del sangue » che si desta, e diviene visione di stati primordiali. Tecnicamente esatto l’attributo di « vegetale » dato al respiro di questa coscienza, e collegato allo stato di sonno. Sonno e sede mediana hanno effettivamente corrispondenza col mondo vegetale – quello antecedente al demonismo delle forme animali di coscienza, e che nella reintegrazione iniziatica si presenta come Albero o Legno di Vita. Crocifisso in esso l’io fisico, animale (« passione » e « mortificazione »), ne fioriscono, nel simbolo rosicruciano, le rose del « sangue spirituale ».
Nel « nume di fèrreo vigore » si intravvede poi il riferimento ad uno stato più profondo, che « tocca » l’elemento minerale o saturnio, vera sede dell’« Oro », cioè della nuda potenza cosmica virile, la quale nell’uomo appare e agisce come « Io ». A ciò, ad ogni modo, è da riferirsi questo passo:
Con la più cruda scarica di gelo
ho toccato lo schema del possibile …
E’ il punto nullo, ove converge il corpo
fuor d’ogni suo disegno abituale,
nato pianeti e sfere di potenza …
E’ l’attimo turchino, senza scopi,
di là d’ogni durata …
E’ l’esser nulla, essendo Io solamente.
Folgore d’un crearsi onnimondiale
tu dormivi negli umidi recessi
del mio vegliare addormentatamente:
ma il tuo risveglio è forza di quiete
come una sparsa musica
rappresa in un tacersi.
« Quiete », in senso di calma stabilità sovrastante senza lotta, pax, nel senso iniziatico e si può pur dire regale, del termine. E « tacersi », come quel Silenzio che è l’« Oro » in cui si raccoglie la « parola », o ritmo, che è « argento ». Da questo punto procedono delle realizzazioni, che danno in atto alcuni rapporti di occulta corrispondenza con le nature del mondo minerale. Ecco i « Creatori »:
Esseri tutta potenza sopraggiungono sopra di noi
sono Esseri-cielo che pensano ferro e diamante dentro i
[macigni sepolti,
e saviamente spezzano ghirlande di fiacchi abbracci …
A stento s’accorda il loro frenetico giungere col ritmo
[del nostro petto
chè fiamme al galoppo sono il loro corpo dall’ampie cri-
[niere di vento …
Sfolgoranti potenze, da voi sgorga la forma perfetta del
[cristallo …
Alla vostra veglia frenetica spetta il nome che ognuno di
[noi già dice a sé stesso in anticipo.
Ed ivi ogni belva riceve quell’inaudito coro di pianeti
[ch’è il suo elastico slancio tessuto di sogni, in profilo
[di corpo.
L’ultimo passo costituisce una notevole sintesi intuitiva dell’essenzialità occulta del mondo animale. Non sarà « ermetico » per chi possa riferirla a qualcosa che egli stesso ha sperimentato. Per gli altri, sarebbe di poca utilità tentare di spiegarla. Già un altro accenno, su « forme sacre, animali erranti »
che a fior del suolo adombrano, dai cieli,
movimenti e stature siderali
dice molto meno. – Il « nome che ciascuno di noi dice in anticipo », in riferimento ad un « vegliare addormentatamente », è « Io»: la sua verità – come si è detto – è la sua assoluta potenza « in ferreo vigore e in tutta certezza » che si desta al livello della mineralità o terrestrità. Ricordiamo una volta ancora l’ermetico: « La sua potenza è perfetta se convertita in terra ». – D’altra parte, è stato dato altresì il riferimento al sistema osseo, che è la sede della mineralità dell’uomo ed il limite di quella sincope della forza assoluta, da cui ha tratto origine il corpo mortale. E’ infatti sentito come un arresto e un desistere
… il fuoco spento
di antichi dèi nel corpo minerale,
ove l’uomo è feticcio
irreale e terriccio.
Suggestioni della loro resurrezione sono spesso date, specie in due passi, il secondo dei quali appartiene ad una lirica dal titolo: « Il macigno ritorna luce ».
Sussulti d’armonie cosmiche, in croce
d’ossa stanno inchiodati a vecchi istinti
d’inerzia, quali antichi esseri estinti
che sono organi e sangue, ma che in voce
rivivranno, e in corale
d’un uomo universale.
Il dolore incristallito della terra pesa dentro di noi, quale
[scheletro vivo.
E’ l’antichissimo fuoco gelato di tutti i nostri sentieri
[quaggiù.
Figlio del sole, che dormi dentro la ressa delle tue ossa,
ti desterà la potenza di fuoco d’un volere mondiale ri-
[nato in te uomo,
Quello che vai presentando, come un sogno, nel macigno
[pulsante del sangue.
Questa potenza del Fuoco – l’Ur della tradizione magica mediterranea associato arcaicamente al Toro, e più tardi all’Ariete (in relazione al segno zodiacale che, con la processione degli equinozi, venne a dominare nel punto del risorgere annuale della forza solare) – è detta altresì: slancio agita-numi.
Riècco i millenari impedimenti
accerchianti il mio sangue agita-numi
che misurò in sillabe stellari
ombre di deità più che reali.
E’ da concepirsi altresì come il principio-moto allo stato puro, il moto che dorme nei moti, e, in noi, eminentemente, in quello del sangue:
La volontà che scuote il nimbo rosso
del sangue, in un alterno e sonnolento
polso, onde muove il moto in cui son mosso,
è la stessa che vuole alberi al vento.
Fra le corrispondenze minerali si presenta con particolare energia la seguente:
Nell’utero dei mondi hanno, le brame
nostre, virtù d’indurimenti atroci:
ossa-diamante e crudi ferro e rame
che sognano di sciogliersi …
Lo scatenamento, quando
l’oceanica angoscia d’esser mondi
suona nel polso del mio sangue …
quando l’
impeto in sensuale a dismisura
verso eccelsi splendori onniveggenti
fa di noi l’entità che disoscura
le tenebre del corpo in firmamenti
è quello della Parola Creatrice, l’attuosità primordiale che
allora soltanto sei tu, libera e solo te stessa,
quando fulminea crei le tue distruttrici presenze.
Sono distruzioni-illuminazioni, denudazioni degli enti-forza celati dietro ai semplici riflessi raccolti dalla percezione umana delle cose. Ecco una di queste esperienze:
Ecco il ritmo frenetico del sangue
quando gli azzurri tuonano a distesa
e qualsiasi colore si fa fiamma
nell’urlo delle tempie.
Ecco il cuor mio nella selvaggia ebbrezza
di svincolare in esseri le forme
disincantate a vortice di danza …
E fra l’altre manie del mezzogiorno,
ecco me, congelato in stella fissa,
ch’esaspero l’antica aria di piaghe
metalliche, sull’erba di corallo.
L’attributo di corallo all’erba, come pure varie altre associazioni con apparenza di stravaganze di tipo futuristico, ha invece corrispondenza oggettiva in una speciale percezione psichica. Lo stesso si dica per il riferimento alle tempie. Il « ritmo frenetico del sangue » nello stato di visione talvolta può avere un correlativo fisiologico: in certe tradizioni, anche di santi cristiani, si parla di un calore e di uno stato quasi di febbre. Nel nostro ambiente, del resto, si è avuto modo di constatare forme speciali di conoscenza accompagnantesi a temperature sui 40 gradi e ad una interessante fenomenologia.
Anche il « congelamento in stella fissa » in contrappunto con l’elemento dionisiaco della visione, non è una semplice figurazione: il suo valore simbolico-magico è noto nelle tradizioni iniziatiche.
Una trasformazione, in corrispondenza, si sviluppa nelle forme umane delle facoltà. Dalla parola, scaturiscono « imagini sonanti di una potenza libera che vola » a mezzo di
moti, che in noi lampeggiano dai suoni
dell’aria, che l’orecchio al sangue imprime,
rattenuti in motivi d’ascoltarsi.
E per il pensiero legato al cervello:
… i pensieri, che un rigore acuto
ammutisce entro schemi àlgidi e cupi,
fremono già nel lampo rattenuto
che ne farà miracolosi sciupi
di colori e di suoni
sbocciando in visioni.
« Sbocciare » è proprio il termine tecnico (sphota) usato nell’esoterismo indo-tibetano. E si è già accennato al corrispondente esoterismo del « fiore » in Occidente. Si affacciano sensazioni inusitate delle cose esterne:
Il profilo corporeo di un pensiero
che scese fuoco d’angelo inveduto
apre le braccia in albero …
L’aroma che si leva su dai suoli
simile ad incenso in nuvola propizia,
è il tatto d’uno spirito, che inizia
nuove energie di lave e di petroli.
Volontà di spiriti che alzano dei pensieri in uccelli:
Sono pensieri di dèì, che a strati a strati
s’infusero allo scheletro terrestre
e risorgono in voli dai prati
scattando come frecce da balestre.
Son percezioni che avvengono non più nella sede del corpo fisico, ma in altre sedi verso cui il sangue divenuto luce apre le vie facendole vivere come significati.
Osanna al corpo portentoso, aperto
agli influssi plurali: infimi, eccelsi!
Purgato d’invadenze, alacre in ogni
scia di veleni, è diafana purezza
di nutrimenti e filtri: è il lampeggiante
riconoscersi in queste atroci forme
di vizi e di paralisi d’oggetti.
Nel che vi è un certo riferimento anche a quanto si disse, nel commentare Milarepa , sul valore degli alimenti per lo yogî; inoltre, l’idea di una « paralisi » torna anche qui a dare il senso effettivo della conoscenza delle cose sotto specie di realtà fisica. Alcune corrispondenze macrocosmiche:
Nella testa e negli omeri è la forza
che in angeli potenti pensa terra,
come nel petto è sangue e ritmo di Sole …
E l’alta volontà, che stelle serra,
al ventre e nelle gambe arde e di smorza.
Sul ritorno dalle realizzazioni durante lo stato notturno si ha questo passo:
… qualcuno stanotte m’ha scosso.
Ad occhi socchiusi, nel buio, come pian piano tornando
[alla terra da altezze celesti,
mi sentivo discendere e svegliare.
Ed esseri-luce uscivano intanto da me, dileguando
Finché ho ritrovato me stesso, occhi aperti, nel letto.
Quando si giunge a sciogliere l’Io dalla sua condizione umana, si stabilisce quel rapporto assolutamente attivo, per cui il precedente senso di sé come un dato individuo sta ad esso, come una parola sta alla libera facoltà di parlare cioè di pronunciare, anche, tutta una serie di altre parole. Allora si consegue ciò che nelle nostre scienze si chiama individuo individuante e in Oriente kârana?arîra = corpo causante – e sul quale ebbimo già a dire. Le ultime poesie di Onofri contengono vari riferimenti ad esso, che lasciano altresì comprendere la natura plurale di quest’Io, o stato dell’Io: « L’arco, il cui dardo è ciascuno degli uomini sparsi nel mondo » – « L’uomo-dio, che sarà l’intera umanità » – ed anche:
… noi, sparsi al mondo a torme a torme,
vivremo la parola una e infinita
che in corpi innumerevoli aurea dorme.
Ritrova, nel tuo divenire
te-stesso, quell’Io glorioso
che ha il proprio crearsi
ma in uomini sparsi.
L’essere assolutamente sé stessi conduce all’esser colui che è al di là di qualsiasi « sé stesso » - all’individuo assoluto. L’Onofri, non giunto a liberarsi dalla suggestione di alcune vedute cristiane, in tali realizzazioni accentuava più l’aspetto « noi », « umanità » o « comunità », che non l’aspetto superiore relativo alla unità attiva e trascendentale – si può anche dire: l’aspetto agita-numi e agita-uomini – maggiormente consono alla tradizione iniziatico-magica. Ma ciò rientra già in un ordine diverso da quello che si voleva trattare: e non pregiudica il valore di quanto in queste poesie tradisce una effettiva esperienza e che, oltre ad essere interessante in sé stesso, può offrire utili suggestioni circa più di un argomento esoterico che si è già avuto occasione di trattare.