DELLA IMPRONTA DELLE COSE - CAPITOLO V
Della morte sulfurea e della resurrezione e reintegrazione del corpo nello splendore originario.
1.- Ogni vita e ogni movimento, l’intelligenza, la ragione e i sensi hanno radice nel solfo, che è a un tempo il desiderio della Natura e quello del libero piacere.
2.- La Morte e la costrizione provengono dal desiderio della Natura, la dilatazione e la vita del desiderio della libertà, il quale tinge così il desiderio della Natura tenebrosa da opprimerlo. La vita così s’innalza dalla morte. Senza luce non v’ha vita e quando la luce si estingue nell’essenza del Solfo regna la morte eterna, a meno che Dio non si commuova di desiderio piacevole in tale morte, non potendo questa tollerare la vita, se tuttavia il desiderio del libero Piacere nella Natura, in cui nasce questa costrizione che è la morte, non si manifesti.
3.- Perciò l’uomo passato attraverso la morte solforosa, non può essere rivivificato che mercé l’azione libera del piacere nel suo Fo, il quale commuove così il centro della Natura nella proprietà animica e nell’essenza dell’anima.
4.- Noi sappiamo che il Vero Solfo è un generamento di ogni spiritualità e corporeità riguardo alla sua prima sorgente celeste. Esso è anche il generamento dell’Essenza di tutte le essenze, perché tutto giace in questa sorgente primitiva contenuta nel Tempo e nell’Eternità. Ma è anche, secondo il regno di questo mondo, immagine dell’Eterno, perché in esso sono raccolti il tempo e la creatura, il visibile e l’invisibile.
5.- Ora l’uomo, come ogni altra vita, secondo il regime di questo mondo, è nato dal Solfo esteriore, partecipando egli stesso dell’interno e dell’esterno e la Creatura esteriore soltanto dell’esterno. Perché l’uomo è l’immagine di Dio,mentre gli esseri inferiori sono immagini secondo la figurazione del generamento interno nella sapienza divina, vale a dire nell’Essenza celeste secondo i due principi eterni profferiti.
6.- E l’uomo era buono e perfetto, creato secondo i tre Mondi come un’immagine e un tempio di Dio ed era l’Essenza stessa di ciò che Dio è secondo l’Eternità e il tempo nei tre mondi, ma con l’origine creaturale. Egli morì pel desiderio secondo l’essenza celeste divina, perché il desiderio interno, nato nel centro igneo che costituisce la vita della divina Essenza e che accende l’essenza della divina dolcezza in cui riposa la forma angelica, volgeva dal puro elemento divino verso la nascita temporale esteriore, sorgente delle proprietà planetarie e elementari. Così nell’uomo l’essenza divina, o corporeità interiore, non conservava più né regola né vitalità ed era la morte, perché il fuoco dell’anima della proprietà del Padre si stornava dalla proprietà del Figlio, nella quale solo si raccoglie la vita divina.
7.- Così l’anima nuda dimorava sola con la sua volontà verso il Solfo esteriore, mentre l’interiore restava nella tranquillità eterna e immobile, nel nulla in cui non si compiva più operazione alcuna.
8.- In modo che l’uomo non viveva che nel tempo col suo corpo esteriore. Il nobile oro della corporeità celeste che doveva tingere il corpo esteriore era scomparso e il corpo esteriore dimorava pertanto solo nella Vita della Natura con la forma e la proprietà di Marte, che è il furore solforoso e l’ira Divina e del mondo tenebroso. Ma poiché il corpo esteriore fu creato dal tempo, esso ricevè il regime degli Astri e degli Elementi. Il desiderio benigno della Divinità, che impregna il tempo affinché sia santa la vita nelle creature corporali, si spegneva poco a poco trasformandosi in acqua in queste creature e l’anima dovette contentarsi della luce del Sole.
9.- Allorché dunque la volontà e il desiderio si sottomisero al conduttore temporale, questo poté arrestare il loro Spirito e far perire il loro corpo. Perciò Dio ordinò ad Adamo di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male, se non voleva morire. Cosa che effettivamente accadde. Adamo morì nel Solfo, nel Sol del regno di Dio, che è il piacere della libertà divina, per cui rifulge lo splendore e in cui arde il fuoco dell’amore divino.
10.- L’unico rimedio a questa morte era il ritorno del desiderio di Dio nel Sol e nell’Essenza morta per riaccenderli al fuoco dell’Amore di Cristo. Solo così si poteva risollevare il corpo celeste e farvi risplendere ancora la Luce divina. Occorreva inoltre che il desiderio dell’amore rientrasse nel desiderio della collera per spegnerla e vincerla e che l’acqua divina coprisse il fuoco divorante dell’anima per annientare la morte furiosa nel Fiat austero del desiderio della Natura. Così il desiderio dell’amore poteva essere riacceso nell’anima e aspirarvi a Dio.
11.- Perché la Beatitudine dell’uomo consiste nel suo desiderio di Dio e quando il desiderio riceve la dolcezza divina, si fonde e diventa essenziale e lo spirito dell’anima, che giaceva sotto la collera come in un sepolcro, viene a risiedervi e resuscitarvi. Perché l’Amore tinge la morte e le tenebre e le rende ancora capaci dello splendore del Sole divino.
12.- Lo stesso dicasi della trasmutazione dei metalli. Il Solfo giace come un morto in Saturno, ma trattasi di una vita vegetativa a causa del Mercurio esteriore.
13.- Perché il corpo metallico raggiunga la sua maggiore perfezione, occorre che muoia al conduttore esterno, cioè agli elementi, e si riduca a un Solfo simile a quello che era nell’Elemento unico prima d’essersi rivestito dei quattro Elementi.
14.- Ora nessuno può ridurlo a tanta purezza se non colui che gli ha largito gli Elementi e che può ritoglierli. Solo colui, con Mercurio come operaio, può riprenderlo al Saturno tenebroso, trasmutarlo e separare da lui col fuoco i quattro elementi per ricollocarlo nell’Elemento uno. Tanto farà Iddio nell’ultimo giorno, separando col fuoco l’essenza dei quattro Elementi dall’Elemento puro, principio della corporeità eterna, nel modo istesso che alla morte dell’uomo i quattro elementi si distaccano dal puro elemento divino, che è l’uomo vero, e il corpo celeste rimane isolato.
15.- Il corpo giace in Saturno ravvolto in misere vesti; ma esso è marcato da Mercurio suo Padre e dal Sole sua madre e manifestato dalla vita di Marte. Però sua madre non si fa conoscere esteriormente, salvo che non si ecciti alla collera il suo operatore con la propria cattiveria. Quando la sua collera l’infiamma, esso diviene tanto altero e affamato che, non trovando da saziarsi in sé stesso, attacca il suo operatore e Creatore (come avviene del malvagio verso Dio), sinché non sia divorato e consumato esso stesso, salvo che non si plachi la sua frenesia. Ma nessuno può far ciò, se non Dio, e se egli non interviene a tempo, questa fame annienta il corpo nel furore e nella tenebra eterna.
16.- Questa fame non chiede che la misericordia divina per essere liberata dall’Angoscia infernale; ma non di meno non può ottenerla, perché è chiusa nella collera di Dio insieme alla tenera Madre che ha cominciato ad allattarla. Allorché poi Dio le invia la sua grazia e l’amor suo, la Collera se ne spaventa, la fame si pente della sua cattiveria e, volendo convertirsi, si sforza a spogliare il vecchio Adamo. Subito l’Artista la ritrae dalla Collera e si prepara a fecondarla; il vecchio Adamo diviene infermo e debole, affatto oscuro, nero, sinché non muoia; i quattro elementi si separano e intanto l’Architetto dell’amore divino lavora nell’oscurità al corpo del fanciullo che deve resuscitare la morte, senza che alcuno vegga tanto lavoro.
17.- L’Artista non lavora. Egli dà solo all’operaio la sua sostanza, sinché non scorga la vita vegetativa rilevarsi nella Morte oscura con un colore differente dal nero. Allora l’uomo nuovo è pronto. L’Artista presenta l’anima all’Architetto e costui meraviglia che un’altra vita entra in lui. Introduce l’anima nel nuovo corpo e si ritira nella collera. L’Uomo Nuovo resuscita dalla morte in una grande gloria e passando nella Collera vi rompe la testa del vecchio serpente. E la Collera è impotente contro di lui.