DELLA IMPRONTA DELLE COSE - CAPITOLO XI
Delle sette forme nel regno della madre e come la settima, la solare, si è vivificata a simiglianza della Resurrezione del Cristo.
1.- Se il Cristo morì secondo la sua natura umana, non ci si deve immaginare che morisse anche secondo la sua anima e ancor meno secondo l’essenza divina o tintura celeste. Egli non rimise tra le mani del Padre, nel gran mistero, che l’io, la volontà personale, le forze naturali, il regime esteriore, cose tutte che imperavano nell’uomo in disobbedienza a Dio.
2.- Tutto ciò non fu già annientato, ma lo Spirito di Dio soltanto ne divenne la vita e la potenza divina agì solo in Cristo. Perciò Dio stabilì di far compiere da Gesù il giudizio finale.
3/4 .- Quando il Cristo morì sulla croce, la morte non infranse il nome di Gesù, Verbo pronunciato dell’Amore, forma divina che tinge l’anima. No, ciò non fu, l’eternità non muore. Il Verbo pronunciato che risiede nel desiderio della pronunciazione, il suo Fiat, si trasformò in se stesso e il suo proprio desiderio lo condusse in una forma diversa da quella che il Verbo pronunciante gli aveva destinata. E’ quello che hanno fatto Lucifero e Adamo, passando dall’abbandono alla proprietà per divenire da operai padroni.
5.- La vita esteriore operante e sensibile si spense. Non divenne un nulla, ma cadde nel Nulla, nella volontà e nell’operazione divina, affatto fuori dalla volontà esteriore che è buona e cattiva e non fu più la costellazione nel mezzo dei quattro elementi, ma la natura del Padre eterno nel puro elemento divino.
6.- La vita umana tornò nel paradiso donde Adamo l’aveva fatta uscire, come disse il Cristo al buon ladrone (vedi Luca XXIII, 43). Questa vita caduta nella morte d’Adamo vi germinò, come la pianta germina dal seme, nella forza del Verbo parlante ritornato per la grazia nell’essenza celeste dell’uomo e penetrato nel centro animico, nel bel mezzo della carne, per cangiare in Amore la Collera e tingere di nuovo il sangue corrotto.
7.- La tintura divina e il sole divino entrarono nella tintura e nel sole umano, nella notte e nel sonno d’Adamo: Dio entrò pel nome di Gesù nell’umanità, nella persona del Cristo, nel mezzo della morte secondo Adamo.
8.- Adamo morì all’egoisticità nello stesso tempo del Cristo e il nome di Gesù schiacciò in noi il serpente. Cristo entrò nell’immagine di Adamo che in tal modo, per l’umanità di Gesù, divenne vincitrice del serpente e non fu la stessa creatura, ma la stessa qualità animica e corporale.
9.- Il primo Adamo cadde nel sonno e nella morte al mondo divino; il secondo Adamo imprigionò la morte, la debellò e la trasse nella libertà eterna, tenendosi, pel potere divino, nell’essenza del primo Adamo. Lo Spirito di Dio, mercé il Verbo parlante, trasse Adamo dalla morte nell’umanità del Cristo. Così tutti i discendenti d’Adamo partecipano al regno del Cristo e sono compresi in Lui nella carne, nell’anima, nello spirito; ma ciascuno serba la forza creaturale nella morte del Cristo. Ciascuno è un ramoscello, ma non v’ha che un tronco, che è Cristo in Adamo e Adamo in Cristo, e che è lo stesso per tutti i cristiani.
10.- Qui debbo dire come io sia morto al mondo in Cristo. Io sono questo Cristo, come un ramo è l’albero; ma siccome vivo ancora per la mia individualità esteriore, debbo morire con l’uomo esteriore insieme a Cristo e risuscitare con lui. Attualmente vivo in Cristo con la fede partecipo alla sua umanità e mi getto nella sua morte con la mia volontà. Così il mio uomo interiore non vive più secondo l’io e, abbandonato in Cristo, è sepolto nella sua morte.
11.- Ma siccome Egli è risuscitato nella volontà di Dio, io vivo nella sua resurrezione, mentre il mio corpo terrestre vive la vita terrestre sinché non sia entrato affatto mercé la morte nell’abbandono e nell’annientamento. Allora Cristo lo desterà col mio uomo interiore. E come Egli s’è levato di tra i morti, io, che debbo morire in Lui a ciò che è terrestre, mi rileverò in Lui come nel mio primo padre Adamo nel nome di Gesù.
12.- Il ramoscello imputridito dal peccato ch’io mi sono, riceverà da questo nome la linfa e il vigore; mercé sua, che è una potenza secondo il padre mio Adamo, la mia umanità rinverdirà e darà frutti in gloria di Dio. Lo spirito della mia volontà, che ora è nell’umanità del Cristo e che vive per suo Spirito, per Sua virtù prodigherà la linfa al ramo disseccato, affinché nel giorno finale, al richiamo delle trombe celesti, che sono la voce del Cristo e la mia propria voce in Lui, risusciti e rinverdisca nel paradiso.
13.- Il paradiso sarà in me stesso; tutto ciò che è Dio Padre, tutti i colori le forze e le virtù della sua eterna saggezza appariranno in me a somiglianza sua; io sarò una manifestazione del mondo spirituale divino, un istrumento dello Spirito di Dio, di cui Egli farà uso con la mia propria sonorità, che sarà la sua impronta; io sarò la viola del suo Verbo pronunciato. E non io solo, ma tutti i miei fratelli. Lo spirito della sua bocca ci farà tutti vibrare.
14.- Dio s’è fatto uomo a tal fine. Perché il magnifico istrumento costruito per la sua esaltazione e che non voleva funzionare, fosse rettificando, così il canto d’Amore risuonasse sulle sue corde. La sua armonia è penetrata in noi, Egli è divenuto ciò ch’io sono e m’ha fatto ciò che è. Così posso dire che pel mio abbandono io sia divenuto una voce della sinfonia divina e io me ne rallegro insieme a tutti coloro che con me sono intenti all’opera eterna di esaltazione.
15.- Sappiate, cari compagni che sostenete la vostra parte in questo concerto spirituale, che tutto ciò che Gesù ha fatto per Cristo per la sua umanità e per la mia, lo fa ancora oggi per voi e per me. Egli è morto per la mia egoisticità e io muoio alla mia egoisticità per la sua morte; Egli s’è abbandonato per intero al Padre e il Padre lo ha risuscitato col suo Spirito e gli ha dato forma regale, secondo la Santa Trinità, con cui e per cui Dio giudicherà tutte le cose in questo mondo.
16.- Dio ha risuscitato altresì in Cristo il mio spirito e l’anima mia pel gran nome di Gesù. Pertanto, con l’abbandonarmi a Lui, io non morrò essendo egli morto per me; la sua morte, da cui è resuscitato è divenuta la mia vita eterna; io sono agonizzante in Lui e non di meno in Lui non v’ha morte e con Lui io muoio all’io e al peccato . Non appena la mia volontà esce dall’io per entrare in Lui, io muoio ogni giorno a me stesso sino a che non raggiunga la meta dell’io e che essa non si annichili affatto insieme ai desideri terreni. Allora tutto quello che in me ricerca se stesso, cadrà nella morte del Cristo, come nella prima madre da cui Dio lo trasse. La mia egoisticità sarà un nulla e riposerà nell’abbandono, come un istrumento che Iddio usi a suo piacere.
17.- L’anima mia e lo spirito vivono nella sua resurrezione e la sua armonia è in me secondo l’abbandono; il Verbo suo, che è l’io, poiché io non sono più me stesso secondo la mia egoisticità, risveglierà anche il mio corpo morto, che gli rimetto, e lo ricollocherà nella prima immagine da cui fu creata.
18.- Io vivo in Dio, ma l’io che vive in Lui non lo sa. Dio è in esso, ma esso non lo concepisce e nasconde con la sua umanità la piccola perla ch’io mi sono in Cristo. Così parlo e scrivo intorno al Gran Mistero, non perché l’io l’abbia penetrato, ma perché esso colpisce la mia impronta pel desiderio mio che penetra in esso. Io mi conosco, non nel mio io, ma nell’immagine di questo mistero che si riflette in me mercé la grazia e che attrae a se l’io con l’abbandono. E lo stesso è di voi, cari fratelli, in cui questo mistero si riverbera con la mia concezione.
19.- La maledizione di Dio fa agire nelle rispettive proprietà il solfo, il mercurio e il sale, il tutto secondo la proprietà del primo principio. Se Dio non avesse creato il sole come dio della natura esteriore capace di tingere ogni vita vegetativa, ciò sarebbe l’impressione della morte nell’abisso infernale.
20.- Perché una cosa possa esser liberata dell’io dalla morte furiosa e reintegrata nell’universo o perfezione, occorre che muoia a sé stessa, nel silenzio dell’abbandono. Marte deve perdere la sua forza ignea, Mercurio la sua vita velenosa, Saturno la vita, in modo che l’artista non veda più che la gran tenebra. Allora appare la luce, secondo quanto afferma San Giovanni: « La luce rifulge tra le tenebre ».
21.- Le tenebre non possono comprendere la Luce secondo la volontà propria, ma nell’abbandono il nulla irraggia come la libertà di Dio, manifestandosi fuori della morte, perché non vuole, né può essere un nulla. Esso non può manifestarsi altrimenti che pel libero desiderio fisso, che è anche un nulla, poiché non contiene effervescenza irosa. La sua fame è spenta e il desiderio della libertà eterno ne è la vita.
22.- La migliore essenza s’è mossa ed è divenuta un essere visibile e comprensibile, e nell’uscire fuori di se stessa verso il nulla, si plasma per riprodurre la stessa essenza che era prima del tempo. Ma il Verbo Fiat crea ancora oggi l’essere corporale e produce nell’opera filosofica un’essenza fissa e perfetta che esce dalla morte con una nuova vita, come Dio è resuscitato in Cristo, quando noi moriamo all’io e ci abbandoniamo a Lui per intero.
23.- Così quando il Mercurio pronunciato nel Solfo di Saturno abbandona la proprietà di Venere, il Verbo, Fiat la trasmuta secondo il desiderio della libertà. Il cadavere si rileva con un corpo nuovo d’un bel colore bianco, sebbene poco riconoscibile perché velato. La materia tarda a risolversi e quando è ridivenuta desiderosa, il sole vi si leva, secondo il Verbo Fiat, nel centro di Saturno con Giove Venere e le sette forme. Ed è una creazione nuova, solare, bianca e rossa, maestosa, luminosa e ignea.
24.- Dopo la sua resurrezione, Cristo percorse in quaranta giorni il mistero dei tre principi nella proprietà del primo Adamo, prima del suo sonno e prima di Eva, si fece vedere dai suoi discepoli, secondo l’umanità esteriore, e fece riconoscere loro il suo corpo. L’artista comprenderà come la materia prima scompaia nella morte della sua vita, che è la Collera furiosa, e risusciti nell’essenza anteriore alla maledizione; essa è fissata allora nel fuoco, essendo morta al regime dei quattro elementi e vivente nella quinta essenza. Non è però la quinta essenza e solo vi riposa e lo spirito del nuovo corpo vi fiorisce, come Adamo fioriva nell’innocenza e nella perfezione.
25.- La nostra umanità corrotta, in cui il Mercurio era divenuto un tossico, fu tinta dal Cristo col sangue celeste della Verginità divina. L’abbandono fu scosso, il desiderio saturniano marziano e mercuriano si spense nel sangue di Venere e rinacque nella Volontà e nell’Amore unico.
26.- L’artista osserverà, che in questa valle di lacrime la tintura è per l’uomo più nobile del corpo che non vien resuscitato, perché lo spirito è la vita di cui il corpo non è che un’immagine.
27.- Il sangue è la dimora dello Spirito. Ciò si riconosce quando la perla dello sposo versa il suo sangue sotto i colpi dei tre assassini, quando il cavaliere penetra nell’inferno e l’io umano cede, quando il leone bianco mostra il suo colore rosso. In tutto ciò si compendia la guarigione della malattia e la morte della morte.
28.- Nella morte pel sangue dell’Amore, il corpo materiale si risolve in corpo celeste. La tintura s’incarna e scompare quando il corpo sorge nel fulgore solare, infondendosi intera nell’essenza corporale, di cui è lo splendore e il colore. L’artista non può più separarle, perché sono unite nella quinta essenza, nel mistero del Verbo Fiat, sino alla manifestazione del Giudizio finale. Dopo seguirà il tempo del mare di cristallo, davanti il trono dell’Anziano.(Apocalisse, 4, 2 a 8).
BREVE ESPOSIZIONE DELL’OPERA FILOSOFICA
29.- Il nostro dire potrà sembrare oscuro al leggitore, benché gli esponiamo il Cristo in dettaglio, né bisogna stupirne. Noi non cerchiamo le ricchezze e i beni temporali, noi non vogliamo destare nell’uomo curiosità indiscrete. Ma ci rivogliamo ai prescelti da Dio, perché il tempo è venuto in cui sarà ritrovata la pecorella smarrita, non solo in riguardo all’universale nella materia di questo mondo, ma anche in relazione alle anime.
30.- Nei due campi unico e breve è il processo. L’albero si divide in sette rami: è la vita. La maledizione di Dio s’è rovesciata sulle sette forme, che si combattono l’un l’altra, si melefiziano reciprocamente e non possono pacificarsi se non nella morte delle rispettive volontà.
31.- Ma ciò non può avvenire senza che la morte non penetri in loro, come la divinità in Cristo per l’io umano, uccidendo le sette forme della vita umana per farle tornare alla vita. Cristo, sole eterno, trasmutò per mezzo dell’abbandono la volontà in Dio. Così nell’opera tutte le forme debbono cangiarsi in un sole unico. Son sette, ma non hanno più che un desiderio e ciascuna si abbandona alle altre nell’Amore.
32.- L’artista cercherà annientare la morte con la vita pura e risvegliare la vita celeste, addormentata e imprigionata nella maledizione, perché riceva ancora il fuoco animico. Se giungerà a far tanto, avrà condotto a termine la sua grande opera.
33.- Quando la vergine accetta il nuovo fidanzato infedele, quest’ultimo non ha che un mezzo a sua disposizione, l’immagine celeste di Dio che è in noi non può essere ricostituita, se non viene animata dallo stesso Spirito di Dio e resa con lui nel fuoco animico, nel furore della morte, per stemperare la Collera nel sangue dell’essenza celeste e benché non v’abbia in ciò né separazione, né distruzione, nondimeno il furore s’estingue e si cambia in gioia e in amore.
34.- L’opera dell’artista non consiste in altro, perché l’uomo ha in sé tutte le essenze del cielo e della terra. Ma nel divenire terrestre, la maledizione che si meritò colpì anche la sua parte terrestre, e il cielo interiore gli fu interdetto, nonché il cielo della terra, dei metalli, degli alberi e di quant’altro serviva al suo diletto.
35.- L’anima della terra è entrata nella Collera come proprietà del fuoco del primo principio; l’artista dunque deve riunire quest’anima e quel cielo e ricollocare la prima nel secondo. Per compier ciò, non può lasciare all’anima la sua cattiveria e poiché questa si rifiuta a liberarsene, occorre introdurre il cielo nell’anima, fare che questa se ne alimenti per amore o per forza e che vi si spenga, per quanto violentemente si sottragga, fino a penetrare in esso e ad ucciderlo, come gli Ebrei fecero col Cristo. Quando l’immagine celeste spenta soccombe alla rabbia dell’uccisore, inspirandogli il suo desiderio, quest’ultimo si atterrisce dell’Amore e pel suo spavento s’innalza sino all’essenza celeste.
36.- Quest’ultima riceve dunque il baleno del fuoco e gli si dà; esso è forzato ad alimentarsene e ad abbandonare il centro e l’essenza celeste è la sua vita non appena la luce balza dal fuoco. Come un pezzo di ferro arroventato rischiara pur conservando la sua materialità, così il cielo scomparso riappare nel fuoco mercuriano e marziano dell’anima e unifica le sette volontà, facendone cessare le lotte senza distruggerle.
37.- Ciò è un universale che trasmuta anche le lotte delle malattie del corpo umano in un’unica volontà. Quando si placa l’ira delle sette forme, tace anche la fame della volontà: tale è il procedimento generale. Io non posso spiegarlo più chiaramente e colui che non vuole cercare per tal via il modo di divenire un uomo rigenerato in Dio, butti in un canto il mio libro.
38.- D’altra parte, egli non lo comprenderebbe completamente, né concepirebbe lo Spirito dell’Universale senza l’esercizio incessante dell’abbandono in Cristo. Se egli cede solo a una curiosità indiscreta, s’egli si metterà risolutamente al lavoro, troverà senza troppo cercare, perché il mistero è infantile.