DELLA IMPRONTA DELLE COSE - CAPITOLO XV
Della volontà del Gran Mistero secondo il bene e il male, da cui derivano la buona e la cattiva volontà, e in che modo esse s’influenzino reciprocamente.
1.- Ogni proprietà proviene dal Gran Mistero, che è il desiderio verso la Natura, e se ne sprigiona come l’aria s’esala dal fuoco. L’irradiarsi d’una volontà non ha consistenza, perché non possiede qualità. Il primo principio dimora in sé e ne esce sotto forma di volontà.
2.- In questa via dell’eternità non vi sono interruzioni, perché ogni cosa vi dimora in sé stessa. Quando la forma del Gran Mistero si manifesta, essa si perpetua nell’eternità con la sua radice.
3.- Ma non appena s’introduce in un altro desiderio, queste due proprietà generano la lotta. Nell’eternità non v’ha che l’elemento unico e il libero desiderio, di cui il fremito è lo spirito di Dio.
4.- Quando il Gran Mistero si muove e il desiderio appetisce l’essenza, la lotta comincia. Nascono i quattro elementi con le loro molteplici bramosie per governare un sol corpo e ne provengono il caldo e il freddo, il fuoco e l’acqua, l’aria e la terra, di cui l’uno rappresenta la morte dell’altro.
5.- La creatura sottomessa a questo regime non vi incontra che un’agonia perpetua, salvo che non riacquisti un’unica volontà; ma allora la molteplicità delle volontà deve scomparire e la bramosia deve tacere. Da ciò son provenuti gli elementi, perché la volontà torni ad essere quello che era nell’eternità.
6.- Riconosciamo che noi stessi siamo sotto il regime dei quattro elementi nella lotta, nella contrarietà, nel disgusto, nel desiderio della morte e che siamo altresì i nemici di noi stessi. Se la volontà, che Dio ha insufflata col suo spirito a immagine sua fuori dall’eterno mistero, vuole mostrarsi ancora, bisogna che muoia ai quattro elementi per ritornare in quello da cui è uscita e che accetti l’eredità eterna per la quale è stata creata. Tutto ciò che vive nella volontà di Dio non proviene dalla bramosia personale, o vi è morto se ne è provenuto.
7.- Qualunque volontà che rientri nel suo io e che cerchi la base della sua vita, si distacca dal gran mistero e lo combatte. Il fanciullo è cattivo perché disobbediente alla madre, ma se si piega ai suoi desideri nulla potrà farlo cadere nell’effervescenza irosa e rientrerà nell’essenza da cui è uscito.
8.- Uomo, comprendi ciò che dovrai fare, contempla in te stesso quello che sarai eseguendo gli ordini materni. Altrimenti tu sarai un fanciullo indocile, che di sé stesso è fatto un nemico, tu non potrai abitare che in te e per tua colpa tu sarai ammalato, perché tu ti suicidi.
9.- Bisognerà che ti spogli della tua bramosia, che divenga un nulla per essa, che volga all’Eterno i tuoi desideri, che ti abbandoni alla volontà di Dio, perché fuor di ciò non v’è che vanità pena e agonia perpetua.
10.- La scelta della grazia riposa sulla volontà umana. Se questa sa ben morire a sé stessa, la sua prima madre l’elegge l’adotta e la ricongiunge alla volontà divina. Ma chi dimora nell’io, dimora nel peccato, poiché è nemico di Dio.
11.- Costui non può compiere nulla di buono esteriormente, perché interiormente non realizza che la morte e da un tale atteggiamento deriva altresì la menzogna, dato che la creatura rinnega l’unità divina e si mette al suo posto. Se riconoscesse a sua madre l’essenza universale, se non se l’appropriasse, la creatura non genererebbe l’avarizia la gelosia e l’odio.
12.- Ogni peccato deriva dall’io, che tutto vuole attrarre a sé e s’inimica ogni essenza estranea, così che il peccato lotta contro il peccato, il disgusto contro il disgusto nell’abbominazione della Madre eterna.
13.- La volontà rigenerata, che esce da sé stessa per entrare nell’abbandono, è nemica dell’io, come la salute è nemica della malattia e tra loro si fanno guerra senza posa.
14.- L’io non cerca che ciò che può essergli utile, l’abbandono non desidera che la Madre eterna. Il primo dice all’altro: « Tu sei insensato ad abbandonarti alla morte, tu vivrai bene, menti in me ». E il secondo gli risponde: « Tu sei il mio disgusto e il mio tormento, tu non puoi che condurmi fuori dall’eternità, nella miseria, per dare il mio corpo alla terra e l’anima mia all’inferno ».
15.- Il vero abbandono è la morte del disgusto di Dio. Colui che abbandona il suo io e si confida, con tutto il cuore con tutti i sensi e con tutta la volontà, alla misericordia divina nella morte di Gesù Cristo, è morto alla terra. Costui è un uomo duplice. Il disgusto si suicida in lui e la volontà abbandonata vive e risuscita col Cristo e benché il desiderio proprio pecchi non potendo far altro, la volontà abbandonata non vive nel peccato, ma mercé il Cristo nella terra dei vivi, mentre l’io vive nel paese dei morti.
16.- L’uomo terrestre, per la maledizione, è in orrore alla santità di Dio. Esso non può che ricercare sé medesimo e se compie alcunché di bene, vi è forzato dalla volontà abbandonata, che si serve di lui, come essa stessa serve di strumento alla volontà divina.
17.- Colui dunque che vuol pervenire al regno di Dio, deve fare uscire l’anima dall’io e come il medico libera l’ammalato dal dolore e cangia la malattia in piacere d’amore, così la volontà terrestre trattata dall’anima diviene l’ancella della volontà abbandonata.
18.- L’uomo elementare e siderico non deve essere che lo strumento dell’uomo animico. Dio l’ha creato per questo. In Adamo l’anima l’ha preso per maestro e ne è divenuta la prigioniera e se vuol farsi figliuola di Dio deve morire ai desideri terrestri, rinascere alla volontà di Dio per la morte del Cristo, regnare sull’io e tenerlo a freno, perché l’io tende sempre verso la luce propria, la molteplicità, l’invidia, la collera e la menzogna, se non raggiunge i suoi desideri.
19.- Ma la volontà abbandonata schiaccia senza tregua la testa di questo serpente e gli dice: « Tu sei nato dal diavolo e dalla Collera ed io non voglio saperne di te »; e benché essa sia stata sino allora irretita nei falsi desideri, perché il diavolo opprimeva la sua immaginazione, implora Dio affinché la liberi dall’obbrobrio della morte.
20.- In questo combattimento essa non ha riposo, perché abita una casa malsicura. In sé stessa è nelle mani di Dio, ma fuori di sé sta nell’abisso della Collera e nel regno del diavolo, che non ristà dal circuirla. Ma gli angeli buoni la proteggono dalle immagini velenose e dai dardi infiammati, come dice San Paolo.
21.- L’Amore e la Collera si contendono l’uomo; entrambi sono in lui ed esso è padroneggiato da quello dei due principi eterni verso il quale si dirige. Se l’anima dimora nell’io, è signoreggiata dalla Collera; se si abbandona alla misericordia nelle sofferenze del Cristo nella sua resurrezione e nella sua ascensione, se non vuole che ciò che Dio vuole, muore alla Collera e all’io e il diavolo nulla può su di essa. Essa non vive, ma l’eternità vive in essa; essa ritorna nel luogo ove era prima di diventare una creatura; essa è un istrumento nella sinfonia divina, che solo lo Spirito di Dio può far risuonare in gloria sua.
22.- Ogni movimento personale è vano, la volontà propria non concepisce nulla di Dio, ma la volontà abbandonata non fa nulla che per lo Spirito in cui riposa e di cui è lo strumento.
23.- Benché l’io possa apprendere e fare molte cose, la sua concezione non risiede che nel verbo pronunciato, nella forma delle lettere e non comprende nulla del verbo pronunciante, perché esso è nato dall’esteriore e non dalla Madre universale, che non ha fondo né principio né fine.
24.- Colui che è nato dal Verbo pronunciante è libero e non è legato a forma alcuna, perché è la volontà eterna a condurlo secondo il beneplacito di Dio.
25.- Colui che s’attacca alla lettera è nato invece nella forma del Verbo pronunciato e procede secondo l’io e stanca lo spirito che ha foggiato la forma.
26.- Un simile dottore è Babele. Disputa sulla forma secondo la comprensione personale e non è che un bronzo sonante, che nulla comprende dello spirito e che discute senza forma né misura. La reputazione e le concezioni proprie esteriori non sono il verbo di Dio, ma ciò che procede dalla volontà abbandonata secondo lo spirito al Verbo parlante e che modella nel cuore la forma con cui l’anima è attratta da Dio.
27.- Il vero pastore è quegli che entra per porta del Cristo, che insegna con lo spirito del Cristo. Fuori di ciò non v’ha che la forma storica, che pretende bastare a consolare. Ma essa resta fuori, poiché non vuol morire a sé stessa con la grazia.
28.- Tutto quello che parla della redenzione del Cristo, senza insegnare la vera base, che è la morte dell’io e l’abbandono fanciullesco dell’obbedienza, è esteriore e non proviene dalla porta del Cristo.
29.- Le consolazioni ippocrite non servono a nulla; occorre morire col Cristo alla falsa volontà, annientare senza posa l’io terrestre, soffocare il male disseminato nell’aria.
30.- La vera fede non consiste nel parlare del Cristo, che è cosa esteriore. Occorre una volontà convertita che rigetti il male, che s’allontani dai desideri terrestri, che penetri in Dio, che non voglia uscire dalla morte del Cristo, che preghi sempre: « Caro Padre, accetta per me l’obbedienza di Tuo Figlio, fa che io viva nella Sua morte, che viva in Te per la Sua Umanità, prendimi con lui nella Sua resurrezione, dammi la Sua vita, fa che sieno mie le Sue sofferenze, ch’io m’abbia la Sua forza per morire e che al Tuo cospetto io sia come una gemma di quest’albero ch’Egli è ».
31.- Tale è la vera fede. Il suo desiderio tocca le sofferenze del Cristo, si prosterna a Lui, si sprofonda nella più grande umiltà, sopporta tutto per ricevere la grazia, prende la croce e disprezza il dileggio dell’egoismo universale.
32.- Questo desiderio rigoglia dalla morte del Cristo, fiorisce nella sua resurrezione e matura, nella pazienza, frutti nascosti di Dio e invisibili all’uomo esteriore.
33.- Il vero cristiano è un cavaliere imitatore del Cristo sulla terra. Gesù vinse la morte e introdusse la volontà umana nella vera obbedienza, com’è anche desiderio del vero cristiano.
34.- Perciò, cari fratelli, diffidate del manto di porpora; senza abbandono, senza pentimento, senza conversione, cotesto manto non sarebbe che uno scherno. E guardatevi dagli insegnamenti personali e dalle opere di giustificazione particolare.
35.- Il vero cristiano è egli stesso la Grande Opera, che agisce senza posa nella volontà di Dio contro il desiderio personale, benché sia sovente ostacolato dall’io. Ma egli lo doma e rigoglia come un bel fiore nello Spirito divino.
36.- La cristianità deve ben comprendere che, volendo uscire fuori dalle vane consolazioni senza cambiare la volontà, non otterrebbe che una forma esteriore di rigenerazione. Un cristiano non deve formare che uno spirito solo col Cristo e né la forma, né le buone parole possono aiutarlo, ma solo la morte della cattiva volontà. Anche la scienza non serve a nulla e la sottigliezza delle discussioni non è che un impedimento. Il pastore è tanto vicino a Dio quanto il dottore.
37.- La vera volontà entra nell’Amore, non ricerca forma alcuna, ma cade ai piedi del suo creatore e implora la morte dell’io. Essa ricerca l’opera dell’Amore contro tutti e non vuol fiorire che in Dio, la sua vita intera non è che penitenza e pentimento, non chiede splendori, ma l’umiltà, si ritiene indegna e il suo cristianesimo le sta nascosto nel suo io.
38.- Essa dice: « Io sono un servo inutile e non ho ancora incominciato seriamente a far penitenza ». Essa cerca la porta della grazia, come una femmina nei dolori del parto. Il Signore le si nasconde, perché aumenti il suo travaglio ed essa semina tra le lacrime e non scorge i frutti che sono nascosti in Dio e corre verso la meta come un messaggero e non trova riposo sinché non scorge la perla. E quando questa scompare davanti all’io, ricomincia il cruccio dell’anima ed essa chiede notte e giorno e non tace che quando le tenebre si dissipano ai primi raggi del sole che sorge.
39.- Guardatevi pertanto dalle discussioni dotte. Il vero cristiano è morto ai desideri dell’intelletto e non cerca che la scienza dell’Amore e della grazia. Il Cristo modellerà egli stesso in Lui la forma, la forma esteriore è soltanto introduttrice e Dio deve divenire uomo, senza che l’uomo possa divenire Dio.
40.- Perciò, come disse Isaia, XI, 19, un cristiano è l’uomo più semplice del mondo. Tutti i pagani sono cupidi della proprietà e si precipitano sul potere e sugli onori; ma un cristiano non chiede che morire a ciò e non cerca che l’onore del Cristo. Ogni disputa intorno ai piaceri della vita è pagana e più che pagana diabolica. L’uomo della falsità è uscito da Dio per rientrare nell’egoismo, rivestendo il manto del Cristo.
41.- Se costui vuole essere un cristiano, deve morire all’io e rigettare le spoglie di questo mondo, in cui non è che un pellegrino, rammentando che è il servo di Dio e non di sé stesso. Tutto quanto agisce per sé, senza l’ordine di Dio, appartiene al diavolo e lo serve. Abbigliati pure a tuo piacimento, tu nulla vali al cospetto di Dio e la tua grandezza a nulla ti serve presso di Lui. Anche se tu fossi re, non saresti pur sempre che un servo e, insieme ai più miseri, dovrai pure passare attraverso la rigenerazione, senza della quale non potresti più contemplare Iddio.
42.- Ogni potere personale da cui i miseri vengono oppressi appartiene all’egoismo e nasce dalla forma pronunciata che s’è particolarizzata e s’è allontanata da Dio. Tutto ciò che non serve Dio è falso, sia esso alto o basso, dotto o ignorante. Noi tutti siamo servi di Dio e nulla diventa personale che non proceda dalla Collera di Dio nell’impressione della Natura.
43.- Se un cristiano possiede in proprio alcunché di reale, non è meno per questo l’intendente del Signore e tutto ciò ch’egli volesse stornare per l’egoismo, lo condurrebbe nel carcere dell’avarizia dell’invidia e della carne, rendendolo concussionario dei beni di cui Dio gli confidò l’amministrazione.
44.- Il vero cristiano non ha nulla di suo; che cerchi, che semini, che costruisca, egli pur sempre lo fa pel Signore e a lui dovrà renderne conto. Se si preoccupasse di ciò che fanno i suoi amici tra i piaceri mondani, sarebbe ancora lontano dal regno di Dio, non potrebbe dirsi in coscienza un cristiano, non sarebbe ancora che nella forma del cristianesimo e non nello Spirito del Cristo. La forma si distrugge col tempo e solo lo Spirito sta in eterno.
45.- Il vero cristiano deve esserlo in ispirito e lavorare a dare una forma allo spirito, non con le parole ma con le opere. Predicare non basta, occorre morire realmente all’io, per rinascere, col volere di Dio, nell’Amore in qualità di esecutore dei Suoi miracoli; occorre sostenere la propria parte nel concerto divino, nel Verbo perpetuamente creatore, e operare ciò che Dio fa e crea.
46.- Osserva tu dunque, o cristianità, se tu operi secondo il Verbo attivo di Dio, se non sei semplicemente nella forma del cristianesimo, mentre il tuo io agisce nella vanità. Osserva quale abbominazione tu non sia diventata al cospetto dell’Altissimo, di cui hai pervertito il Verbo ricoprendotene. Necessità che tu infranga la falsa forma e il Cielo t’aiuterà a distruggere l’opera che hai compiuta nell’effervescenza irosa, ornandoti a torto del vero Nome, quando non servivi che l’uomo terrestre.
47.- Il vero servo sarà ricercato, il Signore raggrupperà le sue pecore, gli orgogliosi conosceranno cosa sia il giudizio del Signore, ogni speranza atea sarà infranta, perche approssima il giorno del raccolto. Il timore di Dio fa tremare il mondo, la Sua voce rimbomba sino ai confini della terra, la stella dei suoi miracoli sorge. Nessuno prevedeva ciò, perché questo segreto è sigillato nel consesso dei vigilatori.
48.- Che ciascuno dunque si esamini, poiché è prossimo il tempo. Tutti i falsi desideri sono stati raccolti nell’effervescenza irosa, il grande motore di tutti gli esseri scopre ciò che era nascosto in questa effervescenza e ogni cosa ritornerà al suo custode eterno. Tutto è venuto dal desiderio, tutto finirà nel desiderio e ogni desiderio raccoglierà il suo frutto. Il miracolo dell’eternità ha assunto la forma temporale e rientrerà nel suo luogo d’origine. Tutte le cose ritorneranno laddove si son mosse, pur conservando la forma che si son creata nel Verbo pronunciante.
E’ la fine del tempo.
49.- La volontà propria dà una forma propria, la volontà abbandonata a una forma secondo l’eternità. Ciò che è individuale si modella da sé, ma ciò che è libero riceve la volontà libera. La forma personale non può ereditare dall’Essere Unico, perché laddove v’hanno due volontà in un solo essere, ivi è la lotta.
50.- Poiché Dio è Unico, tutto ciò che vuol vivere in Lui deve sottomettersi alla sua volontà. Una viola deve essere accordata, benché ciascuna delle sue corde emetta un suono differente, e lo stesso è della natura umana e se uno spirito volitivo non volesse sottostare alla concordanza, sarebbe respinto verso coloro che gli sono simili.
51.- Uno spirito divenuto malvagio andrebbe coi malvagi, perche ogni fame ricerca il cibo analogo. La manifestazione eterna non è che una fame e tale essa è, tale sarà il suo compimento. Essa è il principio della creatura e anche la sua reintegrazione. Mercé la fame, si genera lo spirito col corpo; per essa esso rientra nell’eternità, morendo a se stesso, e la morte è il solo mezzo per cui lo spirito possa cambiare di forma. Se muore a se stessa getterà un nuovo germoglio, non più secondo la fame primitiva, ma secondo la sua fame eterna. Se una cosa ritorna nel suo nulla, ritorna al Creatore che ne fa ciò a cui la volontà eterna l’aveva destinata e tale è il vero scopo dell’eternità.
52.- Tutto ciò che circola nella Natura, si tormenta. Ma ciò che arriva allo scopo della Natura, raggiunge il riposo e agisce nell’unità del desiderio. Quello che produce la lotta nella Natura, produce la gioia in Dio, perché tutta l’armata Celeste è disposta in una sola armonia. Ciascun segno angelico è un istrumento e tutti insieme costituiscono l’orchestra dell’Amore divino. Ciò che Dio è in sé stesso, l’uomo lo è in Lui: Dio Angelo, Dio Uomo, Dio tutto in tutto. Fuori di Lui non v’ha più nulla. Come tutto era prima del tempo, tutta la creazione così dimora in Lui nella eternità e il principio e la fine sono eguali.