PRIMO PRINCIPIO INFIGURABILE, IL CAOS
I primi tre principi, privi di forma e infigurabili
Prima di prendere in esame le statue ideali, che vengono plasmate secondo una forma determinata, dobbiamo far menzione prima dei tre principi infigurabili, in modo da completare il numero dei sostrati da considerare.
I tre principi infigurabili sono: il Caos, l’Orco e la Notte. Di queste tre figure, il Caos rappresenta il vuoto, l’Orco rappresenta la potenza passiva e ricettiva, la Notte la materia.
Il Caos, è il primo dei principi infigurabili
Il Caos non ha una propria statua, né una propria figura, né un simulacro fantastico – ovvero, non può essere rappresentato dalla facoltà immaginativa: ammette però una rappresentazione razionale, in quanto può essere concepito dalla ragione, e non senza verità. Ecco dunque i trenta articoli che ne descrivono i loro caratteri specifici.
1°) E’ indizio della sua presenza la successione dei corpi nel medesimo luogo: singole parte di aria si susseguono infatti ad altre parti di aria, allo stesso modo in cui parti di acqua si susseguono ad altre parti di acqua, e questo ci permette di capire come né l’aria né l’acqua possano essere identificate con lo spazio, ma si trovano nello spazio, il quale senza dubbio deve essere inteso come un principio diverso, distinto da entrambi gli elementi.
2°) Il Caos è il primo fra tutte le cose, come è bene espresso nella poesia di Esiodo: anche se tutto quanto si trova nell’universo esiste da sempre, né possiamo supporre che qualcosa sia preesistito secondo l’ordine del tempo, non di meno, se facciamo riferimento all’ordine della natura, niente esiste se non dove poteva esistere, e dunque niente può essere recepito se non in virtù di un ricettacolo preesistente.
3°) E’ infigurato e infigurabile: ogni figura versa infatti intorno al corpo e alla materia fisica, mentre il Caos si pone prima in ogni corpo e prima di ogni materia, e dunque non deve dipendere né dall’uno né dall’altra.
4°) Per questa ragione, appunto, il Caos è uno più di quanto non lo sia la materia: questa infatti, di per se stessa indefinita e illimitata, è comunque suscettibile di delimitazione e definizione in ogni sua parte, mentre il Caos non può essere definito né delimitato in alcuna sua parte.
5°) Dunque niente vi esiste; e con questo intendo dire che non accoglie in se niente, e poiché nessuno crede che i corpi sono contenuti nel Caos così da colmarlo nella sua totalità: si ritiene piuttosto che i corpi sussistono contemporaneamente al Caos, in quanto, come è naturale, le dimensioni attribuibili al vuoto si commisurano in qualche modo con le dimensioni del corpo contenuto, e, del resto, proprio lo spazio vuoto è chiamato in causa per spiegare il modo in cui esistono le dimensioni di un corpo. E di fatti nessun corpo esiste se non dove può esistere; dunque non può esistere se non la dove è lo spazio: ma questo spazio, a ben vedere, non è altro che il vuoto.
6°) Le sue dimensioni e le dimensioni del corpo coesistono in modo tale che il Caos esiste e può esistere indipendentemente dal corpo, mentre il corpo, per quanto concerne le sue dimensioni, in nessun caso può essere concepito senza far riferimento ai caratteri che si attribuiscono al vuoto. Né ci ostacola l’obiezione di quanti considerano la cosa nel modo più rozzo, e ritengono dunque impossibile una simile compenetrazione di dimensioni: questo è infatti vero per le dimensioni di due corpi, ma non quando si tratta di enti così differenti secondo la specie.
7°) Ugualmente estraneo all’agire e al dolore, il Caos è il più ozioso tra gli enti: azione e passione si manifestano al suo interno senza toccarlo minimamente. E, del resto, ogni azione e passione si riferisce a realtà dotate di virtù e qualità, ovvero che risultano da una composizione: ma a tutti è noto che caratteri simili sono estranei alla natura del vuoto.
8°) Al di fuori di lui niente esiste, e di niente si può concepire l’esistenza, poiché ogni spazio, ogni corpo, ogni ente dotato di dimensioni e, di conseguenza ogni dimensione, se recepiscono un limite, ricevono sempre un limite particolare da un ente particolare, e ciascuna parte viene limitata da un’altra parte: ma non si può neppure immaginare che lo stesso limite sia imposto al tutto universale ed assoluto. E se questo è vero, allora è legittimo sostenere che «al di fuori di lui niente esiste».
9°) Quindi, in conseguenza a quanto detto sopra, poiché al di fuori di lui niente esiste, per natura e, in un certo senso, per durata il Caos è il primo di tutti gli enti, così da essere, al tempo stesso, il termine estremo di tutte le realtà che hanno un limite, non solo di durata, ma anche di grandezza: ogni ente determinato si determina infatti rispetto ad esso.
10°) Tutto quanto esiste, sia esso divisibile o indivisibile, corporeo o incorporeo, agisce ed opera in lui e insieme a lui, e niente può sottrarsi alla sua presenza. Neppure un ente del tutto pieno può farlo: se infatti è suscettibile di divisione in parti, le sue dimensioni non coincidono comunque con quelle del vuoto; se invece è indivisibile, la sua indivisibilità non coincide con l’indivisibilità del Caos; se si tratta di una realtà immateriale, ugualmente non possiamo intenderla se non in relazione al Caos, così da poter concepire il vuoto anche tutto al di fuori di essa.
11°) Chiuso ad ogni comunicazione, il Caos è il più avaro tra gli enti: niente elargisce, sottraendo, per così dire, qualcosa alla propria sostanza, e niente riceve, inglobandolo, per così dire, in sé. Ma per il fatto che potrebbe contenere tutte le cose, si ritiene che esso le contenga e le possegga in modo tale che lui stesso non possa essere concepito come soggetto ad arricchimento o privazione, ma che in lui stesso vengano accolte ricchezze e privazioni.
12°) E’ l’infinito in atto, e tuttavia non è atto, poiché non è né la luce, né un composto nato dalla luce e dalla Notte, né impotenza, per così dire, possibile; è invece il più vero tra gli enti: se questo non esistesse, non vi sarà nessun luogo né potrà esservi alcun locato. D’altra parte, come i pitagorici definiscono la Notte «numero infinito» e il corpo «numero infinito» e «quantità estensiva infinita» (in quanto divisibile), così anche il vuoto è spazio capace di recepire una quantità estensiva infinita; con questo non intendo però sostenere che il vuoto non sia una grandezza estesa: è piuttosto il ricettacolo di ogni grandezza estesa, la realtà indivisibile nella quale si esplica l’infinito.
13°) Di conseguenza, è vero che recepisce divisione e distinzione, accogliendo, per così dire, differenze di luogo: questo, tuttavia, dipende specialmente dalle differenze dei corpi contenuti. Manifesta, inoltre, un principio di divisibilità: deve infatti essere divisibile, poiché la divisibilità non precede, ma segue e accompagna la quantità, che, a sua volta, segue o accompagna la materia ovvero la Notte. Se dunque, come intendiamo noi, l’Orco e il Caos precedono la Notte sia secondo il tempo, sia secondo la loro natura, allora le stesse qualità e i modi di essere dei quali ciascuno di essi è principio, ovvero, che in ciascuno di essi prendono a desistere per la prima volta, saranno di necessità assoluti, rispetto a quanto precede. Il Caos non è dunque altro se non ricettacolo che accoglie i corpi divisibili dotati di dimensione, nel quale si esplica la divisione e nel quale è racchiuso ogni ente divisibile. Non tutto quello che è dotato di dimensioni è anche divisibile, a meno che non sia una realtà corporea: soltanto a queste condizioni, infatti, un ente dimensionato è divisibile, mentre una realtà incorporea non ammette affatto qualità simili, come risulta evidente nei raggi del sole, che certo nessuno può spezzare, ma che tuttavia possono essere ostacolati. Per la ragione non è del resto un problema attribuire la divisibilità: questa si determina infatti per accidente, in quanto dipende dal modo di essere dello spazio sensibile.
14°) E’ insensibile, poiché, pur rientrando nella sfera dell’essere, non è una quantità corporea, né è un «quale» in seguito a una qualità corporea.
15°) Non è privazione né possesso di disposizioni, né è un ente che racchiude in sé la privazione o possiede in sé certe disposizioni; è invece ente degli enti, vero con il vero e necessario con il necessario: non possiamo infatti supporre – nemmeno per ipotesi – che esso non esista.
16°) E’ estraneo ad ogni differenza, concordanza e contrarietà; sussiste dunque in sé stesso come una sorta di principio indifferenziato, ma recepisce la differenza a partire dalle altre cose, con cui non puoi in alcun caso concordare secondo il genere.
17°) Non deriva da una causa né è causato da altro, in quanto non può in alcun modo dipendere da una causa, ma esiste, ed esiste insieme alla causa, e, anzi, precede la stessa causa corporea e dei corpi in atto.
18°) E’ esteso, senza però essere soggetto, come la materia, a ricevere influenze dall’esterno: in quanto dotata di estensione, la materia è concepita infatti come un sostrato formabile e – sotto un certo aspetto – passibile, mentre il Caos si configura come un sostrato tale da non subire alcuna passione.
19°) E’ impenetrabile a tutte le altre cose, in quanto indivisibile, e non può penetrare in altro, in quanto non è mobile: uno spazio di tale genere non è infatti meno stabile di qualsiasi altra cosa più stabile.
20°) E’ esteso, ma non consiste di parti distinte; è ovunque il medesimo, ma non consiste di parti unite.
21°) Nell’universo infinito, per quanto ovunque si riconosca l’esistenza di uno spazio infinitamente capace e continuo, il quale, tuttavia, non riempie l’universo con la sua mole, e si configura non tanto come una mole in grado di riempire l’universo, quanto piuttosto come una realtà presente entro l’universo.
22°) Secondo il nostro modo di intendere il vuoto non è né rarefatto né denso, né massimamente rarefatto: lo riteniamo invece estraneo a tutte le distinzioni di questo genere.
23°) Per quanto il vuoto sia, e si intenda essere, una realtà insita nei composti, ugualmente non partecipa alla composizione quasi fosse una delle parti che costituiscono l’ente; è, piuttosto, il principio che delimita le parti e che distingue i primi e indivisibili corpi: perché gli atomi possano concorrere insieme ed entrare in contatto gli uni con gli altri, è infatti necessario che tra ciascuno di essi di interponga il vuoto.
24°) Non dobbiamo credere, come Aristotele, che il vuoto insito nelle cose si muova assecondando i diversi moti delle cose: sono i corpi, invece, che nel mutare posizione incontrano sempre nuovo vuoto, e nuovo spazio, da occupare. Quando spostiamo un anello da un luogo ad un altro, l’aria contenuta entro la sua circonferenza non si sposta certo insieme all’anello, ma, via via che questo si muove, vi subentra sempre nuova aria e nuovo spazio; e lo stesso vale per gli spazi vuoti che sembrano sussistere entro i corpi. Il Caos è infatti un’unica continua estensione ovunque e in ogni direzione: non si differenzia secondo la diversità, la distinzione, la contiguità e la continuità dei corpi che vi sono contenuti, per quanto appaia ora pieno, ora vuoto, e per quanto, se anche sembra vuoto, vi sia sempre contenuto almeno, il corpo etereo dell’aria.
25°) Non è né ente, né non ente, ma è vero ed è il ricettacolo delle cose che sono. Se poi qualcuno vorrà credere che ente e vero coincidano del tutto, gli concediamo e vogliamo concedergli piena libertà di usare i due termini come sinonimi perché la sostanza della cosa rimanga intatta.
26°) Posto che sia un ente, difatti siamo ben lontani dal considerarlo pura vanità e nulla, riteniamo comunque che non sia né una sostanza, né un accidente: non è una sostanza, perché non è né sostrato delle forme sostanziali, come la materia, né sostrato delle forme accidentali, come il composto; d’altra parte, non è nemmeno un accidente, dal momento che non ha alcun sostrato, né alcun principio che lo recepisca, ma è esso stesso che recepisce in sé tutte le cose.
27°) Lo si definisce, «quello in cui tutto è», poiché infatti eguaglia l’universo infinito; «quello che è in tutto», perché è insito in ogni composizione ed è ricettacolo suscettibile di ogni pienezza. Ancora, lo si definisce quello «per cui tutto è», poiché, tolto lo spazio, niente esisterebbe, o, almeno, niente si potrebbe ipotizzare che esista.
28°) A torto lo definiscono, «quello in cui niente è, ma in cui può esserci qualcosa», posto che anche l’atomo è «ciò in cui niente è», e che, a sua volta, il luogo è «ciò in cui può esserci qualcosa»; a buon diritto, invece, lo si definisce «spazio in cui tutto è», con l’insieme delle caratteristica peculiari che sopra abbiamo individuato.
29°) Riteniamo che le sue parti, secondo il modo particolare in cui si può immaginare che esso abbia parti, non siano in alcun caso formate o figurate: non possiamo infatti concepire il vuoto, ovvero lo spazio, come quadrato o rotondo, se non accidentalmente e muovendo da quella prospettiva, estranea alla sua natura, per cui giudichiamo un corpo sensibile quadrato, perché delimitato dai propri lati, o sferico, perché delimitato da una superficie concava.
30°) Medesimo principio – secondo ragioni diverse – è detto Caos e vuoto, privo di tutto e pieno, luogo e ricettacolo. Lo si dice vuoto perché è capace di recepire in sé le cose, Caos perché è infigurabile; lo si dice privo di tutto perché è innominabile e infigurabile, pieno perché effettivamente contiene tutte le cose; lo si dice luogo poiché in esso si compie lo spostamento vicissitudinale dei corpi; ricettacolo poiché garantisce la coincidenza delle dimensioni di quanto recepisce con le dimensioni di quanto è recepito.