SIGILLO DEI SIGILLI - QUARTA ATTENZIONE
30. Infine, quasi astenendoci dai filtri
di Circe, badiamo che l’animo, sedotto dalle figure sensibili, non si fissi su
di esse così da perdere le delizie della vita intelligibile, e inebriato dal
vino degli affetti corporei e della volgare autorità – che quando bussa alle
nostre orecchie senza essere accompagnata dal lume della divinità e della
ragione non può essere introdotta nel triclinio nobilissimo del nostro consenso
se non a rischi della vita eterna – sia costretto a trascorrere la notte titubando
nel presuntuoso domicilio dell’ignoranza, e sconvolto quasi per i sogni di una
fantasia turbata, perse ormai le ali che aveva
dalla nascita, si smarrisca in questo luogo e quasi contemplando il
volto di Proteo non trovi più alcuna immagine convenientemente formata in cui
avere quiete. Smettiamo, smettiamo dunque di ammirare le figure che i sensi ci
pongono davanti e che sono quasi ombre delle cose, e per quanto riguarda noi
badiamo a ritirarci per ascoltare le parole che l’intelletto agente pronuncia nell’animo
dove dimora. Qui infatti sono le vivande degli dèi, che bussando ancora e
ancora alla nostra porta vengono a pranzare con noi. Per quanto riguarda gli
oggetti stiamo poi attenti a considerare come le immagini non corrispondano mai
in tutto e per tutto agli esemplari, e per questa ragione esse sono some un
qualcosa di meno esplicato, certamente di diverso e di altro – come l’ente può
essere diverso da ciò che è dell’ente, l’accidente dalla sostanza, il suono dal
corpo che risuona. Ciò che si deve concepire circa la verità delle cose non può
infatti essere sufficientemente espresso da alcuna specie sensibile, ma
l’essenza delle cose si mostra a noi quasi con un cenno mediante i suoi
accidenti. E poiché le nostre parole sono ancor più insufficienti, noi la
esprimiamo in forma incompleta, come per note e segni. Per questo motivo i
pitagorici, Platone e tutti coloro che modulano una teologia negativa ritengono
di dover escludere ogni affermazione dai predicati e dai nomi divini, di modo
che per quanto perfetto sia l’attributo che si può dire e pensare circa il
principe delle cose, esso si dovrà ugualmente e propriamente negare una volta
posto al cospetto della natura eminentissima e inattingibile.