E NON CI INDUCA IN TENTAZIONE
“Non ci indurre
in tentazione”. Da più di settant’anni, fin da quando ero ragazzino rifletto su
questa invocazione della preghiera che Cristo stesso ci ha lasciato.
So di essere in ottima compagnia, tanti veri cuori nella fede e nell’Amore di Dio si sono affannati a pensare al problema. Ma io ora voglio dire il mio pensiero: l’idea che Dio ci induca in tentazione è una bestemmia vera e propria ed è venuto il momento di dirlo senza troppi giri di parole.
Ho visto in
televisione che per Papa Francesco questa è: “una traduzione non buona”,
perché a indurre in tentazione non può essere Dio ma Satana. E infatti Sua
Santità aggiunge che anche i francesi hanno cambiato il testo con una
traduzione “non mi lasci cadere nella
tentazione” e – continua – “sono io a
cadere, ma non è lui che mi butta alla tentazione per poi vedere come sono
caduto. No, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito. Quello
che ti induce alla tentazione è Satana, quello è l’ufficio di Satana”1.
Già in
precedenza Papa Benedetto XVI aveva fatto notare che “Le parole di questa domanda sono di scandalo per molti: Dio non ci
induce certo in tentazione!” infatti il versetto per l’attuale Papa Emerito
va inteso come: “So che ho bisogno di
prove affinché la mia natura si purifichi. Se tu decidi di sottopormi a queste
prove, se – come nel caso di Giobbe – dai un po’ di mano libera al Maligno,
allora pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi
troppo capace. Non tracciare troppo ampi i confini entro i quali posso essere
tentato, e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa
troppo ardua per me”2.
Seguiamo quindi
ciò che scrive San Giacomo: “Nessuno,
quando è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere
tentato dal male e non tenta nessuno al male”3. E ascoltiamo ciò
che dice San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi: “Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze,
ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla”4.
Alla fine l’unico tentatore resta sempre quello che
non va neanche nominato.
Una cosa sola è certa: Dio non è il tentatore!
Che Dio lasci o
meno che quel qualcuno ci induca in tentazione è questione esegetica e
teologica. Già Adamo ed Eva ebbero a che fare con questo tentatore. Forse
(neanche troppo forse) Dio lascia che il tentatore agisca per rispetto del
libero arbitrio di cui ci ha fatto dono. Ma il fatto è che non è certamente Lui
a tentarci. È l’altro, è l’avversario, l’ostacolatore, il traviatore, quello
che ci porta lontani dal nostro progetto esistenziale, dalla nostra missione
spirituale.
Eppure, il testo
sembra dire proprio questo e da secoli si consumano centinaia di pagine per
contenere le diverse opinioni anche le più alte ed eminenti. Quanto sarebbe
tutto più semplice se il versetto recitasse: “ et ne nos inducat in tentationem” cioè “ e non ci induca
(l’avversario) in tentazione”. Ma ahimè non è così.
Come possiamo
allora in una riflessione d’Amore, nella nostra imperfezione intellettiva
riuscire a cogliere il senso di questo passaggio così controverso, nella
preghiera più bella che possediamo?
Ho sempre
pensato che il più grande trucco dell’ostacolatore, l’ingannatore, il
calunniatore (questo significa etimologicamente “diavolo”)5 è quello
di confonderci, portando tutti in giro dietro la questione sbagliata, seminando
zizzania e costruendo torri di Babele per raggirarci e portarci fuori dal punto
o meglio per portarci (indurci!) nella direzione sbagliata. Chi sia ad indurci
in tentazione dunque è fuori discussione ma allora perché questo passaggio così
problematico nella preghiera lasciataci e insegnataci proprio dal Maestro?
Verrebbe da chiedergli: “Rabbì, perché?”
Forse ci stiamo ponendo la domanda nel modo sbagliato, forse la questione che dovremmo porci è che cosa vuol dire, che significa tentazione. Forse è da li che si comprende il vero inganno. “E [Eis peirasmòn]” in greco, “in tentationem” in latino, “in tentazione” in italiano. Già in italiano sarebbe più corretto dire “nella tentazione” visto che noi gli articoli ce li abbiamo; e poi perché diamo per scontato che la traduzione di [peirasmòs]” greco sia per forza “tentazione” e non più semplicemente “prova, esperimento, esperienza”?
Già, perché se
la traduzione fosse “prova” qualsiasi persona capace di parlare un po’ di
italiano penserebbe ad una locuzione usatissima: “mettere alla prova”. Allora
suonerebbe decisamente meglio: “e non metterci alla prova (tanto lo sai bene
che cadiamo, visto che lo facciamo magistralmente dal tempo di Adamo ed Eva) ma
liberaci dal male”.
Dio non tenta,
mai! Però lascia che veniamo messi alla prova, per questo ci ha dotati del
libero arbitrio. Si, noi scegliamo e, come diceva San Paolo, scegliamo spesso
il male pur volendo il Bene6 e lo facciamo a causa della nostra
imperfezione in quanto, seguendo Sant’Agostino, il male è solo privazione del
Bene7.
Il Signore
quindi ci dice: “Scegli tu il bene, impara a discriminare, individua il punto
dove si trova l’esatta soluzione” ma noi a nostra volta, sapendo quanto siamo
fallaci, vogliamo chiedere al Padre: “non metterci affatto alla prova, anzi
liberaci definitivamente dal male, dall’errore, dal tentatore stesso”.
Il sommo Dante, che nel XI canto del Purgatorio tradusse nelle sue terzine il Padre Nostro, usò queste parole: “non spermentar con l’antico avversaro”. Sperimentare quindi tentare, provare, ma tentare non nel senso di creare una tentazione, una seduzione bensì di fare un esperimento, appunto “mettere alla prova”. Se pensiamo all’episodio di Abramo e di Isacco o alle mille volte in cui Cristo chiede se abbiamo o meno fede perché è questa a salvarci e lui ci lascia liberi di scegliere pur lasciandoci mettere alla prova. Ed è dalle conseguenze di questa prova che si vede ciò che l’uomo è e quanto vale. Basti prendere l’esempio di Pietro e Giuda, entrambi traditori ma con esiti e conseguenze molto diverse, rispetto allo sbaglio commesso nella prova più difficile. L’uno sceglierà la via del perdono da parte del Padre Celeste e su di lui si costruirà la Chiesa, l’altro si autocondannerà alla morte più atroce e senza ritorno.Con il Padre Nostro, noi riprendiamo il contatto col divino che abbiamo dentro. Perciò, come abbiamo detto sopra, sarebbe magnifico poter chiedere al Padre che l’antico avversario non ci inducesse affatto in tentazione ma che Lui ci liberasse definitivamente dal male. Così, nel nostro errare quotidiano, diventeremmo tutti un po’ più Pietro e meno Giuda.
21/03/2019
Renato de Angelis
1Settima puntata di “Padre Nostro”
programma in onda su Tv2000
2J. Ratzinger Papa Benedetto XVI
“Gesù di Nazareth. Dal Battesimo alla Trasfigurazione”, Milano, BUR 2007
3Giac 1,13
41 Cor 10,13
5Diavolo:
dal greco [diabàllo] indica colui che pone l’ostacolo, che separa, che
pone frattura, che mette di traverso, è l’ingannatore, il calunniatore, il
tentatore. Diavolo è colui che separa la mente razionale dal progetto divino
scritto nella nostra anima.
6Rm
7,19: “Non enim, quod volo bonum, facio,
sed, quod nolo malum, hoc ago”
7Agostino, Confessioni, VII, 12,18
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