IL GENIO
A tutti sarà sicuramente capitato di desiderare fortemente qualcosa. Tutti abbiamo dei sogni nel cassetto, delle cose che vorremmo
ottenere, fare o identità che vorremmo rispecchiare. In quei momenti o ci
rivolgiamo a qualche forza soprannaturale o pensiamo a quanto sarebbe bello
avere la lampada di Aladino, con un genio che ci
aiuti a raggiungere tutti i nostri scopi senza far fatica.
Nella favolistica collegata alle Mille e una notte, Aladino libera un Genio da una lampada, al cui interno è rimasto prigioniero, in cambio
dell'accoglimento di tutti i suoi desideri.
Nella tradizione araba e musulmana, il suo vero
nome non è "genio", ma jinn o djinn.
Il termine jinn, spesso tradotto come genio e, approssimativamente, goblin o folletto, indica, nella religione preislamica e in quella musulmana, un'entità soprannaturale, intermedia fra mondo angelico e umanità, che ha per lo più carattere maligno, anche se in certi casi può esprimersi in maniera del tutto benevola e protettiva.
L'etimologia della parola è stata a lungo discussa.
Alcuni studiosi fanno derivare il
jinn dal Genius della mitologia romana,
altri dalla radice linguistica aramaica che
significa "nascondersi, occultarsi". È da notare,
inoltre, come il termine stesso si avvicini foneticamente a Gehenna,
il luogo infuocato immaginato dall'Ebraismo dove le anime cattive sarebbero state purificate.
Usualmente,
quando il termine Genio (dal latino genius, sostantivo derivato dal verbo geno “generare", "creare",
quindi "forza naturale produttrice"), si riferisce all'uomo, si intende quella speciale attitudine naturale innata
dell'animo, atta a produrre
opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale.
L'artista, proprio in
quanto genio, non sa che cosa
l'abbia portato a creare la sua opera:
“...nessun Omero,
nessun Wieland può mostrar come facciano a sorger ed a comporsi
nel suo cervello le sue idee, ricche sia di fantasia che di pensiero; perché,
non sapendolo egli stesso, neppure può insegnarlo ad altri.”.
L'artista geniale è colui che può costituire con la sua opera il modello a cui, possano ispirarsi altri in cui il genio è latente, Kant
sostiene che il genio è la felice sintesi di immaginazione e intelletto, di
spontaneità e regole non scritte, per cui l'artista gode di un'assoluta libertà
creativa dove l'intelletto è presente ma non più come costrizione
razionale, come avviene nel campo della conoscenza, ma come capacità di realizzare
l'opera secondo il proprio naturale gusto estetico.
Per questo, l'opera d'arte è insieme la
sintesi di necessità e libertà. Per
quanto libera e geniale sia
infatti l'ispirazione dell'artista,
egli dovrà tuttavia fare i conti con le rigide regole del mondo della natura. Per
quanto libera sia la sua ispirazione ed originale sia il materiale da lui usato
per creare l'opera, questi tuttavia dovrà pur sempre rispondere al rigido meccanicismo delle
leggi della natura.
In riferimento al Genio, negli “Elementi di Magia Naturale e Divina”, il Maestro Kremmerz così ne scriveva:
I
filosofi di maggior fama dicono che la teologia degli antichi era simbolica:
che il dèmone o genio
individuale rappresenti la coscienza, il sentimento della ragione dell'essere.
Sta bene. E' un lato
della questione.
Ma la sapienza sacra, che
gli antichi manifestavano nelle loro esposizioni esoteriche, aveva tre facce:
a) una volgare, serviva
pel profano;
b) una simbolica, ed era
filosofica;
c) una arcana, ed era
sacra, riserbata a chi aveva il passo nel tempio (1).
Che cosa è il dèmone o il genio
definito nella forma plastica dell'esoterismo pagano?
Il volgare di oggi non fa
che sorridere. Il dèmone degli antichi ed il genio
tutelare dei platonici sono i padri putativi degli angeli
custodi del cristianesimo e sono figure poetiche.
Chi fa pompa di dottrina
si contenta di mirare nel dèmone o genio l'anima
dell'uomo nella sua essenza di ragione e di coscienza.
Chi invece è addentro al linguaggio sacro dei sacerdoti-filosofi, ed ha la chiave delle tre facce dei parlari arcani, sa che il terzo, vero, profondo significato del dèmone o genio degli antichi risponde ad un raggio di luce di ciò che è: una verità che è la prima a cui tu, o discepolo, devi mirare …
Aspetti secondari del Genio
Altri
studiosi ritengono che il genius corrisponda al genètlion o daimon dei
greci e ad altre figure mitiche di vario tipo, il cui culto era molto
diffuso presso i popoli dell'antichità, che hanno sostanzialmente rappresentato
le prime forme di quello che oggi è il culto degli angeli.
Daimon Daimon Angelo
custode
1) “(I primi vati furono i grandi sacerdoti che davano i responsi in parlari dei numi in doppia intelligenza. Ed i vati, dice Esiodo, erano i primi sovrani delle diarchie. Vate, Poeta, creatore è la voce istessa. Ma Vate si diceva chi scriveva in parlari dei numi, a doppia intelligenza; arte divina che finora n'è mancata dacché le scienze ebbero la stanca. Skia id est Umbra, Sciaentia, nell'essenza del tenebrone appresa. Altrimenti era arte”. Lebano, Il Cielo Urbico.
Per estensione, il termine genio è
impiegato per indicare anche figure mitologiche minori presenti in varie
tradizioni, quali spiritelli dal carattere benevolo o malevolo, collegati
alla natura e ad aspetti dell'esistenza (geni della
foresta, dei fiumi, dell'amore, della fecondità, ecc.).
Genio del bosco Genio celtico della
foresta Ninfe
del fiume
Sempre
negli “Elementi di Magia Naturale e Divina”, il Maestro Kremmerz
così insegnava:
La prima cosa che ti devi
porre innanzi agli occhi nel tentare l'occulto nella natura spirituale è di
conoscere lo spirito o il dèmone o il genio che immediatamente
rappresenti lo scalino superiore alla tua natura di uomo più o meno perfetto.
Da quello che ho citato da Teodoreto, l'angelo
cristiano è spirito di purità assoluta e messaggero di Dio – il dèmone invece
è variabile come tendenza e come purificazione.
Adopererò il nome di Genio per uscire dalle restrizioni e dalle definizioni: quando tu avrai incominciato a conoscere il tuo, definirai il primo e, quando ne avrai conosciuti molti, potrai avere un concetto approssimativo, ma sempre imperfetto, della scala d'oro che comincia dai meno puri e termina ai perfettissimi.
Come fare per conoscere
il proprio genio? (1)
Gli antichi insegnavano che per conoscerlo bisogna renderselo propizio con la pratica della giustizia, con l'innocenza dei nostri costumi (è Apuleio che parla):
“… allora egli vi aiuterà con la sua previdenza nelle cose che voi ignorate, coi suoi consigli nelle vostre indecisioni, vi soccorrerà nei pericoli, e della sua assistenza non vi priverà nelle avversità: talvolta nei sogni, talvolta nei segni visibili, talvolta comparendovi, vi eviterà i mali, vi procurerà il bene, vi solleverà nelle vostre cadute, vi sosterrà nelle dubbie occasioni, vi illuminerà nel buio delle vostre ricerche, vi manterrà nella buona fortuna, vi trarrà dalla cattiva”.
I Pitagorici, dice Aristotile, si meravigliavano ogni volta che sentivano qualcuno confessare di non aver visto mai il proprio Genio. In un senso volgare e filosofico era, quello dei Pitagorici, un rimprovero a coloro che non coltivavano il proprio spirito, perché l'animo dell'uomo è il santuario del Genio ma, nel significato occulto, era un disprezzo per colui che fuori la scuola aveva le orecchie tappate di stoppa e gli occhi legati con la cera, per non vedere la persona o l'immagine e non sentire la voce, l'armonia delle esistenze intradivine che servono come fiaccola all'esistenza dei perfettibili.
Il dogma cristiano è profondo: il buon angelo custodisce il fanciullo ma non avete visto dipinto mai un adulto col suo bravo angelo a lato: il simbolismo vuol dire che per avere il buon angelo con le brave ali aperte, a tutela dei buoni passi, nella breve ed aspra traversata della vita bisogna del fanciullo conservare la purità, l'innocenza e … la fede: se no appaiono, di sotto le ali, un bel paio di appendici più o meno bafomettiane, e il viaggiatore innocente, il fanciullo puro e mondo,
(1) Genius, cioè Generans, cioè Creator.
San
Martin dice
che l'uomo non saprebbe fare
un passo verso la verità senza la sua guida.
diventa il Dottor Faust, accompagnato dall'eccellente amico con le corna, il quale è un genio anche lui … ma un genio musicale che ti tocca tutte le corde sensibili, pur di farti ballare come una scimmia scottata (1)
Nella religione romana, il Genio (lat. Genius,
plurale Genii) è uno spirito o, più
correttamente, un nume tutelare,
considerato come il custode benevolo delle sorti
delle famiglie, ma anche dei singoli individui. Nel tentativo di chiarirne la natura
ne sono state date definizioni approssimative, come "anima",
"principio vitale",
"angelo custode".
Il Genio era
definito da Censorino cuius in tutela ut quisque natus est uiuit. E infatti la festa del Genio è il
compleanno dell'individuo, il dies natalis.
Veniva ritenuto uno spirito buono, una specie di angelo
custode che nasce con l'individuo, lo
accompagnava e ne dirige le azioni nel corso dell'intera vita.
La parte del corpo in rapporto con il Genio è la fronte. Dice infatti Servio che "la fronte è consacrata al Genio, per cui quando lo veneriamo ci tocchiamo la fronte" (frontem Genio consecratam esse, unde uenerantes deum tangimus frontem).
(1) Per il Cristianesimo
l'angelo custode è guida e difesa. Un angelo, il tuo angelo, ti
ammonisce o ti salva. Il demonio o diavolo (personificazione del male) ti tenta. Martinez de Pasquallys
insegnava la costituzione dell'uomo con la mano: il dito medio è l'anima, il
pollice è lo spirito buono, l'indice è l'intelletto buono, le altre dita,
anulare e mignolo esprimono lo spirito e l'intelletto demoniaco. Con ciò il Martinez
voleva dire che l'uomo ha per guida tre elementi buoni contro due tendenti in
basso.
Gli spiritisti per guida
di un uomo intendono lo spirito di tale o tal altra
persona morta che si manifesta al medio.
Che cosa ti dice il tuo
maestro, per non ricorrere alle mistiche condizioni cristiane e alle
venerazioni del culto pagano?
Una sola cosa:
SII UOMO, SII RAGIONEVOLE, E DOMINA CON LA PERPETUA PADRONANZA DEI TUOI GIUDIZI TUTTE LE ILLUSIONI DEI SENSI MATERIALI E GROSSOLANI DELL'UOMO; FORMATI LA COSCIENZA DI ESSERE E SE LO MERITI O FORZI LA NATURA DI FUORI ALLA TUA COSCIENZA SPUNTERA' RAPHAEL O ASTAROT,
L'ANGELO O
IL DEMONE, IL
TUO GENIO CERTAMENTE
FARA' CAPOLINO e come Papà Dante avrai trovato il tuo
Virgilio e con Virgilio, il treno direttissimo pel manicomio o per la sapienza
divina.
Il Genio era
raffigurato di solito come un serpente (in Cicerone,
in Giulio Ossequente, nel larario della casa dei Vetti, a Pompei).
Il Genio raffigurato come un serpente,
nel larario della casa dei
Vetti, a Pompei
Non c'era un giudizio univoco sul destino del genio dopo la morte dell'individuo: secondo Orazio, per esempio, scompare, secondo Ovidio no.
Nel corso del tempo e per analogia con gli uomini, anche agli dèi fu attribuito un Genio. La più antica attestazione è la già citata epigrafe risalente al 58 a.C.
L'attribuzione
del Genio si estese anche alle
famiglie (Genio del pater familias),
allo Stato, alle province, ai collegi, alle unità
militari e il genio
dell'imperatore vivente divenne oggetto di culto pubblico con Augusto. Roma stessa aveva un Genio, di
cui Servio ricorda la dedica su uno scudo
custodito in Campidoglio: Genio urbis Romae siue mas siue femina. Non
è chiaro se il Genius populi romani, raffigurato
come un giovinetto, sia lo stesso Genio
dell'Urbe o se sia una divinità distinta anche se equivalente. Questo
Genio aveva un tempio nel Foro,
vicino al tempio della Concordia.
L'attribuzione di un genio ad
ogni luogo fu dovuta, forse, all'assimilazione del Genio con i
Lari che si trova in Censorino. Dice infatti Servio
che "nessun luogo è senza un genio" (nullus locus sine Genio). Non sembra però che si sia mai avuta la
concezione di un Genio associato alle cose
inanimate.
Ne “La Porta Ermetica”, il Maestro Kremmerz
ci tramanda:
“Un antico
iniziato, in una canzone del periodo neoplatonico, alla voce che gli parlava la
verità, domanda: « Chi sei tu? ». E quella risponde in un
ammaestramento di aritmetica pitagorica, che si può tradurre così:
« Io sono in te e per te. Non sono te (cioè tua mente). Tu
hai pregato, cioè sotto forma di preghiera hai impregnato l'amorosa invisibile.
Frutto del vostro atto sono la voce che ti parlo, sono mercurio di vostro
intelletto ».
Infatti il primo problema che si presenta all'iniziando a
questa scienza integrale è di domandare alla sua luce ermetica, di cui nessun
uomo conosce la fonte: chi sei tu che ti manifesti portandomi la verità?
Chi dice: sono io, il
mio ingegno. (1)
Chi dice: è un angelo.
(2)
Chi dice: è un demone o un dio.
Se non capisce la legge espressa con tanta semplicità dalla
cabala non la capirà mai — come i mistici ispirati delle forme religiose di ogni
genere. Ebbene, quella voce, di sua natura essenzialmente ermetica, dovrebbe
rispondere: Io non sono te, ma non
sono cosa estranea a te. Sono in te e per ragion tua, e non sono te.
Ecco il maestro ignoto, sapiente, che si avvicina”.
Il Maestro
Kremmerz ad alcuni discepoli più avanzati ha tramandato:
“Disse
un Genio di Sole, Ra – hebe, al
figliuolo di Izar:
Se
io ti proteggo non inchinarti al Faraone che viene a te.
Il
figlio di Izar non si chinò.
Il
Faraone lo indicò al suo giustiziere, ed ordinò che lo legassero nello sterco
delle sue stalle e glie lo facessero
baciare, e il figliuolo d'Izar fu preso e legato e in cuor suo diceva:
Che
Genio è codesto che non mantiene il patto?
E
pianse.
Ma
mentre il giovinetto era tradotto al carcere, la figliuola del Re era morente.
Interrogato
il pontefice dei divini disse che un bacio del giovinetto Izar l'avrebbe
risorta.
Corrono
in cerca del prigioniero, che con onore è tratto all'ammalata.
Disse
il Faraone: baciala.
E
Ra – hebe disse ad Izar:
Vedi
che non il fimo tu baci, ma la bocca della più bella delle figlie del tuo Re.
Ma
di me hai dubitato e ti abbandono.
E
Izar pianse ma lo perdé.
Non è facile contentare degli amici così fatti”.
L’Arte Regia, nelle sue infinite applicazioni, concede
i suoi segreti solo a coloro che hanno interiormente risvegliate le facoltà
magiche e consente l’ingresso nel Tempio dei Misteri esclusivamente agli
eletti. Lèvi scriveva a riguardo: “Ogni intenzione, che non si
manifesta per mezzo di atti, è una vana intenzione, e la parola che la esprime
una parola inutile; è l’azione che da la prova della vita ed è pure l’azione
che prova e dimostra la volontà. Si dice per questo nei libri simbolici e sacri
che gli uomini saranno giudicati non secondo le loro idee ma secondo le loro
azioni. Per essere si deve operare. Dovremo ora trattare della questione grande
e terribile delle opere magiche. Non si tratterà più qui di teorie o di
astrazioni; giungeremo alla realizzazione,
(1) Cioè in-genius ovvero
genius
in me.
(2) Angelus messaggero
metteremo
fra le mani dell’adepto la bacchetta dei miracoli dicendogli: “Non ti basare
sulle nostre parole; ma per conto tuo agisci!. In piedi, diritto, con lo sguardo proiettato verso
l’orizzonte, il Mago,
immerso nella natura selvaggia,
pronuncia le formule, grida i nomi di potenza e attende. Aspetta che il Genius si
manifesti, che il Nume parli.
Resta in attesa affinché il vero Maestro, l’entità Geniale, assuma
la guida del suo essere occulto e lo istruisca. Le armi ora sono secondarie,
poiché per mezzo loro si è destato il Signore di dentro,
colui che giaceva assopito nelle profondità dell’Astrale interno, l’Essere
onnisciente che viene dal passato, agisce nel presente e costruisce nel
futuro. Nel silenzio più assoluto egli fa udire la sua voce, manifesta il suo
ineguagliabile potere e prende per mano l’Adepto trasportandolo all’altro lato
del tempo, dove la Luce
è feconda e ogni opera è baciata dal Divino, il Dio occulto che agisce e opera”.
Il Daimon di Socrate
Dua-Kheti
Bibliografia:
Wikipedia – Jinn – Genio
La Scienza dei Magi – Giuliano Kremmerz
La Preparazione, la Volontà e la Purificazione del Mago –
Eliphas Levi
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