IGNIZIAZIONE: IL VALORE DELLA PURITÀSe guardiamo al greco, la parola “purificazione” procede dal
termine [pyr] che significa “fuoco” ciò vuol dire che la purificazione è un
processo di trasformazione che avviene attraverso il fuoco (1) . Lo stesso concetto è in realtà espresso dal termine “iniziazione”
che, sebbene significhi cominciare il percorso (verso il profondo delle cose),
dal latino in-: “dentro” e -ire: “andare” o -iter: “cammino” o ancora -itio:
“viaggio”, trova il suo etimo originario nella parola latina ignis e cioè
“fuoco”. Potremmo parlare più precisamente di “igniziazione” Quindi è il fuoco l’elemento da attraversare, la porta per
la quale passare per iniziare il viaggio verso una nuova coscienza e il
ritrovamento del sapere antico del mondo. Ora, nell’umano, l’elemento “fuoco” è
una parte dell’anima, insieme al suo opposto “acqua”. Sebbene entri come folata
di vento (dal latino anemos: “soffio”), l’anima diviene, una volta incarnata,
l’essenza stessa del principio forte del Tao: lo yang. E il fuoco è, più di
tutti gli altri, il simbolo dell’Amore: lo “spirito igneo” o “fuoco di Amore”(2) . Questo fuoco igniziatico deve bruciare il superfluo e
trasmutarci in essenziale. Aprire il bozzolo delle abitudini coscienti e
inconsce per consentirci la nascita come esseri d’Amore. Ecco dove Cristo dice
“Voi siete dei”(3) riprendendo il Salmo di
Asaph. Occorre scavare dentro e svelare la Iside nascosta, velata, ma così
tanto vicina a noi. Ma non occorre distruggerci, è necessario usare il fuoco
per illuminare, riscaldare e rafforzare, non per bruciare. Come quando
accendiamo il nostro carboncino per le rituarie: usiamo il fuoco per far sì che
il carboncino accenda se stesso. Ecco, noi siamo come quel carboncino:
disponibili ad essere mediatori del calore divino. Per far questo, lo stesso concetto di egoismo va rivisto una volta per tutte: ne esiste un’idea funzionale, definibile come egoismo di vita intelligente e procede dal concetto stesso di Essere onnipotente: l’Essere è per sé sussistente e, poiché noi ne siamo “immagine e somiglianza”(4) , abbiamo un dovere di assistenza e protezione per noi stessi in primis. Se noi non stiamo bene, non possiamo aiutare nessuno. In questo caso, vale l’etimo antico dal latino ego e dal greco [egò] cioè “Io” e -ism- radicale dal verbo [eimì] “sono”, pertanto il termine non vuol dire altro che “Io sono”: atto stesso della presa di coscienza dell’esistere. Ben altro invece è l’egoismo solipsistico praticato dalle
masse che riduce la nostra vita a un vuoto interesse materialistico, esclusivo
per noi stessi, che ci rende sordi all’ascolto di quel famoso “altro”, che in
fondo è sempre una parte di noi. L’egoismo solipsistico ci riduce schiavi del
possesso, incapaci d’amore, carichi di gelosie, sordi all’ascolto dell’altro,
poveri di parole di conforto, selvaggi addirittura, privi di intelletto
superiore. Quando viene domandato a Cristo quale sia il più importante
dei comandamenti egli, dopo aver menzionato le prime parole dello Shema’(5) ,
aggiunge, citando il Levitico, “Amerai il prossimo tuo come te stesso”(6) . In
effetti, secondo molti grandi teologi cristiani ed ebrei, in ebraico la formula
suona in modo diverso: “Amerai il prossimo tuo perché è te stesso”(7) . In questo
senso, dunque, chiunque sia incapace di amore per sé, è incapace di amore per
l’altro, perché l’altro è te stesso! Nel percorso della purificazione, noi non dobbiamo
rinunciare alla nostra persona (Dio non ci avrebbe creato individui) ma, al
contrario, dobbiamo estendere la nostra individualità all’intero genere umano,
accettandolo in toto con i suoi pregi e i suoi difetti. Amare tutti,
indistintamente. Pregare per tutti, senza fare eccezioni. Invocare, con la
nostra preghiera, le forze geniali come se fossimo la voce dell’intero genere
umano. Il trasmutatore che consente il raggiungimento dello stato
di purezza, che rende possibile la purificazione e il raggiungimento di una
coscienza perfettamente univoca alla nostra anima è l’Amore; perché, come dice
il nostro M° Kremmerz: “L’Amore è purità”(8). Noi non dobbiamo togliere, ma integrare. Crescere, non diminuire.
Non dobbiamo perdere noi stessi, ma trovare gli altri dentro di noi. La visione
stessa del sacrificio come sofferenza o privazione è già una confusione.
Infatti sacrificio dal latino sacer: “sacro” e facio: “faccio” e anche fio:
“divento, sono fatto” è un termine che significa “faccio il sacro” e, mentre lo
faccio, “divento sacro”. È l’agire a un livello più alto, non è un fustigarsi,
limitarsi o inibirsi. È evolvere, fare dono di sé per un obiettivo di più
grande livello (metafisico) e di più ampia portata (tutta l’umanità). È
riprendere il posto assegnatoci dal Dio all’origine dei tempi: partecipare
responsabilmente alla protezione e alla salvaguardia del Creato(9) . Certo che prima di correre, occorre camminare. Si deve
praticare in primis e tanto! Oggi prevale tanta teoria, prevalgono tanti libri,
tante parole, tante (troppe) scuole. Invece, la semplicità della trasmissione
del sapere nasce dal rapporto di abbraccio mistico e mutuo consenso tra un
Maestro e il suo allievo. È il frutto naturale di un “sì” detto al Maestro e,
attraverso lui, alla vita. Come il “sì” incondizionato di Maria. Nella pratica quotidiana e costante l’allievo si
alleggerisce dai pesi mentali (lì sì che c’è da togliere!) che ostacolano –
ecco il vero diavolo: dal greco [diàbolon]: “ostacolo, divisore”,
derivato da [diàballo] composto da- [dià-]: “in mezzo, attraverso,
di traverso, separatamente” e [bàllo]: “lancio, tiro, getto, pongo” col
significato di “getto in mezzo, metto una separazione, pongo un ostacolo” – e
distraggono la mente dal vero obiettivo dell’uomo su questo pianeta: l’evoluzione
catartica dell’umanità. È un processo di liberazione da tutti gli impropri, da tutti
gli aggiunti che, momento dopo momento, sono stati posti su di noi perché
ancora la pedagogia e l’educazione dell’uomo sono a livelli troppo bassi.
Dobbiamo togliere tutti i non-nostri, il cosiddetto male dal latino me “me” e
aliud “altro” cioè “l’altro da me, l’estraneo a me”. Anche nelle grandi scuole
di psicologia esistenziale si insiste sempre sul liberarsi da tutto ciò che il
sistema ci ha costruito addosso come carattere (dal greco [charàsso]
“intaglio, scolpisco” quindi “tutto ciò che è stato strutturato su di noi,
inciso dentro di noi”) e impedisce l’epifania del nostro temperamento (dal
latino tempus “tempo e mens “mente” cioè “come la mente o intelligenza si
adatta al reale spazio-tempo”) cioè il modo in cui la vita ci aveva progettato. Come abbiamo iniziato a spiegare, “purificare” è un termine
che deriva dal concetto di [pyr] cioè “fuoco”, ma la seconda parte del
termine “-ficare” procede dal latino facere cioè “fare”. Pertanto, non si
tratta di un termine passivo, la purificazione è qualcosa che noi non subiamo
(come subiamo il carattere) ma che, al contrario, dobbiamo agire: dobbiamo
“fare il fuoco”. E come il fuoco delle Vestali doveva sempre essere tenuto
acceso, così non possiamo più far spegnere il nostro fuoco sacro interiore.
Anche nella terminologia odierna si usa il termine “focus” per indicare la
massima priorità tra le tante cose che ci riguardano. Purificare se stessi,
quindi, significa eliminare tutto il superfluo, tutto l’improprio, tutto il non
nostro e concentrarci principalmente sul senso ultimo della nostra vita,
concentrarci sul nostro lucus sacer: il “bosco sacro” dell’esistere, il nostro
più profondo intimo, il dono del Dio che ci fa viventi: l’anima umana. E, ne
“La Scienza dei Magi”, il nostro M° Kremmerz ci insegna che l’anima umana perfetta è
addirittura la Maria o Myriam stessa “perfetta, vergine e monda”(10) . L’incontro
con la nostra anima ci riporta ad un’essenza sine macula, senza macchia. Uno
stato virginale di natura umana edenica. Apre il nostro cuore all’Amore
immediato, cioè “senza mediazioni”. Ci porta all’incontro con l’altro perché ci
libera dagli scontri interiori e ci prepara all’appuntamento con l’anima
dell’altro. La strada maestra quindi è sacralizzare la nostra anima pro
salute populi. Unico metodo, come detto, è la pratica. Ogni giorno dobbiamo
praticare, affinando le nostre competenze e osservando, alla stregua di genitori amorevoli, le nostre stesse cadute (ecco il
famoso amore per noi stessi o egoismo di vita intelligente), trovando il giusto
equilibrio tra una comprensiva indulgenza e una paziente severità. Non stare
sempre a giustificarsi, ma motivare sempre le difficoltà, senza entrare in
eccessive rimostranze per quello che non si è fatto e si sarebbe potuto fare.
Anzi, ricominciare subito, non cadere nella tentazione di fissarci sulle
memorie di un passato più che prossimo. Guardare all’attimo che è, mai indietro
a ciò che ormai è già stato. Praticare la preghiera come atto di amore
compassionevole erga omnes, verso
tutti, indistintamente. Praticare sempre accompagnati dal nostro attuale Maestro che ci fa da
guida, da esempio, da modello di coraggio. Nella pratica continua è celato il
cammino che porta alla Verità ultima: l’intima semplicità che connette la nostra
piccola individuale esistenza con l’umanità tutta e col grande Essere che sempre
è. Morgal Un fratello di Hermes (1) - Per tutti i
riferimenti etimologici, oltre che ai tradizionali Dizionari di Etimologia
(meglio se i più antichi), rifarsi all’ottimo G. Semerano, Le Origini della Cultura Europea, Vol II: Dizionario etimologico della
lingua greca e Dizionario etimologico della lingua latina e di voci moderne,
Olschki, Firenze 1994 e ristampa 2002. Nonché, ovviamente, a tutte le pagine
degli scritti di Giuliano Kremmerz. (2) - G. Kremmerz, La Scienza dei Magi, vol. 1 pag. 276 e vol. 2 pag. 210, Ed.
Mediterranee, Roma 1976 ristampa 2001. (3) - Gv
10,34 “Non è forse scritto nella vostra
Legge: Io ho detto: voi siete dei?” e Salmo 81,6 “Ho detto: voi siete dei (Ego dixi: dii estis)” (4) - Gen 1, 26. (5)
- Dt, 6, 4-5: “Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è uno. Benedetto il
nome del Suo glorioso regno per sempre, eternamente. E amerai il Signore tuo
Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue facoltà”. (6)
- Lv 19, 18; Mt
22, 37-40; Mc 12, 29-31; Lc 10, 25-28. (7) - Cfr. C. M. Martini – G. Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede,
Mondadori, Milano 2008 e M. Buber,
Leggenda del Baal Shem, in G. Ravasi, Il
libro dei Salmi: commento e attualizzazione, Ed. Dehoniane, Bologna 1985. (8)
- G. Kremmerz, op. cit., vol. 3 pag. 268. (9) - Gen 1, 26; 1, 28
e 2, 15.
(10)
- Idem, vol. 3 pag. 259. |
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