UN OMAGGIO AL MAESTRO GIULIANO KREMMERZL’ERMETISMO È difficile spiegare in due parole cosa sia
l'Ermetismo, perché questo si manifesta ogni istante della vita con varie e
molteplici facce, le quali ci permettono di avere esperienze che possiamo
chiamare coincidenze pur non essendo queste tali. Spesso viviamo cercando risposte a domande che hanno
il solo compito di esorcizzare la paura e la morte, ma lo studio e la vita
dell'ermetista tendono a conoscere i segreti della natura e della
manifestazione ultima di questa vita: la Morte. Il termine “ermetico” significa spesso ciò che è
chiuso o sigillato, ma non nel nostro caso, a meno che "chiusura” o
“sigillo” non vengano intesi in un modo diverso da quello ordinario. Per prima cosa non dobbiamo mai dimenticare la terra
dalla quale nasciamo e tutto il bagaglio di tradizioni e verità occulte che ci
legano ad essa, non solo attraverso l'anagrafe ma anche spiritualmente e
atavicamente. Riguardo al nostro percorso, il termine “Ermete”
significa il messaggero degli dei che fa la spola tra il cielo e la terra, tra
l'olimpo (visto come Natura) e l'umanità. Non pensiate che Ermete, e con lui
gli altri dèi dell'Olimpo, siano solo dei personaggi del mito; perché essi non
sono altro che forze ed energie
della Natura che prendevano forma umana per creare una realtà la quale, pur
essendo superstiziosa, era più reale della condizione di vita del tempo in cui
questi dèi venivano glorificati. Anche se la loro forma antropomorfa non esiste
più, queste forze sono ancora presenti ed attive, e pronte ad aiutarci se
contattate nel giusto modo. Scopo dell'Ermetista è quello di contattare l'Ermete
che è in noi e fuori di noi e attraverso i suoi insegnamenti, sotto forma di
intuizioni e presagi, riconnettersi a quel mondo che ci permette il pieno
ritorno alle condizioni originarie ove l'uomo era unito alla Natura e la
sofferenza e la morte non esistevano. “Mercurio o Ermete, ambasciatore tra le divinità e
l'uomo, rappresenta il vero legame tra il finito e l'infinito, tra il mistero
della Natura e la comprensione umana a cui l'Idea nuova arriva come un
messaggio della intelligenza universale. La nostra scuola si chiama dal suo
nome, come se portasse il discepolo in contatto delle forze divine dei cieli
dove risiedono gli Dèi. Quindi niente di secreto, niente da nascondere"
(Giuliano Kremmerz). Amore, Umiltà, Fede e Volontà sono le qualità prime che il discepolo deve possedere per
affrontare la salita e per approdare, dopo una dura lotta con se stesso, alla
meta. Nell'invisibile si celano molte risposte ma anche molte insidie. Molti pensano che iniziare
(Initio>Iniziare>Iniziazione) e seguire il percorso Ermetico richieda lo
stesso impegno che si applica nelle famose sedute spiritiche o alle riunioni
New Age, dove tra una invocazione e l'altra si mangia e si beve e si parla del
proprio lavoro... ma non è così. Non solo bisogna attingere alle virtù sopra
indicate, ma anche iniziare a liberarsi dalle illusioni e dalle aspettative che
abbiamo nei confronti degli altri e di noi stessi; come dice il Kremmerz nella
sua Opera, prima di arrivare in cima l'unica cosa che dobbiamo aspettarci non
sono i miracoli e le grazie, ma la capacità di vedere la vita e l'essere umano
con tutti i suoi aspetti, soprattutto i più crudi, quelli che ci hanno
insegnato a giudicare e a rifiutare come qualcosa di negativo. Il vero dono del Cammino, sembra strano, è quello di
vedere la vita nuda e cruda come essa è, distruggendo ogni falsa speranza e
visione che ogni giorno mettiamo innanzi a noi per accettarla e viverla; solo
quando riusciremo ad accettare la vita così com'è senza volerla cambiare per
non vivere cose che non rispondono alle nostre aspettative, solo allora saremo
rientrati nel flusso, pronti a vivere realmente. Più vedi e vivi la vita così com'è più sei vicino al
maestro interiore che ti guiderà alla piena reintegrazione di te stesso. Il compito primo sul percorso è quello di reintegrare,
attraverso i riti e le purificazioni, lo stato di purità in cui eravamo
all'inizio del tempo, quando bene e male non esistevano ancora come parole o
aspetti morali; il lavoro di base è quello di conoscere noi stessi riportando
alla luce ciò che viene chiamato “ombra”, che è in noi e aspetta di
reintegrarsi con noi dal tempo in cui l'uomo ha relegato al proprio interno una
parte di se stesso, per poter far parte della Comunità (Società), e ha
rinunciato a comunicare con il Divino che è in lui, per non sembrare strano e
rimanere solo. Solo attraverso il potere della Volontà e dell'Amore
ci è possibile riportare alla propria interezza noi stessi e la nostra
coscienza. Per ora siamo esseri che vedono senza occhi e ascoltano senza
orecchie, e questo perché viviamo qualsiasi cosa nell'illusione che ciò che
vediamo e sentiamo sia vero e non solo il frutto dell'educazione che ci viene
data. Lo scopo delle nostre vite consiste nel portare la
Volontà a un tale grado di perfezione, di forza e di saggezza da consentirci
grazie al divino risvegliato in noi di non essere i balocchi del cosiddetto
destino, ma di trarre il massimo risultato positivo anche dalle cosiddette
disgrazie e di vivere una esistenza sempre in equilibrio e in serenità, e
soprattutto con un atteggiamento di umiltà e di ringraziamento per ciò che
abbiamo e viviamo. Non importa alla fine quanti obiettivi riusciamo a
realizzare attraverso le nostre rituarie e purificazioni; la cosa importante è
il lavoro in se stessi, che diventa fonte di continuo confronto e contatto con
la Vita e perciò con Dio. La fonte della Vita e della nostra crescita è data
dalla ricerca di un amore talmente incondizionato da farci toccare il cielo con
il nostro cuore. Già ci avviciniamo a ciò quando applichiamo l'Amore
ermetico, che non è un sentimento come l'amore che lega la maggior parte delle
persone attraverso simpatie e antipatie, ma quel sentimento che dobbiamo
imparare per guardare le azioni degli altri dal loro punto di vista e per
comprendere le loro tentazioni e le loro paure, e tenerne conto. Perciò definirei l'Amore ermetico come la capacità di
comprendere le motivazioni di un'altra persona e le sue debolezze, e di
ricordare che generalmente chi è infelice fa il male e chi fa il male è
infelice. Non dobbiamo mai temere il debole o l'oppresso, perché
spesso un crimine o una falsità nasconde la paura per il nostro simile e la
divisione dei popoli. Nel praticare l'Amore ermetico ricordatevi sempre che
la vittoria più grande l'avrete quando vincerete la gelosia, quella stessa
gelosia che la tradizione ha mascherato da fedeltà; un saggio della quale
abbiamo nei deliri e nelle minacce di una persona che vede infrangersi il suo
monopolio sull'affetto di un'altra persona, quando si vede che il posto che ci
rendeva necessari e utili l'ha preso un'altra persona e che il nostro compito è
finito, facendoci sentire vuoti, inutili e usati. Tutto ciò per chi fa il
nostro percorso sarà solo un passaggio iniziale, perché, giorno dopo giorno,
comprenderemo sempre di più che il principio supremo in noi è la Luce divina, e
che essa circola anche negli altri. Può darsi che il veicolo ci sia sgradito o che la
personalità di qualcuno ci sia antipatica, ma egualmente in entrambi vi è
quella luce che, seppur latente, ci accomuna tutti e ci rende fratelli. Ogni individuo deve arrivare alla propria luce a modo
suo, e ciò che possiamo fare è aiutare i nostri fratelli a ritrovare quella via
in loro. Questo è il nostro dovere verso il prossimo, il nostro
dovere verso Dio, il nostro dovere verso noi stessi; perché Dio è identico al
nostro Genio Superiore e si manifesta in una volontà forte, saggia e liberata
dal dominio del cieco istinto. L'amore che fa parte dei quattro elementi citati sopra
è anche quello che li contiene tutti. Allora perché parlare di quattro elementi
anziché di uno solo? Semplicemente perché il percorso richiede che si
sviluppino vari aspetti dell'Amore e non che l'amore venga vissuto come un
concetto astratto. Ognuno di noi può vivere la parola Amore creando in sé i più
bei filosofismi di questo mondo; ma la verità è che l'Amore che porta al
risveglio di se stessi è un Amore attivo e tangibile e non una forma di
pensiero o di emozione eterea. L'energia dell'Amore è manifestativa e crea nel mondo
e nelle persone effetti tangibili e reali che fanno sì che la vita venga
vissuta in maniera più reale e viva; parlando rispettivamente della volontà,
dell'umiltà e della fede, vedremo come questi nascono, si muovono e si
riuniscono, creando quell'unica essenza vivente e tangibile che è l'Amore. LA VOLONTÀ Spesso parliamo di volontà come di uno sforzo continuo
e spasmodico verso una meta che ci può apparire complessa o lontana, o entrambe
le cose; ma la verità è che l'unico modo per poter applicare la volontà nel
giusto modo è quello di avere, non uno spasimo infinito per l'obiettivo che vogliamo
raggiungere, ma un desiderio di creazione che parte dalla nostra anima
creativa. Attraverso una continua proiezione del nostro sentimento per il
progetto da realizzare, abbiamo sempre la possibilità di arrivare a vivere la
volontà come amore per il potere creativo, che ci porta a realizzare i nostri
sogni o progetti in un ambito di amore che ci inserisce in un'onda di vita che
glorifica la divinità in noi, attraverso l'uso dell'energia creatrice che viene
oggettivata nel mondo attraverso le nostre opere. Creare un'opera o dare alla
luce un bambino, per il potere creativo non è differente, perché esso dà sempre
forma ad un'idea di vita che deve diventare reale nel mondo. Ciò è realizzabile
solo attraverso l'Amore che scorre in ogni parte dell'universo e che consente a
noi di poter usare la stessa energia che il divino usa per creare. Tra la volontà
divina e quella umana c'è tuttavia una differenza: la prima crea per il bene di
tutti mentre la seconda lavora solo per se stessa, anche quando grida ai quattro
venti di volere il bene comune. La volontà si muove di pari passo con la voglia di
creare nuove cose nella vita quotidiana; ma questa creazione non sempre è
possibile perché siamo bloccati dalle nostre paure, da un mero istinto di
sopravvivenza, i quali, una volta creata la nostra nicchia quotidiana, ci
portano ad usare la volontà solo per mantenere quei privilegi o possessi
materiali o affettivi che ci tengono al riparo dalla paura della vita. Tutto questo porta la nostra volontà ad essere niente
più di una ancora a cui attaccarsi per mantenere una illusione di benessere, e
non il motore o la forza propulsiva che ci permette di conoscere la vita e di
farne esperienza, di superare gli ostacoli e renderci più consapevoli della
Creazione, perché ci siamo permessi di uscire dal nostro guscio per vedere
veramente come la Creazione vive e si muove. Usiamo la volontà per tenerci
ancorati e non per crescere e conoscere la Vita; la releghiamo a punti di forza
fermi che danno solo la sicurezza effimera di una stabilità e affermazione dei
propri privilegi materiali e sociali. L'UMILTÀ Che posso dirvi dell'umiltà? Nei secoli questa parola
è stata usata con tutte le motivazioni possibili e immaginabili, tranne quella
giusta. Spesso il termine “umiltà” viene usato per mantenere
la gente debole e ignorante; si tende ad identificare “umiltà" e
"semplicità", ma per "semplicità” non si intende la semplicità
dell'animo, ma l'ignoranza accademica ed esistenziale. Per secoli la Chiesa ha chiesto a tutti l'umiltà nel
percorso cattolico, e il frutto di ciò sono state le persone fataliste,
incapaci di prendersi la responsabilità della loro esistenza, perché educate a
seguire il fatalismo; persone che non decidono mai della loro vita ma la
subiscono nel nome di Dio. La parola “umiltà" è stata usata per controllare
la gente e impedirgli di avere idee proprie, che costituivano una minaccia al
potere dei pochi. Ora i tempi sono maturi per vivere il vero concetto di
“umiltà”, secondo quello che lo Spirito suggerisce. L'umiltà consiste nella continua apertura che fa
imparare cose nuove dalla vita, nel mettersi sempre nell'ottica di non sapere
nulla e che non si finisce mai di imparare. Lo dico soprattutto per le persone
che sono in un percorso di risveglio o che vogliono farlo. L'umiltà per voi,
come per me, deve essere la visione di uno stato di stupore continuo dove la
certezza di non sapere tutto porta alla semplicità interiore di rimanere
aperti, per avere sempre maggiore conoscenza della vita e del divino nelle sue
manifestazioni. Ricordate che prima e al di là delle regole vi è lo Spirito.
Esso risponde e si manifesta nelle persone che sono alla continua ricerca della
vita e non sono mai sazie di ciò che trovano, perché la misura della loro
apertura e comprensione della vita è che più comprendi e meglio vivi la tua
esistenza, nella piena consapevolezza di te. L'umiltà deve essere vissuta come un continuo sentire
il proprio bisogno di vivere, alimentato dalla certezza che la vita, in
qualunque istante, ti dà ciò di cui hai bisogno; senza quindi amareggiarti o
soffrire se non hai sempre quello che vuoi. L'umile è aperto alla conoscenza
del divino e della vita, e perciò di se stesso; e capisce che la semplicità
della vita e i frutti che la rendono gioiosa sono dati dalle piccole cose
quotidiane e non dai grandi possedimenti materiali a cui noi tutti ambiamo e
che alla fine non rendono felici. Bisogna ricordare che la felicità si trova
sempre in ciò che sentiamo e non in quello che possediamo. LA FEDE “La fede è un atto di fiducia che l'uomo fa verso il
divino”. Bella frase, non vi sembra? Credere senza avere le prove è il passo di
fede più grande che l'uomo può fare; ma solo perché nessuno ha mai insegnato
che il divino è presente in ogni istante, e quando non si vede è perché non si
hanno gli occhi per vederlo. Il percorso che gli aspiranti all'ermetismo si
accingono a fare è la sola via per avere occhi atti a vedere ciò che la fede fa
solo sperare. Per molto tempo la fede è stata usata per non dare
risposte e mantenere debole l'animo della gente; ma la fede deve invece rendere
l'animo forte, perché è l'unica luce che porta dentro di noi la sicurezza
cullata da un sentimento d'Amore, che ci fa veramente credere ed essere certi
che quando il nostro tempo sarà finito troveremo un nuovo mondo ad aspettarci. Un amico una volta mi disse: “Voglio cambiare! Non
voglio credere che le cose non possano cambiare". Questa frase appartiene
a una persona che nella propria vita ha fatto del male a molte persone, ma poi,
nel percorso di risveglio da lui intrapreso, ha trovato una nuova luce che
sentiva lo avrebbe portato in quel
mondo che tutti noi sogniamo e nel quale non sarebbe stato giudicato per i suoi
peccati ma per le sue buone azioni e per la sua redenzione (ricordate il
figliol prodigo?). Per la propria fede si può anche morire se essa è
basata sull'Amore, niente è più grande del sacrificio di se stessi per l'altro,
quando c'è l'amore che guida e soprattutto quando vedi, senti e sai che colui
per il quale ti sacrifichi, avendo in sé la tua stessa luce, sei sempre tu. Se
abbiamo questa consapevolezza non moriremo mai veramente, perché la luce del
divino ci rende tutti un'unica persona e un unico spirito, e anche se il nostro
corpo si dissolve, la luce in esso è eterna e verrà condivisa con le altre
persone che continueranno a calpestare il suolo di questa terra e porteranno,
anche se inconsapevolmente, i nostri pensieri e le nostre speranze; un giorno
questi pensieri e queste speranze diverranno uno nella fede dell'uomo, e la
vita risplenderà unica, e ogni cuore saprà ciò che è negli altri e non vi sarà
più sofferenza. Riunendo la volontà, l'umiltà e la fede, arriviamo a
quell'Amore assoluto che ci permette di vedere il Paradiso in Terra e di avere
la comprensione che la Vita non è solo un evento biologico ma una
manifestazione divina che si manifesta col solo scopo di dare la vita e di
glorificare quest'ultima, affinché ogni anima e ogni essere umano vi trovi il
proprio scopo, essendo il bene e facendo il bene. Affinché l'amore sia espresso
in ogni atto e la sofferenza venga trasformata, per mezzo dell'esperienza, in
una prova attraverso la quale troviamo l'Amore, anche nei momenti più duri la
divinità si muove per farci capire e amare qualsiasi avvenimento e insegnarci
che niente viene creato per la sofferenza. Nulla deve farci pensare che il
divino sia distante. Esso è presente qui anche ora. Per questo infine vi dico:
anche se ci sono giorni in cui fare i riti e le purificazioni lo sentite come
un peso, perché va a sommarsi al resto della vostra vita quotidiana, fateli
ugualmente, fateli semplicemente, fateli con il cuore; perché incontrare Dio
ogni giorno è importante e, anche quando andrete incontro a Dio senza gioia nel
cuore, perché affranti dai vostri problemi, sarete comunque i benvenuti. Cercate sempre di lavorare bene e quando non ci
riuscite, se avete scelto di essere davanti a Dio piuttosto che altrove, farà
lo stesso. Dio vi ama per ciò che siete, non per ciò che date. Questo percorso
lo sceglie chi vuole conoscere la Vita e non teme i suoi aspetti più
sconosciuti. La divinità che si esprime attraverso esso è l'Amore che Dio ha
per noi in ogni momento e non un premio per il più bravo. Ricordate che il premio viene dato a chi arriva e non
a chi arriva per primo; quindi percorrete la via con calma e con impegno, e vi
sarà dato secondo le vostre opere e i vostri sentimenti. Renato de Angelis Il Maestro della Scuola |
LUZ, IL NOCCIOLO DELL'IMMORTALITÀMi sono sempre chiesto perché un osso
che abbiamo in fondo alla nostra colonna vertebrale venisse chiamato osso
sacro. La mia curiosità per tutto ciò che è
considerato sacro mi ha spinto ad iniziare una ricerca. L'osso
sacro è un unico osso derivante dalla fusione di cinque segmenti
primitivi (vertebre sacrali), che fa seguito al segmento lombare della colonna
vertebrale; con il coccige e con le due ossa dell'anca forma il bacino.
Il sacro ha la forma di una piramide quadrangolare con base in
alto e apice in basso. Osso sacro deriva dal latino os sacrum, traduzione del greco hierón ostéon. Sul perché tale osso si
chiami “sacro” esistono varie ipotesi. Ippocrate è stato il primo a usare il termine hierón ostéon per indicare l’osso sacro:
tuttavia hierón in greco significa
non solo “sacro” ma anche “largo” o “grande”; dunque l’osso in oggetto si
chiamerebbe così per un’errata traduzione dal greco. Un’altra
spiegazione potrebbe essere legata alla vicinanza ai genitali femminili e alla
sua funzione protettiva dei genitali in genere, considerati “sacri” in quanto
generatori di vita. Tuttavia, la natura sacra di quest’osso potrebbe essere
ricondotta al fatto che esso fosse considerato la parte migliore degli animali
da offrire nei sacrifici o, ancora, alla credenza popolare e religiosa secondo
cui l’osso sacro sarebbe l’ultimo a disintegrarsi dopo la morte e dunque quello
da cui rinascerà il corpo al momento della resurrezione. L'idea che nel nostro corpo vi possa
essere uno speciale osso dal quale, come una pianta dal proprio seme, si possa
rinascere mi è parsa affascinante e mi ha rammentato, per analogia, il mito
della Fenice che rinasce dalle proprie ceneri. A proposito di
albero che rinasce dal suo seme, il Maestro Kremmerz scrive: “L'albero
giunto alla fine della sua evoluzione, determina la sua morte e prepara il suo
seme per la sua rinascita per ridiventare un'altra volta albero, quello che è
stato e per cui ha elaborato la sua sementa. L'uomo
identicamente non fa che spogliarsi di un oggetto per rivestirne un altro. Tra
una cosa e l'altra cura la completa evoluzione, diremo così, fetale, proprio
come avviene al seme gettato nella terra per riprendere la sua forza. In un primo stato avviene la separazione, maggiormente
intelligente in uno, più o meno in un altro, secondo lo stato evolutivo delle
persone. Si spoglia anche di una parte grave
pesante e resta una materia più sottile: un seme, il quale comincia a dimenticare la
vita primitiva perché la sua unità è scomparsa. Quindi ha luogo il passaggio
del Lete ed entra in uno stato di attrazione. Non appena trovato il
momento fecondatore capace di ridonare la vita a questo seme, ritorna un'altra
volta bambino e si evolve portando il bagaglio della esperienza precedente
che si manifesta nel fanciullo con le tendenze naturali che, beninteso,
prendono forma non ragionante (es.: i fanciulli prodigio)”. Mario Krejis, in “Tshecundia, Ibis –
La Magia dell'Anima”, scrive: “Come il fiore rivive nel suo seme,
che si riproduce germogliando non appena caduto nel terreno, così, disfacendosi
il coefficiente formale di tutte le cose, la loro essenza si riproduce in nuove
forme, vero Mercurio delle forme visibili, forza intrepida che vince le
resistenze della materia per riaffermare la sua volontà creatrice”. Circa la morte e la rinascita, Izar,
Maestro del Kremmerz, ha scritto: “La morte è l'uovo che si schiude dopo l'incubazione della
chioccia”. Il viaggio per l'eternità è un continuo
embrionato che prepara continue nascite per lunghe serie di mondi. Poiché Mercurio non sta mai fermo e un
pensiero tira l'altro, ho pensato al Djed egizio, pilastro
simbolo della stabilità e della colonna vertebrale, ed alla Kundalini,
il serpente dormiente arrotolato alla base della colonna vertebrale. Nella religione
degli antichi Egizi, lo Zed (o Djed = "stabilità",
"presenza") è la rappresentazione della spina dorsale del
dio Osiride, re dell'Oltretomba. Per gli Egizi, la spina dorsale
era sede del fluido vitale e simboleggiava la stabilità (?di, parola da cui ha origine
"Djed", significa appunto "essere stabile") e
la vita eterna. Il geroglifico che lo rappresenta somiglia a un
pilastro. Nell'induismo, Kundalini
è l'energia divina che si ritiene risiedere in forma quiescente
in ogni essere umano, sopita come un serpente avvolto su se
stesso e localizzata alla base della spina dorsale. La ricerca si faceva sempre più interessante. Nella parte estrema della spina dorsale dell’essere umano risiede il Luz, più precisamente nell’osso sacro, di formazione triangolare
e posto tra la terza vertebra lombare e il
coccige. Luz è una parola di
origine aramaica, rimasta invariata sia nella lingua ebraica sia in quella
araba, mantenendo in entrambe due
significati simili: “Luz”: · Mandorlo, sia come albero sia come frutto; · in particolare, Luz è il nocciolo duro che
permette alla pianta di rinascere. Il Luz è il nome che i
sapienti della Qabbalah, ma anche i profeti ebrei, hanno dato alla divina
scintilla intrappolata nell’osso sacro (parte considerata
indistruttibile, inceneribile). Si tratta di quella potente energia di cui
parlano tutte le tradizioni, la “scintilla”, che, se attivata, può portare al
risveglio spirituale mediante i risvegli delle Nadi, dei Chakras, della Kundalini. Tale risveglio libera l'individuo dalla catena
dell’esistenza materiale, trasformando i risvegliati-iniziati in “sacerdoti”
secondo la maniera di Melkizedek (il Re-Sacerdote di “Giustizia” e “Pace”). Nell’Albero
delle Sephiroth (i Cakra dello Yoga), nel suo asse centrale, il Luz viene celato in Yesod (il “Fondamento” – Muladhara Cakra nello Yoga). Il viaggio iniziatico non può che
cominciare dalla Città chiamata Luz quale punto di partenza necessario per poi vederlo
compiersi a Betel, la Casa di Dio (il Cranio che ospita nel Cervello il riflesso di tutti i Cakra- Sephiroth). La Scala di Giacobbe suggerisce la figura dell’umana spina
dorsale (da scalare, di Cakra-Sephiroth
in Cakra-Sephiroth, dal “fondamento” – la base del pilastro
del mondo – fino al “Cielo”, al
cospetto di Dio). Nel Luz risiede il
segreto dell’immagine e della somiglianza dell’Uomo con
Dio. Il Luz è fondamentale
sia perché permette, grazie alla sua alchimia spirituale, la
reincarnazione dell’Anima ma anche la sua resurrezione
(alba’th) – liberazione – in vita. Il Luz risvegliato alla
sua funzione divina riattiva, lungo il midollo spinale, tutti i “Centri” (Chakras, Sephiroth)
che iniziano a vorticare secondo lo scopo della loro natura. Tutte le “Fiamme della Salvezza” (i Maestri)
che hanno dovuto affrontare un Sentiero di risveglio sono passati
attraverso l’alchimia del Luz. Enrico Cornelio Agrippa, alchimista ed
esoterista del XV secolo, nella sua opera “La filosofia occulta”, scrive: “Nel
corpo umano vi è un certo osso minimo, che gli ebrei chiamano luz,
nella grossezza d’un cece mondato, che non è oggetto ad alcuna corruzione, che
è vinto dal fuoco, ma si conserva sempre illeso, dal quale (come dicono) come
una pianta da un seme, nella resurrezione dei morti il nostro corpo umano
ripullula, e queste virtù non si dichiarano col ragionamento ma colla
esperienza”. Un osso, dunque, che conserva la
nostra linfa vitale, la nostra anima, il ricordo delle nostre esperienze
passate. Un osso che racchiude la nostra intera vita, o, stando alla leggenda,
le nostre intere vite; tutte. Un osso che, grazie alla sua alchimia, permette
all’anima di rinascere. Tutto nel corpo umano si disintegra
alla morte tranne un osso che è il punto terminale del coccige
dal quale le creature sono nate e da cui risorgerà un nuovo corpo
nell’ultimo giorno (Hadith del Profetta Maometto) Fra le Tradizioni ve n’è una che
presenta un interesse particolare. La troviamo nel giudaismo e
concerne una città misteriosa chiamata Luz. Questo nome è in
origine quello del luogo ove Giacobbe ebbe il sogno in seguito al quale lo
chiamò Bethel, cioè Casa di Dio. È detto che l’Angelo della morte non può penetrare in questa città
e non vi ha alcun potere. Il termine Luz, nelle
sue diverse accezioni, sembra peraltro derivare da una radice che designa tutto
ciò che è nascosto, coperto, avviluppato, silenzioso, segreto. Luz
è chiamata la Città Azzurra (Celeste) che è il
colore del cielo (dal lat. Coelare, nascondere). La parola ha in ebraico il
significato di Mandorlo o Nocciolo (…). Luz,
inoltre è il termine assegnato a una particella corporea indistruttibile,
rappresentata simbolicamente come un osso durissimo, particella
alla quale l’anima rimarrebbe legata dopo la morte e fino alla
resurrezione (…). Questo Luz contiene i germi, gli elementi
virtuali necessari alla restaurazione dell’essere che si opererà attraverso la
rugiada celeste, rivivificando le ossa disseccate…Essendo imperituro, il Luz
è nell’essere umano il Nocciolo d’Immortalità, così come il luogo
designato con lo stesso nome è il soggiorno d’immortalità. Ivi si arresta il
potere dell’Angelo della Morte. È in un certo senso l’uovo o l’embrione dell’Immortale; può essere
paragonato anche alla crisalide da cui deve uscire la farfalla;
tale paragone traduce esattamente il suo ruolo in rapporto alla resurrezione. Si usa situare
il luz verso
l’estremità inferiore della colonna vertebrale, il che può sembrare abbastanza
strano ma può essere spiegato rifacendosi a ciò che la tradizione indù dice
della forza chiamata Kundalinî,
che è una forma della Shakti considerata
come immanente all’essere umano. Tale forza è rappresentata dalla figura di un serpente
arrotolato su se stesso, in una regione dell’organismo sottile
corrispondente all’estremità inferiore della colonna vertebrale.
Così, almeno, nell’uomo comune; ma, per effetto di pratiche come quelle
dello Hatha-Yoga, essa si
risveglia, si dispiega e si eleva attraverso le «ruote» (chakra) o «loti» (kamala)
che corrispondono ai diversi plessi, per raggiungere la regione corrispondente
al «terzo occhio», cioè l’occhio frontale di Shiva. Questo stadio rappresenta la
restaurazione dello «stato primordiale», in cui l’uomo ritrova il «senso
dell’eternità» e, in tal modo, ottiene quello che altrove abbiamo chiamato
l’immortalità virtuale. Fino a quel punto siamo ancora nello stato umano; in
una fase ulteriore, Kundalinî raggiunge finalmente la corona
della testa e quest’ultima fase si riferisce alla conquista effettiva degli
stati superiori dell’essere. Scrive Abraxa (Ercole Quadrelli): “Il Polo Nero a base dell'asse sidereo delle iniziazioni
d'Oriente è il luz cabalistico alla base dell'osso sacro e
della colonna spinale, detto “germe di resurrezione” -
ed è la “pietra nera” posta nel Foro all'inizio della pagana via
sacra”. Facendo riferimento ad un osso sacro, nel romanzo
“L'Angelo della finestra d'Occidente”, Gustavo Meyrink scrive: “[...] mi toccò la clavicola dicendo: “Questo è l'ossicino
mistico che intendo io. Lo chiamano l'appendice del corvo. Vi si
trova il sale segreto della vita. Esso non imputridisce nella terra.
Per questo gli Ebrei hanno fantasticato circa una resurrezione nel giorno
del Giudizio – […] lo so, perché in costoro l'ossicino splende di
una luce, che gli altri non possono scorgere -”. Mario Krejis, in “Tshecundia, Ibis – La Magia dell'Anima”, scrive: “Secondo l'Ermetismo, esiste nel corpo un Centro energetico,
localizzato nel plesso sacrale, che si risveglia ed esalta durante la copula
…. Vi è però, durante l'amplesso, anche la manifestazione di un'energia diversa
da quella fisica, una forza morale e mentale, che si sprigiona
nell'imminenza dell'orgasmo e può essere proiettata dal corpo e dalla mente”. Termino questo scritto sul Luz con un sintetico accenno
tramandatoci dal Kremmerz:
“Esiste un punto (eterico) nel corpo umano – variabile da
persona a persona – che, se conosciuto, attivizza l'Ibis”. Dua-Kheti Bibliografia: Rosario Castello - Il “Luz”: Il Nocciolo
dell'Immortalità Enrico Cornelio Agrippa – La filosofia
occulta Federica Guglielmi - Luz, l'ebraico
“nocciolo dell'immortalità” Renè Guenon - Il Re del Mondo
Mario Krejis – Tshecundia, Ibis ESEMPI DI PRUDENZA E SAGGEZZA23) LA PERSONA CHE
LASCIA DI SE IL BEL RICORDO
Nella
casa della Fortuna, se si entra per la porta del piacere, si
esce per quella della tristezza, e viceversa; attenti
dunque all’ultimo passo, dedicando maggior cura alla prosperità dell’uscita, che
non all’applauso nell’entrata. Inconveniente
diffusa tra la gente fortunata è quello di avere inizi favorevolissimi ed esiti
quanto mai tragici. L’importante
non consiste nel volgare applauso al primo ingresso, giacché
tutti lo possono ottenere, ma piuttosto nel generale compianto alla fine, perché
pochi sono gli uomini veramente rimpianti. Poche
volte la fortuna accompagna chi se ne va:
quanto
si mostra cortese con chi arriva, altrettanto scortese si mostra con chi parte. 22) PROCEDIAMO
SEMPRE DA UOMINI VISSUTI
Questo,
contro la gente scortese, ostinata,
presuntuosa e contro ogni sorta di sciocchi. È
facile imbattersi in simile genia, e
la saggezza consiste nel cercare di non scontrarsi con loro. Conviene
armarsi ogni giorno di buoni propositi dinanzi allo specchio della propria
accortezza, e
così si potranno vincere gli attacchi della stoltezza. Chi
procede da uomo avvisato, o
non esporrà la propria reputazione a rischi volgari. L’uomo
provveduto di saggezza non potrà essere sconfitto dall’impertinenza. È
difficile seguire la giusta rotta nei rapporti umani, perché
è seminata di scogli di discredito: la
miglior cosa è mutar direzione, consultando
l’astuto Ulisse per averne consiglio. In
questi casi può essere molto utile un’artificiosa sbadataggine.
Ma
soprattutto si faccia ricorso alla cortesia che è l’unica scorciatoia per
sottrarsi all’altrui insistenza (di possibile cattiveria o mancanza d’Amore). 21) MANTENERE I DUBBI
NEGLI ALTRI DELLE PROPRIE QUALITA’
La
meraviglia che suscita la verità è ciò che fa stimare il successo. Giocare
a gioco scoperto non procura né utile né piacere. Se
uno non scopre subito le sue carte, lascia gli altri in sospeso; e ciò
soprattutto là dove la sublimità della méta porge esca all’universale
aspettazione. In
tal modo ci si circonda di mistero, e quello stesso arcano provoca l’altrui
venerazione. Ma
anche quando ci si scopre, si deve rifuggire dall’eccessiva semplicità; e allo
stesso modo nel tratto non si deve consentire a tutti l’accesso alla propria
intimità. Il
silenzio prudente e cauto è il santuario della saggezza. Una
risoluzione scelta apertamente non è mai stata tenuta in gran conto; anzi, si
offre alla censura altrui e, se avesse a riuscire infausta, sarebbe biasimevole
doppiamente.
Si
imiti dunque il mistero che circonda la provvidenza divina, e così faremo star
tutti allerta e nell’incertezza. 20) L’UOMO DALLA
PAZIENZA DI ASPETTARE
Il
sapere attendere presuppone un gran cuore e una ancor più grande pazienza. Non
bisogna mai affrettarsi né appassionarsi. Sé
uno riesce ad essere in primo luogo signore di sé stesso, lo
diverrà poi anche degli altri. Nel
trascorrer del tempo, bisogna sapersi indirizzare al centro dell’occasione. Il
prudente indugio ammannisce i successi e matura i segreti. La
stampella del tempo giova più ed è più efficace della clava ferrata di Ercole. Dio
stesso non punisce subito, e
il proverbio dice che non paga il sabato. Famoso
detto è questo: “Il
tempo è io valiamo per due”.
La
stessa fortuna premia la prudente attesa con la grandezza del guiderdone. 19) SAPER
RICONOSCERE CHE OGNUNO DI NOI ABBIA LA PROPRIA STELLA
Nessuno
è tanto derelitto da non avere la propria stella; e
se è sventurato, ciò accade perché non ha saputo riconoscerla. Alcuni
trovano buona accoglienza presso principi e potenti, senza
sapere né come né perché: è
stata semplicemente la loro sorte che ha reso possibile tanto favore; all’abilità
non rimarrà altro compito che quello di aiutare la sorte. Altri
si trovano a godere della simpatia dei saggi: qualcuno
si vide meglio accetto in una nazione che in un’altra, e
più ben visto in questa città che in quell’altra. Può
accadere che s’abbia più fortuna in un posto o in una carica che in un’altra, e
tutto ciò pur essendo uguali ed anzi addirittura identici i meriti. La
sorte mescola le carte quando e come vuole; ognuno
conosca il proprio gioco come deve conoscere le proprie capacità, perché
dalle carte che ha in mano dipende il guadagno o la perdita. Sappia
servirsene giocandosele bene, ma
non tenti di cambiarle;
non
farebbe che sviarsi dalla direzione del nord segnata dalla stella polare. 18) NON DOBBIAMO
COMPORTARCI MAI SECONDO LE INTENZIONI CHE NOI ATTRIBUIAMO ALL’AVVERSARIO
Lo
stolto non farà mai quel che pensa il saggio, perché
non sa distinguere ciò che gli conviene. E
se l’avversario è saggio, sarà peggio ancora, perché cercherà di smentire la
persuasione che vi siete fatti delle sue intenzioni, e
le previsioni conseguenti. Le
cose si debbono guardare da tutte e due le parti, e
ci si deve voltare di qua e di là, disponendoci
ad affrontare entrambe le eventualità. Le
sentenze son diverse: l’uomo
equilibrato deve star pronto non soltanto per quel che avverrà,
ma
per quel che potrebbe avvenire. 17) ESSERE GIUSTI E DECISI AD OGNI TEMPO Al
leone morto, persin le lepri tirano la criniera. Non
si può giocare con il valore; se
si cede al primo, bisognerà cedere anche al secondo, e così via, via
fino all’ultimo: si
finirà per superare tardi quella stessa difficoltà che sarebbe stato bene
vincere al primo colpo. La
risolutezza dell’animo val più di quella del corpo; è
come la spada, e
deve stare sempre inguainata nella sua saggezza, ma
pronta ad ogni occasione. È
la salvaguardia della persona. Fa
più male il declinare dell’animo che quello del corpo. Ebbero
doti eccelse molti che, per
mancanza di questa risolutezza, parvero
già morti da vivi e rimasero sepolti nella loro ignavia. Non
senza il volere della Provvidenza, la
natura sollecita sposò la dolcezza del miele all’acutezza del pungiglione, nell’ape. Se
nervi ed ossa abbiamo nel corpo,
neppur
l’animo deve essere tutto mollezza. 16)
ESSERE RIFLESSIVO È UNA DOTE
Far presto, ma far bene. Ciò che si fa istantaneamente, istantaneamente si disfa; ma ciò che deve durare per l’eternità, si deve tardare un’altra eternità a farlo. Non si tiene in conto che la perfezione, e soltanto ciò che riesce bene permane. L’intelletto che è veramente profondo s’acquista l’eternità. Ciò che molto vale costa molto, giacché anche fra i metalli il più prezioso è il più pesante e quel che più tarda a fondere.
15) CONTENERSI DA
SAGGI Non
ci si deve mostrare ugualmente destri con tutti, né
si debbono impiegar più forze di quelle che sono necessarie; non
s’hanno da sprecar il sapere, né il valore. Il
buon falconiere non lancia sulla preda un falco più robusto di quel che sia
necessario per coglierla. Né
si deve sempre mettere in mostra quel che si sa e si può, perché
il giorno dopo non si desta più la meraviglia di nessuno. Ci
deve esser sempre qualche novità da mettere in evidenza, perché
chi di giorno in giorno scopre qualche cosa di più, mantiene
sempre viva l’aspettazione, e mai gli altri riescono a scoprire dove finiscono le sue capacità. 14) TUTTE LE COSE
ANDREBBERO VENDUTE CON CORTESIA E GENTILEZZA In
tal modo ci si accaparra meglio la gratitudine. Ciò che l’interessato chiede sarà sempre nulla a petto del generoso dono di chi spontaneamente dà. La cortesia, la gentilezza non solo dà, ma suscita
riconoscenza, e una gentilezza ricevuta obbliga più di qualunque altra cosa a
ricambiare. Per
la persona dabbene non esiste cosa più cara di quella che gli si dà; e
così chi dà gentilmente, la vende due volte e ha due prezzi: quello
del valore e quello della cortesia. È
vero che per l’uomo meschino, ignorante, la cortesia è arabo addirittura,
perché non riuscirà mai a comprendere i termini del buon procedere.
13) PARLARE QUALCHE VOLTA IN MODO ORIGINALE E FUORI DAL COMUNE METTENDO IN LUCE LA VERITÀ
È
indice di capacità superiore. Non
s’ha da stimare chi mai ci fa opposizione, perché
ciò non è segno dell’amore che lui ci porta, ma
di quello che porta a sé stesso; non
ci lasciamo trarre inganno dall’adulazione, finendo
per ricompensarla, ma la dobbiamo condannare. Essere
oggetto della mormorazione di alcuni, si
deve considerare un segno di stima, soprattutto quando si tratta di coloro che
sogliono dir male di tutti i buoni, in particolar modo dei fratelli. Quando
le nostre parole e le nostre azioni piacciono a tutti, bisognerà
preoccuparsi, perché sarà indice che non sono buone:
la
perfezione, infatti può piacere soltanto a pochi. 12) SAPER
RICONOSCERE IL PIÚ GRANDE DEI PROPRI DIFETTI Nessuno
al mondo può vivere senza il contrappeso della sua qualità migliore; ma
se l’indole favorisce il difetto, questo s’impadronirà dell’uomo
tirannicamente. S’incominci
a fargli guerra, mettendo
ogni cura nel combatterlo apertamente; e
il primo passo sia quello di scoprirlo, giacché,
una volta riconosciuto, sarà
bell’e vinto, soprattutto se interessato se ne farà quello stesso concetto che
se ne fanno coloro che lo osservano. Per
essere veramente padroni di se, bisogna andare anche contro se stessi. Una
volta che si sia abbattuto questo creatore di imperfezioni, anch’esse saranno presto finite. 11) NON COLPIRE IN
MALO MODO I GUSTI ALTRUI Facendolo, si
infligge una pena invece di dare un piacere. Certuni
infastidiscono il prossimo proprio quando pensano di renderselo riconoscente, perché non son capaci di comprendere i caratteri. Ci
sono azioni che risultano lusinghiere per certuni, mentre
per altri suonano offesa; e
quello che s’intendeva fare per vantaggio altrui, diventa insulto. A
volta dare un dispiacere costa più di quanto sarebbe costato fare un favore: e
si perde la riconoscenza e il dono va perduto perché non si è cercato di agire, in
modo da riuscire graditi. Se
non si conosce l’altrui indole, difficilmente
si riuscirà a soddisfare colui che intendiamo beneficare; da
questo consegue che mentre qualcuno pensa di tessere un elogio, pronuncia
invece un vituperio: e
questo è castigo ben meritato da chi non sa regolarsi. Altri
pensano di interessare con lo sfoggio d’eloquenza, e invece tormentano l’anima altrui con la loro loquacità. 10) APRIRE GLI OCCHI
PER TEMPO
Non
tutti coloro che vedono hanno aperto gli occhi, e
non tutti coloro che guardano, vedono. Accorgersi
troppo tardi delle cose, non giova più, ed anzi rattrista; certuni
incominciano a vedere quando non ce n’è più motivo: prima
di farsi loro stessi, hanno disfatto le proprie case e le proprie cose. È
difficile dare intelletto a chi non ha volontà; ma
più difficile ancora è dare volontà a chi non ha intelletto; chi
sta loro intorno, li scarnisce come cechi, offrendo
motivo di riso a tutti gli altri; e
poiché sono sordi per udire, non aprono gli occhi per vedere. Ma
non mancano di quelli che fomentano questa sorta di insensibilità, perché
l’esser loro consiste unicamente nel non essere degli altri. Infelice è il cavallo, il cui padrone non ha occhi, perché non ingrasserà mai. 9) NON DIVIDERE
MAI UN SEGRETO CON CHI È PIÙ POTENTE
Si
crede di spartire pere e si spartiscono pietre. Molti
morirono per essere stati confidenti. Costoro
si possono paragonare a cucchiai fatti di pane Che
finiranno per essere mangiati anch’essi. Il
fatto che un principe comunichi un segreto, non
è un favore che si riceve, ma un tributo che si paga. Molti
infrangono lo specchio perché rammenta loro La
bruttezza che ha riflesso; non posson vedere chi li ha veduti; e
non è mai ben visto chi ha visto il male. Non
conviene troppo stretto nessuno, e tantomeno il potente. O,
se si vuol farlo, ciò potrà più facilmente avvenire grazie ai benefici fatti, che
non contando sui favori ricevuti. Sono
soprattutto pericolose le confidenze fatte tra amici. Chi
ha comunicato i suoi segreti ad un altro ne è divenuto lo schiavo; se
si ha poi che fare con sovrani, si tratta di una violenza che non può durar a
lungo. I
potenti anelano a redimere la propria libertà perduta, e
per raggiungere lo scopo si metteranno sotto i piedi ogni cosa, perfino
la ragione. Perciò i segreti non s’hanno né da dire né da ascoltare. 8) È SAGGIO
SAPERSI RISPARMIARE I DISPIACERI È
proficuo atto di saggezza evitare i dispiaceri. E
la prudenza ne evita molti: essa
è la LUCE della prosperità e per conseguenza della contentezza. Le
notizie odiose, si cerchi di non darle e meno ancora di riceverle: si
deve chiuder loro ogni ingresso, quando non si dia adito contemporaneamente al
rimedio. A
certuni si consuman le orecchie a forza di ascoltare la gran dolcezza delle
adulazioni; ad
altri a forza di udire amarezze e mormorazioni; e
c’è infine chi non sa vivere senza un pochino di quotidiana afflizione, allo
stesso modo che Mitriade non poteva stare senza veleno. E
non è neppure il modo migliore di mantenersi bene, il volersi procurare un
dispiacere eterno per arrecare ad altri piacere per una sola volta, anche
quando si tratti della persona più intrinseca. Non
si deve mai peccare contro la propria felicità per compiacere chi ci consiglia
ma si tiene poi alla larga dalle conseguenze; e
in ogni occasione, sempre che vengano ad accompagnarsi il desiderio di far
piacere ad un altro e la necessità di procurare a se stessi un dolore, si
scelga la via più conveniente: è meglio che l’altro abbia ora un dispiacere, purché non tocchi poi a te soffrirlo senza rimedio. 7) COMPORTAMENTI
SAGGI Certuni
nascono prudenti; entrano nella vita con questo vantaggio dell’intuizione
connaturata nella saggezza, e in tal modo si trovano già a metà strada per
raggiungere il successo. Con l’età e con la esperienza, la ragione giunge a perfetta maturità, e anche il
giudizio diviene assai moderato. Aborriscono
ogni capriccio, come vana tentazione per la saggezza, e per questo soprattutto
in materia di Stato, laddove per la somma importanza delle decisioni di
richiede la più completa garanzia. Costoro meritano di stare al timone, o come consiglieri, o come esecutori. 6) LA MATURITA' E'
dote, questa, che risplende all'esterno, ma più ancora nei costumi di chi la
possiede. Il
peso materiale rende prezioso l'oro, e quello morale la persona: è
qualità che aggiunge decoro a tutte le altre doti, e procura venerazione. La
compostezza d'un uomo è come la facciata della sua anima. E
non si tratta di una stoltezza che non s'abbandona a troppe smancerie, come
vorrebbe che fosse la leggerezza, ma d'una autorità che s'impone con estrema
gravità; parla
per via di sentenze, e ha successo quando agisce. Presuppone
un uomo perfetto, perché la maturità corrisponde in tutto alla perfezione; e l'uomo, quando cessa d'esser bambino, incomincia ad assumere responsabilità e serietà. 5) SANTO, SAPIENTE E SAGGIO La virtù è catena di tutte le perfezioni, è
centro di tutte le felicità: essa fa l’uomo prudente, attento, sagace, saggio,
sapiente, valoroso, sereno, integro, felice, lodevole, veritiero e universale
eroe. Tre
sono le cose che rendono beati: santo, sapiente e saggio. La
virtù è il sole del mondo interiore ed ha come emisfero la buona coscienza; è
così bella che attira l’amore di Dio e della gente. Non
c’è che una cosa amabile, la virtù; e una sola da aborrire è il vizio. La virtù
è l’unica cosa che conta davvero tutto il resto è nulla. La
capacità e la grandezza si debbono misurare alla stregua della virtù e non
della fortuna. La virtù basta a se stessa: finché l’uomo è vivo, lo rende amabile, e quando è morto, lo renderà immortale. 4) NON
CONFONDERSI MAI CON GLI SCHIOCCHI Sciocco è chi non sa riconoscer gli sciocchi, ma più ancora chi, dopo averli riconosciuti, non li allontana dalla sua strada. Son
già pericolosi per chi li tratta superficialmente, ma divengono addirittura
esiziali per chi li ammette nella propria confidenza. E
per quanto la loro stessa cautela e l’altrui accortezza riescano a trattenerli
per qualche tempo, alla perfine commettono la sciocchezza o la dicono; e quanto
più tardano, tanto più solenne essa riesce. Mal
può giovare all’altrui credito chi non ne ha di proprio. Son
la gente più infelice del mondo, perché l’infelicità è come il soprosso della
stoltezza, e l’una chiama l’altra. Solo una qualità essi posseggono non del tutto cattiva, ed è che, mentre gli uomini saggi non possono esser d’alcuna utilità per loro, essi sono di gran giovamento ai saggi, giacché servon loro d’informazione o di esempio da evitare. 3) PAROLE FINI E CARATTERE DOLCE Se gli strali trafiggono il corpo, le cattive parole trapassano l'anima. Una buona pasta per i denti profuma la bocca; gran sottigliezza della vita è saper vender l'aria. La maggior parte delle cose si può pagar con parole, e le parole bastano a liberarci da situazioni che parevano impossibili; si discute col vento nel vento, e un alito superiore giova assai ad animare. Si deve aver sempre la bocca piena di zucchero per confettar parole che risultino gradite agli stessi nemici. L'unico mezzo per esser amabile consiste nell'esser dolce. 2) LASCIARE FAME DI SE NEGLI ALTRI
Anche se il cibo è nettare, bisogna che ne rimanga il desiderio sulle labbra. Il desiderio dà l’esatta misura della stima. Perfino la sete materiale sarà opportuno stuzzicarla, ma non spegnerla poi del tutto: ciò che è buono, se è poco, riesce doppiamente buono. Ogni cosa scade di molto quando se ne usa per la seconda volta. Pericolose sono soprattutto le scorpacciate di soddisfazione, perché sono foriere di disprezzo anche per le cose più durevolmente eccellenti. Una sola è la regola per farsi apprezzare: prendere all’amo l’aspetto stuzzicato, usando come esca la fame che ancora ha. Se in qualche modo si deve irritarlo, è preferibile che ciò avvenga per l’impazienza del desiderio, che non per la stanchezza del godimento. Si gusta doppiamente la felicità faticata. 1) LA DIMENSIONE TRASCENDENTE È IL CULTO DIVINO.Dove finisce il materialismo, può iniziare anche la consapevolezza della dimensione trascendente.
Non si viene al mondo consapevolmente spirituali, ma esseri misti, tutti noi, eccetto rarissimi casi, apprendiamo prima lentamente ad orientarci in questo mondo materiale, scoprendo solo dopo con il tempo, e grazie anche all’esperienza, i tesori più grandi che portiamo nella bisaccia sin dalla nascita. Tutti siamo stati bambini, adolescenti e poi adulti; in tenera età abbiamo tutti indossato le ali della fantasia, almeno fino a che le docce fredde della vita non ne hanno consumato quella trama sottilissima, che rendeva speciali le nostre percezioni. Crediamo allora di essere approdati, per il solo peso degli anni, sul terreno solido della ragione, in un mondo fatto di certezze, rispondente alla legge di causa-effetto; pensiamo allora di essere divenuti “grandi”, al sicuro da imprevisti. Ma è davvero così? Oppure alla prima onda poco più alta di noi navighiamo di nuovo a vista? Chi non ha avuto almeno una volta nella vita, anche se solo per un attimo, la sensazione di avere reso, per presunzione, più spessa la scorza che ci separa dal frutto della consapevolezza delle realtà ultime, allontanandoci dalla nostra meta finale? Le scoperte materiali ci hanno davvero portato a vivere in comunione con tutto ciò che ci circonda? Oppure ci siamo confinati in un mondo limitato e grossolano, del tutto periferico rispetto al cuore delle nostre aspettative? Crisi di identità, angoscia e depressione, diffuse oggi più che mai insieme al moltiplicarsi spaventoso di disturbi psicologici e di malattie neurologiche, non sono forse il segno che in questo mondo materiale non abbiamo il cibo sufficientemente ricco per la nostra mente? La nostra anima non aspira forse piuttosto a rivedere quella luce perduta, oscurata dalla nostra stessa ombra, ingigantitasi indefinitamente sotto l’influenza di una mentalità miope, frutto di una visione del mondo distorta e deviante? Alcuni di noi non hanno mai smesso di lasciarsi trasportare dai sensi e sentimenti materiali, e consentono al moltiplicarsi delle sensazioni di impazzare senza direzione nella loro vita, ignorando i caratteri incisi con chiarezza nel loro destino; altri passano la loro vita a sfuggire agli eventi, aspettando che gli cadano addosso in nome di una necessità cieca ed inesorabile; solo in pochi, prendono in mano il proprio destino, affinando Volontà ed Intelletto, con l’aiuto della Provvidenza, che come la Fortuna, sostiene nell’ audace cammino verso la realizzazione della meta trascendente. Sebbene sommersi dalle preoccupazioni dei tempi difficili che corrono, quanti conservano ancora memoria del fine della vita umana, e ne danno testimonianza con le loro azioni! Il primo passo nel cammino spirituale è rendere grazie all’AMORE che permea il TUTTO e nello stesso tempo ringraziarlo con Preghiere per averci posto accanto, per il nostro aiuto, tutti gli Esseri Divini Universali. “Esseri comandati di venire in nostro soccorso e correzione, obbligati per il nostro Bene, a lasciare l’esistenza contemplativa delle Verità eterne, e divenire reggitori di questo Universo e del destino del nostro mondo, cangiante secondo le espressioni mutevoli della Luna.” “Questi Esseri Cosmici, appartengono a Dio, vanno considerati parte dell’Essere Unico, in quanto dimorano di grado in grado intorno alla circonferenza del Tutto, PARTECIPANDO AI PENSIERI ED AI POTERI DELLA “LUCE CREATIVA D’AMORE”. “Dalla Grande Misericordia, sono stati mandati presso di noi e sono stati fatti Signori del Mondo e del nostro destino, per il Bene ultimo; il male su questa terra deriva dal loro oscuramento, conseguenza delle contingenze materiali da cui noi, in quanto esseri promiscui, senza la Preghiera, ci lasciamo facilmente soggiogare.” “Occorre amare tutti gli Esseri Divini, rendendo il culto Loro dovuto, a mezzo della Preghiera, perché da Loro deriva ogni Bene, come ogni Scienza possibile.” “Divenire simili a Loro non significa essere un dio, ma piuttosto abbracciare le proprie limitazioni di fronte all’inesauribilità del Mistero delle Realtà Ultime, al di là di ogni condizione umana, fino all’Abisso Infinito di una Sola Cosa.” “Riconoscere agli Esseri Divini il culto Loro proprio, è Vera Sapienza, sorgente unica di tutte le scienze passate e future, segno autentico di Progresso per ogni Civiltà, che con la Preghiera, dà agli Stessi il senso della Regalità per cui sono stati posti in nostro aiuto.” Dare all’Invisibile, il nome del TUTTO, Principio e Fine di ogni cosa, riconoscere che ESSO solo è l’Infinito, è il solo modo che abbiamo di dare testimonianza del Mistero insondabile del Suo Essere Universale. Meravigliose sono le Opere che l’uomo può compiere, a partire da questa umile terra, accendendo in sé il lume della Preghiera, per restituire l’Amore Grande che ogni giorno riceviamo in dono. Il rifiuto di questo scambio d’Amore in cui consiste la Preghiera, comporta la negazione della dimensione trascendente dell’Essere umano, così facendo e pensando l’uomo nega infatti a sé stesso di attingere alla fonte vitale dell’Energia cosmica, quell’Olio Santo, che nutre la fiamma viva del cuore orante, e risponde direttamente ad ogni nostra domanda, disperdendo ogni male; il rifiuto di tale Infinita Grazia, getta l’uomo in balia della propria natura sensibile inferiore, ferina, in cui domina la mancanza, la divisione e la distruzione, ed il cui signore (che aleggia ora in questo mondo) porta i nomi della disperazione e desolazione senza fine. Riprendiamo il nostro cammino dove lo abbiamo interrotto, restiamo fedeli al sentiero percorso già dai nostri Maestri spirituali, che come Padri ci hanno dato l’esempio in ogni tempo ed ancora oggi non mancano in ogni nazione; seppure nascostamente, a causa dell’epoca che viviamo, essi continuano ad indicare la via mostrandosi a coloro che, animati di Fede sincera, ne fanno richiesta e non solo nel segreto del proprio cuore. Un Maestro autentico è una guida indispensabile, il suo esempio scioglie in un baleno, il labirinto di anni di faticose e assurde ricerche su sé stessi. Avventurarsi nella ricerca ermetica senza un Maestro esperto, comporta il rischio molto alto dell’annichilimento o dell’autoesaltazione, frutto delle negazioni, o dell’estensione sconsiderata, della propria individualità. La vicinanza di un Maestro ermetista spirituale ci rigenera sin dalle radici del nostro essere, egli solo può mostrarci con la sua vita esemplare, i copiosi frutti della Preghiera, sorgente d’acqua viva che sgorga spontanea da un cuore del tutto purificato. La Tradizione ermetico spirituale è la diritta via, il “filo d’oro” teso per far risuonare d’Amore Universale, un Cuore umano in perfetto equilibro. LA DIMENSIONE SPIRITUALE È IL CULTO DIVINO, l’adorazione continua e stabile, impossibile da realizzare pienamente su questa Terra, ma che un giorno sarà ricca delle primizie elargiteci in abbondanza, a testimonianza vera dell’INFINITO AMORE che riceviamo sin d’ora continuamente.
Fr+ Serio
DAL LIBRO I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA DEL FILOSOFO VLADIMIR S. SOLOVIEVDAL
LIBRO I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA DEL FILOSOFO VLADIMIR S. SOLOVIEV (edizioni
LIPA Roma 1998 - pagg. 37 e 39) Riportiamo di seguito alcuni brani
scritti dal filosofo Vladimir S. Soloviev (Mosca 1853-1900) sul tema, a noi
caro, della “Preghiera”. Speriamo di fare cosa gradita,
invitando, a meditare sulle parole di Soloviev, tutti gli ermetisti ed i
lettori appassionati che seguono con affetto sincero il nostro blog sulla
tradizione ermetica kremmerziana. Sulla scia della pubblicazione del
Testamento spirituale di Salvatore Mergè, Maestro e fondatore della nostra
Accademia ermetica, ultimo discepolo del Maestro Giuliano Kremmerz, siamo certi
che le riflessioni di Soloviev sulla Preghiera e sul desiderio del BENE,
possano contribuire ad un approccio autenticamente spirituale alla tradizione
ermetica; riteniamo infatti che quello spirituale, sia l’unico approccio che
consenta di penetrare, in spirito di Verità, nei misteri dell’ermetismo, e
partire alla conquista dei segreti, che al pari di meravigliosi diademi, sono
stati donati da uomini di luce, all’Umanità, per il suo riscatto dalla
schiavitù del male, insito nella natura mista della stessa costituzione umana. Le parole di Soloviev, risuonano oggi
ai nostri orecchi, dure come pietre, ma i nostri cuori, per quanto immersi
nella mentalità dominante odierna, individualista e materialista, non possono
non provare al loro cospetto, un sussulto di Gioia, riconoscendo il Sommo Bene
che le ha ispirate. Non esiste volontà buona senza Dio, perché Dio è il Bene
dell’umanità. Sono le parole del PADRE NOSTRO che
hanno guidato il filosofo russo nello scrivere il testo da cui sono state
estratte; mentre siamo assorti nella lettura, a quelle parole la nostra
meditazione deve di continuo mirare, non perdendo mai di vista l’unica Volontà
che possiede in sé anche ogni BENE, il vero Signore del Mondo, IL PANTOCRATORE,
in nome del quale soltanto è giusto auspicare la riunificazione di tutti i
cristiani, e non solo.
_____________
DELLA
PREGHIERA Quando abbiamo provato
nel cuore un'avversione verso il male, che domina nel mondo e in noi stessi;
quando ci siamo sforzati di combattere questo male, e per esperienza ci siamo
convinti dell'impotenza della nostra buona volontà, allora sorge per noi la necessità
morale di cercare un'altra volontà, tale che non solo voglia il bene, ma anche
lo possegga e per conseguenza possa comunicare anche a noi la forza del bene.
Una tale volontà esiste, e prima che noi la rintracciamo, essa stessa ci ha già
trovati. Essa rivela sé stessa alla nostra anima con la fede e ci unisce con sé
nella preghiera. Crediamo nel bene, ma
sappiamo che in noi stessi il bene non c’è. Perciò dobbiamo rivolgerci al bene
esistente, dobbiamo dare a lui la nostra volontà, offrirgli una vittima
spirituale, cioè noi dobbiamo rivolgergli la nostra preghiera. Colui che non
prega, cioè che non unisce la sua volontà alla volontà suprema, allora o non
crede in questa volontà suprema, non crede nel bene, oppure considera se stesso
possessore assoluto del bene, e la sua volontà come perfetta e onnipotente. Non
credere nel bene equivale è la morte spirituale, e credere in sé stessi come
sorgente del bene è follia. Credere nella fonte divina del bene, e pregarla,
dandogli la propria volontà in tutto, è vera sapienza ed è il principio della
perfezione morale. Se veramente vogliamo una
vita libera e perfetta, siamo tenuti a affidarci e darci a Colui che può
liberarci dal male, e darci la forza del bene, a Colui che in eterno possiede
la libertà e la perfezione. Infatti la nostra anima è
solamente capace di essere libera e perfetta, ma in sé stessa non possiede né
libertà né perfezione, ha in sé unicamente la potenzialità per l'una e per
l'altra. Questa possibilità verginale della nostra anima può divenire in noi la
madre di una nuova vita felice. Per questo, cioè per la nascita reale di una
nuova vita è necessaria l'azione di quello che in sé possiede un principio
attivo creatore, o germe di questa nuova vita. La capacità divina di questa
nostra anima, per non restare infeconda, ma divenire la madre (mater-materia)
di una nuova vita spirituale che possa liberamente agire e creare, deve darsi
al suo liberatore e signore, al Padre della nuova vita. Perciò il primo atto
della fede, il primo atto della nuova vita spirituale, nella quale Dio agisce
insieme con l'uomo, è la preghiera. La fede senza opere è
morta, e la preghiera è la prima opera e il principio di ogni vera azione.
Credendo in Dio, noi dobbiamo credere che in Lui si trova tutto il bene
pienamente e perfettamente, altrimenti egli non sarebbe Dio. E se tutto il bene
realmente è in Dio, ne segue che da noi stessi non siamo in grado di compiere
alcuna azione buona e vera: noi possiamo unicamente non opporci al bene o alla
grazia che viene dall'alto, e con questa non opposizione, con questo consenso
alla grazia, cooperare con essa. La grazia ci volge verso Dio, ed in ciò è
riposta l'essenza della preghiera, che è già in certo qual modo un’opera vera e
buona. Per essa noi agiamo in Dio, e Dio opera in noi. Questo è già il principio
di una nuova vita spirituale.
______________________
Cosa
significa desiderare Dio?
Quando noi nella nostra
vita naturale desideriamo qualcosa per noi stessi, questo desiderio può essere
di tre tipi: o noi desideriamo che qualcosa che ancora non esiste venga alla
luce (come per esempio i genitori desiderano la nascita dei figli, gli artisti
desiderano produrre le loro opere); oppure desideriamo che qualcosa di
esistente, che non ci appartiene, diventi di nostra proprietà, o che la
riceviamo come nostra (tali sono tutti i desideri dell'egoismo); o, infine, noi
desideriamo cambiare ciò che è in noi o negli altri (tali sono tutti i desideri
di miglioramento o perfezionamento). È chiaro che nessuno di questi desideri si
applica a Dio in sé stesso, ma ognuno di essi si applica a Lui nelle sue
relazioni con noi. Non possiamo desiderare Dio per noi come un oggetto
qualsiasi: noi non possiamo desiderare che qualcosa di nuovo si compia in Dio
stesso, essere perfettissimo, nel quale già tutto è perfetto: ma noi dobbiamo
desiderare la nostra perfezione nell'unione con Dio. Dio è eterno in sé
stesso, ma noi dobbiamo desiderare che Egli cominci ad esistere per noi.
Infatti, finché noi viviamo per la nostra volontà e per quella del mondo, Dio è
per noi come se non esistesse. Dio è l'essere
Pantocratore, in sé tutto racchiude, e noi stessi apparteniamo a Lui. Ma noi
dobbiamo appartenere a lui non solo in virtù della sua signoria, ma anche in
nome della sua divina perfezione, per Lui stesso, come bene supremo, come unico
bene; noi dobbiamo appartenergli liberamente e spontaneamente. Dio è immutabile in sé,
ma noi dobbiamo desiderare che Egli si muti per noi, vale a dire che noi ci
mutiamo in modo conforme a Lui. Così da secoli eterni il sole immutabile riceve
nuova forza per il cieco che riacquista la luce, perché il cieco si muta e
riceve nuova forza, divenendo lui stesso un ricettacolo di luce. Perciò, desiderando Dio,
noi dobbiamo desiderare, in primo luogo ch'Egli si riveli a noi, e ci dica il
suo nome: vale a dire che ci comunichi l'idea mediante la quale noi Lo
conosciamo, e distinguiamo Lui da un altro essere. In secondo luogo, conoscendo
Dio, noi dobbiamo realmente accettare la sua rivelazione e confessare il suo
nome, perché è possibile, pur conoscendo Dio, non glorificarlo come tale (Rom.,
I, 21); ed in terzo luogo, conoscendo e confessandolo come tale, noi dobbiamo
divenire conformi a Lui, affinché il suo nome sia santificato in noi: noi
abbiamo già pregato, quando abbiamo detto: “Sia santificato il tuo nome”. Ma se realmente
desideriamo ciò, dobbiamo desiderare che Dio regni non solo nell'intimo del
nostro cuore, ma anche in modo visibile; questo si avvererà quando non solo le
singole anime ma tutte le creature si abbandoneranno nelle mani di Dio e
formeranno realmente il suo regno. Un regno di Dio di tal fatta non esiste
tuttora, ma credendo in Dio, noi speriamo nel trionfo dell'opera di Dio nel
mondo. Noi preghiamo per questo visibile universale regno di Dio, quando
diciamo: “venga il tuo regno!”. |
LISTA ARTICOLI
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- LUZ, IL NOCCIOLO DELL'IMMORTALITÀ
- ESEMPI DI PRUDENZA E SAGGEZZA
- LA DIMENSIONE TRASCENDENTE È IL CULTO DIVINO.
- DAL LIBRO I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA DEL FILOSOFO VLADIMIR S. SOLOVIEV
- APPENDICE AL TESTAMENTO SPIRITUALE DI SALVATORE MERGÈ SULL’ "ALCHIMIA MATERIALE"
- PREGHIERA A MARIA
- LE MOTIVAZIONI CHE INDUSSERO GIULIANO KREMMERZ A ESCLUDERE I MASSONI DALLA NASCENTE E FUTURA FR+ TM+ DI MYRIAM.
- GALILEO ALL'INFERNO
- CONSIDERAZIONI FRATERNE
- IL VIAGGIO DI DANTE ALLA LUCE DEI RIMANDI ASTRONOMICI
- UN PENSIERO DI RINGRAZIAMENTO PER IL TESTAMENTO SPIRTUALE DEL M° SALVATORE MERGÉ
- LETTERA DI RINGRAZIAMENTO A FIRMA DI UN FRATELLO DI HERMES
- NOTIZIA STRAORDINARIA !!!
- KHEPRI
- LA PICCOLA CORONCINA PER LA DIVINA PROTEZIONE
- CURIOSITA' ASTRONOMICHE
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- IL PENSIERO
- E NON CI INDUCA IN TENTAZIONE
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- LETTERA DI RINGRAZIAMENTO E ALCUNE RIFLESSIONI SUL TESTAMENTO SPIRITUALE DI SALVATORE MERGÈ
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- LA TAVOLA ZODIACALE - PRIMA PARTE
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