IL CUORE
Ultimo aggiornamento Martedì 04 Giugno 2019 18:21 | | Stampa | | E-mail
Per gli egizi, un importante elemento
costitutivo dell'individuo, in grado di estendere la propria influenza sia
durante la vita sia nel regno dei morti, è rappresentato dal cuore,
sede del Dio nell'Uomo che dell'individuo dirige il pensiero e le
attività, vivificandone il corpo. Gli antichi egizi distinguevano
nell'uomo un'intelligenza cerebrale e una innata,
detta intelligenza del cuore, che permette di penetrare la
Conoscenza delle cause e di andare al di là dei limiti animali per giungere a
quello che di Divino è nell'uomo. Facendo appello a questa coscienza
innata, soffocata dall'intelligenza cerebrale e dalla sua cultura, si
può risvegliare l'intuizione. Pittograficamente il cuore è rappresentato da un vaso munito di orecchiette (quasi a simboleggiare che per suo mezzo perviene all'individuo la capacità di intendere) ed è considerato come la sede dell'intelligenza. Il nome attribuito dagli egiziani a
questo organo è jb nello specifico senso di sede del pensare,
del sentire ecc. Un altro nome per cuore,
che trova impiego soprattutto nei testi di anatomia, è hatj e il
Libro dei Morti parla di entrambi nel rituale “per dare il cuore
al defunto”: “Possa il mio cuore jb essere con me nella dimora
dei cuori jb, possa il mio cuore hatj essere con me
nella dimora dei cuori hatj [...] Io comprendo attraverso il mio cuore jb
ed io posseggo il mio cuore hatj.” Era quindi chiara per gli egiziani l'idea di un aspetto fisico del cuore e di una controparte spirituale, sede del pensiero, dell'intendimento, della coscienza e che adempie inoltre ad una funzione delicatissima nella vita ultraterrena, oltre a quella svolta nella psicostasia. Tale organo rappresenta infatti anche la memoria dell'anima: “Il cuore jb della tua anima (Ba) si ricorda del tuo corpo”, chiara indicazione di come il Ba si serva del cuore spiritualizzato per “ricordare” il corpo e tornare a far visita alla mummia. Horapollo riporta che gli egiziani
consideravano il cuore, cioè l'intelligenza, e la lingua,
cioè la volontà, come i due organi creatori. Ciò è in perfetta
coerenza con la concezione teologica intellettuale di Menfi secondo la quale il
demiurgo Ptah si avvalse, nella sua opera creatrice, di Atum,
simbolo dell'intelligenza la cui sede è nel cuore e
la cui manifestazione divina è Horo, e della volontà
manifestantesi con la lingua e la cui immagine divina è Thoth. Analizzando un'antica stele del
British Museum, Junker ha potuto ricostruire la concezione secondo cui, per gli
antichi egiziani: “la visione degli occhi, l'audizione delle orecchie, la
respirazione del naso, apportano informazioni al cuore. E' lui
che fa sgorgare ogni conoscenza ed è la lingua che ripete quel
che il cuore ha pensato”. Nel Libro dei Morti, al capitolo XXVI si dichiara esplicitamente: “Io ho la conoscenza mediante il mio cuore.” (Egitto magico-religioso – Boris de Rachewiltz). Nel tempio egizio, così insegnava il Maestro al Discepolo. “Il cuore, come il Sole, è il centro del mondo; come il Sole, esso ha due aspetti: uno visibile e corporeo, l'altro percepibile solo attraverso gli effetti. E invero l'àten solare (o disco apparente) è il corpo dell'astro reale, centro delle sfere di luce, di calore e di molte altre energie. Il vero cuore
solare è la fonte di quell'energia che dà vita al nostro
mondo. Il cuore di
carne, àb, è il corpo di quel sole di vita e di Fuoco che
è il centro d'irraggiamento dell'anima BA, anima il cui aspetto
inferiore è portato dal sangue. Il nostro vero cuore
solare, centro d'attrazione del KA spirituale, è il
centro di raccolta di tutto ciò che in noi desidera quel KA e ne
accetta gli impulsi. Esso quindi può equilibrare e animare il cuore di
carne, che ne dipende e batte nella sua sfera. In tal caso il cuore
totale diventa un cuore di fuoco, un centro di Luce, una fonte di
vita che ha tutto il potere di sottomettere gli spiriti animali della
nostra personalità..” “Come la luce ardente di Râ è riflessa dalla Luna in luce fredda ed attenuata, così la visione del cuore è riflessa dal cervello. Però mentre il cuore sintetizza tutte le percezioni creandone una coscienza vitale, il cervello le separa e le fissa in determinate zone[...] Ecco perché il nome del cervello aàs è l'inversione di sàa, la coscienza del cuore. Il pensiero deve
tradurre ciò che la coscienza ha inciso nel corpo intero, ma il processo
inverso è sbagliato: se tu inscrivi nella coscienza ciò che hai elaborato
con i tuoi ragionamenti, ne risulteranno delle fantasticherie e dei sistemi
arbitrari. Tu non puoi inventare nulla; devi assimilare a te ciò che esiste
in realtà: è il rovescio della mentalità di cui il cervello è re. Affinché le mie parole risveglino in te una logica vitale e non vengano tradotte in nozioni morte, devi imparare a distinguere queste due mentalità; usa pure quella più complessa per registrare i particolari delle cose che ti si rivelano, ma sappi evitare l'analisi degli elementi 'dissezionati', perché è un'analisi che distrugge ogni legame vitale e oscura l'idea semplice originaria.”. (HerBak – Discepolo – Isha Swaller de Lubicz). A queste due mentalità mi riferivo, quando accennavo al rischio di una non corretta interpretazione dei geroglifici egizi, scrittura simbolica e sintetica, poiché per leggerne il senso profano – essoterico – è sufficiente la grammatica egittologica. Per leggerne il senso esoterico è invece necessario pensare allo stesso modo di coloro che li hanno composti e cioè con l'Intelligenza del cuore. In riferimento a quanto sopra, io sintetizzerei così: Il cuore (plesso solare) è analogo al sole come il cervello (plesso lunare) è analogo alla luna. Gli antichi egizi sostenevano che
la “verità Una” doveva essere ascoltata con le “orecchie
del cuore” (forse “orecchiette”...) poiché se interpretata con il cervello,
grazie ai suoi “due emisferi”, l'Uno diventava immediatamente Due
e, proseguendo con il ragionamento, diveniva Quattro, Otto ecc., conducendoci
in quel “labirinto” che la sua forma rappresenta. La verità è sintesi
non analisi e serve l'intelligenza del cuore. La tradizione ha perpetuato nel tempo questa visione originaria e Geber così si esprime: “L'intelligenza ha la sua sede nel cuore poiché presiede a tutti gli organi, essa sorveglia tutto ciò che è portato al cervello dell'uomo. Senza di essa il cervello non si sarebbe svegliato”. “Quanto agli organi di animazione e rigenerazione, essi sono situati nella gabbia toracica che contiene hati, cioè il complesso cuore-polmoni, inseparabili in questa funzione. Il cuore di carne, àb, è un danzatore àb, e il suo moto di contrazione e dilatazione è il propulsore dell'attività vitale e il motore della vita animale. Il cuore regola il ritmo del flusso sanguigno. Ma il cuore, da solo, non è in grado di funzionare da motore dell'animazione: esso è coadiuvato da un organo doppio, i polmoni, in cui si incontrano il fuoco dell'aria portata dal respiro nef, e il sangue, senef. Come il fuoco non può ardere in assenza di aria, così il cuore di carne ha bisogno dei polmoni, sma, per animare il sangue e unire l'aria al fuoco. Quindi, hati è il nome della triade che fornisce l'impulso vitale organico. Il simbolo di hati è la parte anteriore di un corpo di leone, parte che comprende il cuore e il petto dal respiro possente di questo animale solare. La testa, dalla criniera tipicamente solare, completa il simbolo.” (HerBak – Discepolo – Isha Swaller de Lubicz). Il cuore è un organo
che sta al centro del nostro corpo e che nella sua dinamica biologica pulsa per
inviare il sangue fino alla periferia del nostro essere. Il cuore, che
segna la nostra vita ma anche la nostra morte, non è solo un organo
fisiologico ma è per noi anche un simbolo sempre eloquente, perché con questa
parola ci riferiamo a una realtà molto più ampia di un muscolo decisivo per la
nostra vita. Sì, il cuore è da noi sentito come l’organo centrale della vita
interiore, come la fonte delle espressioni multiformi della vita spirituale e
per questo è situato, per così dire, nell’io profondo. Quando nel nostro contesto socio-culturale si parla di cuore, si allude innanzitutto alla vita affettiva, alle emozioni, ai sentimenti che hanno nel cuore la loro sede: “Il nostro cuore ama o odia, il nostro cuore è tenero o è chiuso, il nostro cuore accoglie o respinge”, siamo soliti dire. Nel linguaggio biblico, invece, il cuore ha un significato molto più esteso perché designa tutta la persona nell’unità della sua coscienza, della sua intelligenza, della sua libertà: il cuore è la sede e il principio della vita psichica profonda, indica l’interiorità dell’uomo, la sua intimità ma anche la sua capacità di pensiero; il cuore è la sede della memoria, è il centro delle operazioni, delle scelte e dei progetti dell’uomo. In una parola, il cuore è l’organo che meglio rappresenta la vita umana nella sua totalità. Il cuore è il “sito” spirituale della presenza di Dio (e per questo è detto tópos toû theoû nella tradizione bizantina, domus interior in quella latina), è il luogo dove Dio parla, educa, giudica, si fa presente e abita in colui che, appunto, gli “apre il cuore”: espressione, quest’ultima, significativa per dire come e dove accogliamo la presenza di Dio, come ci disponiamo alla comunicazione e all’amore. Sull'argomento sono state scritte
intere biblioteche. Vediamone in sintesi alcuni aspetti. Ma cos’è il cuore e cosa rappresenta? Sacro, unità, amore,
sensualità, unione, passione, legame, compassione, carità, verità.
A livello fisico, il
cuore è, com’è noto, l’organo essenziale per la vita grazie alla sua funzione
di pompa incessante. Il nostro corpo pulsa in base al suo ritmo e quante
informazioni potremmo ricavare dall’analisi del suo battito, che parla di noi.
Si dice che un battito cardiaco rapido e intenso corrisponda a una personalità
energica, forte, determinata. Al contrario, un battito lento corrisponderebbe a
una personalità altrettanto tranquilla e posata.
E non possiamo
dimenticare il ruolo di primo piano che il cuore ha in ambito spirituale,
quale organo sacro. Se in India in esso
risiede Brahma, i musulmani lo considerano trono di Dio, mentre le frange
esoteriche dell’Islam, come i sufi, paragonano la visione spirituale all’occhio del
cuore. Ed è sempre il cuore che nell’antico Egitto
veniva pesato per capire se il defunto fosse degno di un aldilà appagante. In antico Egitto i
saggi erano soliti parlare di intelligenza
del cuore, facendo riferimento all’intuito, quale tramite
fra conscio ed inconscio, psiche e corpo.
Analizzandolo nel
dettaglio, soffermandoci sul colore, la forma, la consistenza, si può notare
che il cuore è rosso, caldo ma al tempo stesso oscuro e cavo. Queste caratteristiche
apparentemente in contrasto tra loro lo
rendono sintesi del maschile e femminile, luogo di conciliazione dei principi
complementari. Ma il cuore è spesso associato anche al Sole e questo è dovuto
alla funzione che svolge: come il Sole è il centro del sistema solare, il suo
cuore pulsante, così il cuore nel corpo umano assolve a una funzione simile, ci
riscalda e ci tiene in vita. Ecco perché capita talvolta di vederlo raffigurato
con raggi luminosi o fiamme. Il chakra del cuore, o Anahata, si trova al centro del petto e fa da collegamento fra i 3 Chakra inferiori e i 3 superiori. Esso è la sede dello spirito, del Sé superiore, della scintilla divina che appartiene a tutti noi. L’amore ha origine in questo chakra, ovviamente non solo l’amore di tipo romantico che talvolta assume caratteristiche di possessività tutt’altro che amorevoli. No, l’amore dell’Anahata è puro, autentico, compassionevole. Il colore dell’energia del chakra del cuore è verde, in quanto simbolo di equilibrio, di armonia e di unione. Quando questo chakra è chiuso, si dice provochi indifferenza, diffidenza, insofferenza nei confronti dell’amore, cosa che comporta poca empatia nei confronti altrui ma anche verso se stessi. Sul piano sottile, esiste un piccolo spazio
misterioso accanto ad Anahata Chakra chiamato Cuore Spirituale. I grandi Maestri iniziati lo hanno collocato
nella parte destra del petto a circa un centimetro
dal cuore fisico: è una zona di proiezione dello spirito e allo
stesso tempo la sede della coscienza del Sé Divino, Atman. Il nostro cervello non abituato alle luci
e alle ombre dei simboli, non può capire, e mai capirà, il loro significato
recondito, deve capire la base, quello sì, imparare a fidarsi e, al momento
opportuno, quando esso sarà pronto a “spegnere” la propria bramosia di
possedere, a lasciare il posto al cuore che è l’unica porta
ermetica che possiamo mai veramente attraversare. Il terribile e
temibile guardiano della soglia,
dunque, chi è se non il nostro cervello. Noi con tutto il nostro
essere cerchiamo di lasciarci andare ed attraversare la porta della
spiritualità, della luce ma lui è lì costantemente a tenderci tranelli, a darci
illusioni, a crearci confusione. Esso ha paura, ha paura di non sopravvivere in un mondo in cui il
calcolo e la misura sono inesistenti, in cui tutto è visto e non analizzato, in
cui il confine è solo una sensazione, non una quantità di qualcosa. Gli ermetisti
che hanno attraversato questa soglia, da quel giorno iniziano a capire i
simboli, senza per forza misurarli: la misura, ovvero la spiegazione razionale
dei simboli, non è contemplata nella loro ricerca, essi sono passati ad un
piano nuovo di visione, in cui percepiscono il colore, il profumo, il gusto ma
non hanno bisogno di analizzarli perché ormai hanno compreso che il segreto non
si cela nella sua conoscenza bensì nella sua capacità di utilizzarli. La natura non può essere conosciuta fino in fondo: per esempio, non è
necessario che conosca il fuoco a livello di reazione chimica, per poterlo
utilizzare, è sufficiente infatti che sappia come fare a crearlo.
Il lavoro del mago
è un lavoro simbolico su se stesso, il cervello è importante sì
per questo lavoro ma più ancora lo è il cuore. (Il Cervello e il
Cuore – I Fratelli di Hermes – S. Mergè). Il Cuore dal punto di vista scientifico L'apparato
circolatorio è l'apparato del corpo umano deputato al corretto
funzionamento della circolazione sanguigna ed è composto da una pompa, cioè
il cuore, che è l'organo
più importante di questo sistema, e da una serie di tubi che raggiungono ogni
area ed ogni organo del corpo, cioè i vasi
sanguigni, distinti in arterie, vene, capillari e linfatici. La circolazione del sangue è fondamentale per l'organismo poiché è tramite essa
che ad ogni singola cellula del corpo vengono forniti ossigeno e sostanze
nutritive, quindi aminoacidi, zuccheri e grassi.
Questa viene resa possibile dall'azione del cuore, che è un muscolo cavo che
attraverso le sue contrazioni, spontanee e ritmiche, fa circolare il sangue in
due differenti circuiti: quello polmonare, o piccola
circolazione, e quello sistemico, o grande circolazione. Attraverso la piccola
circolazione, il sangue venoso, quindi che trasporta anidride carbonica, viene
pompato dal cuore verso i polmoni
dove si scarica, si purifica, carica ossigeno e poi torna al cuore. Da qui
riparte per la grande circolazione, cioè viene immesso nelle arterie e
raggiunge ogni parte dell'organismo, dove cede l'ossigeno e prende l'anidride
carbonica. A questo punto, torna
verso il cuore attraverso le vene,
rientra nel circuito polmonare e ricomincia da capo il suo viaggio. Sangue venoso e sangue arterioso non entrano in contatto: il cuore, infatti,
sezionato in senso longitudinale appare nettamente distinto in due aree, divise
da un setto verticale. La parte destra viene
chiamata cuore venoso, perché
qui passa il sangue venoso, quella sinistra è il cuore arterioso, dove circola il sangue arterioso. Se invece lo si
considera rispetto alla parte superiore e inferiore, si vedrà che sopra ci sono
due cavità chiamate atri e
sotto altre due cavità chiamate ventricoli. Ora qualche novità scientifica. C'è sempre stato questo paradosso: quando viene concepito un bambino, il cuore umano inizia a battere prima che il cervello sia formato. Ciò ha portato i medici a chiedersi da dove provenga l'intelligenza necessaria ad avviare e regolare il battito cardiaco. Con sorpresa del mondo medico, gli scienziati dell'HeartMath hanno scoperto che il cuore ha il proprio cervello e sì, un autentico cervello con vere e proprie cellule cerebrali. È molto piccolo, ha
soltanto all'incirca quarantamila cellule, ma è un cervello e ovviamente ha
tutto ciò di cui il cuore ha bisogno. Questa è stata una scoperta di enorme
importanza e conferma la veridicità delle affermazioni di coloro che per secoli
hanno parlato o scritto sull'intelligenza del cuore. Gli scienziati dell'HeartMath hanno
fatto una scoperta forse ancora più grande riguardo al cuore. Hanno dimostrato
che il cuore umano genera il campo energetico più ampio e potente
di tutti quelli generati da qualsiasi altro organo del corpo, compreso il
cervello all'interno del cranio. Hanno scoperto che questo campo
elettromagnetico ha un diametro che si estende dai due metri e mezzo ai
tre metri, con l'asse centrato nel cuore. Riporto
qui di seguito alcuni stralci tratti da “L'Arte di divenire simile agli Dei”,
scritto dal Maestro Eliah Elis
(Salvatore Mergè): “Rendi
ricettivo l'orecchio del cuore affinché possa ascoltare le
emanazioni dell'organo misterioso riattivato; l'uomo possiede facoltà
straordinarie che lo rendono uguale agli Dei, se solo saprà togliere da se
stesso ogni imperfezione. Tu, figlio mio, possiedi una rete sottilissima che
collega tutti gli organi, e in tale rete passano le molteplici vibrazioni
vitali; non dimenticare che tu stesso sei il laboratorio alchemico nel quale
procede l'opera della tua trasmutazione”. “L'educazione
del cuore avviene durante l'attività del fuoco che rende il corpo
fluido e malleabile agli impulsi dello spirito”. “Avendo
raggiunto il cuore fluidico e il contatto con il Maestro
che esprime il potere centrato nel cuore, risveglierai la potenza
fluidica e irradiante in quanto il tuo io, trasferito nel mondo immateriale, si
staccherà e si isolerà dalla componente fisica”. “Molto
importante per te è lasciare aprire il tuo cuore, perché le sue
pulsazioni sono in armonia con quelle del cosmo, il quale è un'Entità che vive
in noi, e noi in esso”. Il Kremmerz, parlando della memoria, accenna alla grande differenza che vi è tra il “ri-membra-re” ed il “ri-cor-dare”, ovvero, tra la nostra memoria del corpo e della nostra vita attuale e quella del cuore e dell'uomo storico, o antico, delle nostre vite precedenti, che è in noi. Vorrei concludere con un modo di dire espresso dal Maestro Kremmerz in una sua lettera per significare la sincerità: “[...] parlare con il cuore in bocca [...]”. Dua-Kheti Bibliografia: - Egitto
magico-religioso – Boris de Rachewiltz - HerBak – Discepolo
– Isha Swaller de Lubicz - avvenire.it-cuore –
Enzo Bianchi - Il Cervello e il
Cuore – I Fratelli di Hermes – Salvatore Mergè - benessere.com - Cuore - scienzaeconoscenza.it
– Un cervello nel cuore |
IL TERZO OCCHIO LA GHIANDOLA PINEALE O EPIFISI
Ultimo aggiornamento Giovedì 29 Settembre 2022 16:39 | | Stampa | | E-mail
La conoscenza della
ghiandola pineale e l’associazione con il cosiddetto terzo occhio” (l’occhio interiore che
tutto vede) risale a tempi molto antichi e possiamo trovarne rappresentazione
in varie culture nel corso della storia umana. Ci è possibile
riscontrarla in alcune immagini, come l’occhio di Ra degli antichi egizi (che
rappresenta proprio l’epifisi nella sezione del cervello), oppure rappresentata
in opere architettoniche spirituali (come la “pigna” del Vaticano), negli
antichi reperti come quelli degli Anunnaki o nelle
rappresentazioni del Buddha. Il terzo occhio viene anche chiamato Occhio centrale di Shiva o Occhio di Horus. Una domanda nasce spontanea: perché la ghiandola pineale viene rappresentata in modo così evidente in tantissime culture nella storia dei tempi? Forse è un’informazione importante da tramandare? Forse rappresenta veramente la connessione tra il mondo visibile e quello invisibile? Gli studiosi di religioni orientali riconoscono
al Terzo Occhio una lunga tradizione in India, Cina e Asia, dove
l’induismo, il buddismo e il taoismo dominano. Stranamente, il Terzo Occhio
viene ignorato dagli archeologi delle culture del Nuovo Mondo, nonostante ampie
prove del suo simbolismo siano presenti nell’arte delle antiche culture
americane. Troviamo questo simbolismo del terzo occhio tra
le culture che si sono evolute negli attuali Messico, Perù, Colombia, Panama e
persino Stati Uniti (vale a dire i popoli Olmechi, Toltechi, Maya, Zapotec, Aztechi, Inca e pre-Inca, tra
gli altri). La ghiandola
pineale fu scoperta più di 2300 anni fa dallo scienziato alessandrino Erofilo. La prima descrizione e le prime speculazioni
su di essa si trovano nei voluminosi scritti di Galeno che trattò
la ghiandola pineale nel suo De usu partium. In esso Galeno spiega che la ghiandola deve il suo nome alla sua
somiglianza, per forma e dimensioni, a un pinolo. Nel 1600 Cartesio la definì sede dell’anima. Biologia e funzione della ghiandola pinealeLa ghiandola
pineale o epifisi (dal
greco epi-fysin, che significa al
di sopra della natura) ha una forma simile ad una piccola pigna, da cui deriva il nome “pineale”; (pinea è
il termine latino corrispondente a pigna). Ogni essere vivente,
mammiferi inclusi, mantiene l’equilibrio biologico–metabolico a
partire dai ritmi e dalla periodicità circadiana
giorno–notte e tali ritmi planetari determinano la sintesi e la
secrezione circadiana degli ormoni ipotalamici e ipofisari secondo una ritmicità
legata alla rotazione terrestre e lunare. La sincronicità della
secrezione ormonale è fondamentale per la salute; la sua risincronizzazione è
la base di ogni intervento di prevenzione e la cura di praticamente tutte le
patologie. La ghiandola pineale svolge un ruolo primario in questa sincronicità. La pineale è il principale
organo del corpo umano responsabile del controllo del ritmo biologico circadiano,
sulla base del principale ritmo cosmologico, quello dell’alternanza luce-buio.
L’attività endocrina della pineale inibisce l’ipotalamo e, indirettamente,
l’ipofisi ed altre ghiandole.
L'attività secretoria
della ghiandola pineale presenta delle alterazioni ritmiche
legate alla luminosità dell'ambiente, raggiungendo i valori massimi al
buio e i valori minimi con la luce diurna. La ghiandola
pineale è una ghiandola endocrina di circa 150 grammi, grande circa
quanto un pisello o una nocciola, incastonata in profondità dentro il cervello
dei vertebrati. Si trova, in effetti, proprio vicino al centro del
cervello, tra i due emisferi, all'estremità posteriore del terzo
ventricolo; è collegata mediante alcuni fasci nervosi pari e simmetrici
(peduncoli epifisari) alle circostanti parti nervose. È nascosta in una
scanalatura a cui aderiscono i due corpi arrotondati dell’ipotalamo, a cui la
pineale afferisce e che la rendono, così, una delle parti più protette
del corpo. Proprio perché così
protetta, l’epifisi è una struttura che, fino a poco tempo fa, era
stata poco studiata, benché tenuta in grande considerazione: essa era infatti
conosciuta fin dall'era antica anche per la sua frequentissima calcificazione
in età matura, tanto da essere considerata la chiave per comprendere il
processo d’invecchiamento. La pineale controlla infatti l'orologio biologico del corpo,
“l’organizzazione circadiana” che determina il ciclo giornaliero del sonno e
della veglia. Ma essa non regola solo i ritmi del sonno, bensì il ritmo della
vita stessa, come appare più chiaramente nel regno animale: qui, in
primavera, la pineale riaccende le pulsioni sessuali; in autunno
segnala agli uccelli che è tempo di migrare, funzionando anche come una bussola
fisiologica che li mantiene sulla giusta rotta di volo; in inverno
avverte gli animali che è tempo di cercare un riparo e di entrare in letargo. Negli esseri umani,
il ruolo della pineale è più sottile ma ugualmente importante. Essa è
definibile come il “regolatore dei regolatori” che sovraintende
alle operazioni di tutte le altre ghiandole,
aiuta a mantenere nella norma i livelli giornalieri e stagionali degli
ormoni e presiede alla crescita e allo sviluppo, dall'infanzia fino all'età
adulta. L’epifisi
esercita il suo controllo attraverso una molecola chiamata melatonina (Melas = Nero; Tonos = Tensione):
si tratta di un ormone che regola il ritmo circadiano di sonno e veglia,
reagendo al buio o alla poca luce. La ghiandola pineale secerne difatti
melatonina solo di notte: poco dopo la comparsa dell'oscurità, le
sue concentrazioni nel sangue aumentano rapidamente e raggiungono il massimo tra
le 2 e le 4 di notte, per poi ridursi gradualmente all’approssimarsi del
mattino. L’epifisi produce la melatonina tramite alcune cellule pigmentate, i "pinealociti",
che sono simili alle cellule pigmentate della retina; esse
rendono la ghiandola sensibile alla luce e pronta a reagire all'alternanza
periodica di luce e di buio, recepita e trasmessa dall’occhio. La melatonina è, in definitiva, lo strumento che l’epifisi
utilizza per definire tutti i ritmi umani, giornalieri e a lungo termine,
dall'infanzia in poi. Tale ormone è peraltro già presente nella vita
intrauterina: attraverso la placenta, la melatonina passa infatti dalla
madre al feto. I bambini, pur non producendo la loro riserva di melatonina
prima del terzo o quarto giorno di vita, la assorbono tramite il latte
materno.
La melatonina
viene sintetizzata da due sostanze: il triptofano e la serotonina.
Quest’ultima è un neurotrasmettitore impiegato nella regolazione della
temperatura del corpo, del senso di fame/sazietà e dell’umore è infatti soprannominata
anche “l’ormone della felicità”. L’aspetto più
interessante della ghiandola pineale, tuttavia, è la produzione
di un’altra molecola: la DMT (Dimetiltriptamina), un neurotrasmettitore chiamato anche “la molecola dello Spirito”
che ha particolari funzioni legate principalmente al “collegamento” tra
il corpo e lo Spirito. Studi scientifici
hanno dimostrato come l’epifisi secerne spontaneamente grandi
quantità di DMT in due
particolari momenti della vita: la nascita e la morte (o anche
durante le esperienze di premorte). Questo a dimostrazione del fatto che la DMT fa da “ponte” tra il corpo fisico e il mondo spirituale. In alcune persone,
anche durante il sonno, la ghiandola pineale secerne una
sufficiente quantità di DMT, tale da rendere possibili
esperienze particolari come i sogni lucidi o i viaggi astrali. In poche
parole, la ghiandola
pineale è il collegamento con il mondo invisibile o il mondo dello Spirito, argomento che gli sciamani, ad
esempio, conoscono molto bene. Forse avrete sentito
parlare dell’Ayahuasca.
Nella lingua quecha, che si parla in Ecuador, Perù, Bolivia e Colombia, aya significa spirito e huasca significa vite. La parola Ayahuasca viene quindi tradotta col termine vite ( vino ) degli spiriti. L’Ayahuasca è un decotto ottenuto attraverso una lenta ebollizione di due piante: una liana, detta Banisteriopsis caapi, ed un arbusto noto come Psychotria viridis, utilizzato come allucinogeno nelle cerimonie sciamaniche per indurre stati di coscienza alterati a scopi terapeutici, il cui principio è proprio la DMT. Il “terzo occhio”
(o sesto chakra) E’ interessante notare che in India la parola “chakra”
deriva dalla parola sanscrita per “ruota” o “curva”
ed è legata alle parole “vortice” o “mulinello”. Queste parole implicano fondamentalmente, un
cerchio con un punto al centro. Questo è degno di nota perché molte rappresentazioni
del Terzo Occhio, nell’antica arte americana, utilizzano un “cerchio
puntato”. Dal punto di vista
esoterico/spirituale, la
ghiandola pineale rappresenta il famoso “terzo occhio”,
ovvero l’occhio dell’Anima che è in grado di vedere la realtà,
che non è quella che appare ai nostri occhi fisici ma quella più “sottile”,
celata dal “velo di maya”. Il terzo occhio è
in grado di “vedere” l’invisibile, di vedere al-di-là
della vista ordinaria, di percepire quella realtà che gli occhi umani non colgono
(sembra infatti che la percezione dei sensi ordinari sia limitata ad una minima
percentuale di ciò che esiste).
Esso, nelle antiche tradizioni induista e buddista,
corrisponde al sesto chakra (Ajna) situato al
centro della fronte tra le sopracciglia. Questo centro rappresenta l’occhio
interiore in grado di percepire la realtà oltre la visione ordinaria, è
la porta della chiaroveggenza e della visione superiore. Il terzo occhio è la
connessione con la propria mente intuitiva, con il Sé
Superiore, diciamo pure con la propria Anima.
Addirittura Cartesio sosteneva che la ghiandola pineale fosse proprio la sede della coscienza: nel suo libro “Le passioni dell’anima” descrive il ruolo della ghiandola pineale, appunto, come la sede principale dell’anima, nella quale la "res extensa" si unisce alla "res cogitans". Comunque,
in tutte le tradizioni spirituali, la “visione” del terzo occhio ha un ruolo
fondamentale nella connessione
dello Spirito con l’uomo. Esso ci permette infatti di
entrare nel mondo del “non materiale”, dell’apparentemente invisibile
attraverso la percezione extra-sensoriale, per portarci conoscenza, profonda
consapevolezza e ci consente di “guidare” la nostra esistenza. Per questo è importante mantenerlo attivo e in uno stato funzionale. Rick Strassman, psichiatra
dell’Università del New Mexico, iniziò a fare esperimenti sulla “dimetiltriptamina”,
altrimenti detta DMT, che, come abbiamo già visto, è una sostanza
particolare presente sia in natura (in piante come l’Ayahuasca) sia
nel cervello umano, prodotta dalla Ghiandola Pineale. Strassman
aveva come finalità della sua ricerca l’utilizzo della sostanza psicotropa a
fini terapeutici. I pazienti a cui veniva somministrata la molecola sotto
stretto controllo riferivano di viaggi astrali e contatti sconvolgenti con
“altre realtà” non meno reali della nostra, abitate da esseri sovrannaturali. La DMT rilasciata naturalmente
dalla Ghiandola Pineale si pensa faciliti il movimento dell’Anima
all’interno e fuori dal corpo e sia parte integrante dei più alti stati di
meditazione e di esperienze mistiche. Con il termine “Terzo Occhio”,
riferito alla suddetta Ghiandola Pineale, si vuole rappresentare
il nostro “Sesto Senso”. Quante volte abbiamo sentito nominare il “Sesto
Senso”? Se avete una buona conoscenza riguardo i Chakra,
noterete che proprio il sesto denominato Ajna in
Sanscrito è la sede del Chakra del Terzo Occhio ove giacciono
tutti i sensi interiori. Esso permette la comunicazione con lo Spirito.
Negli individui in cui questa è molto sviluppata, permettendo, quindi,
di percepire energie sottili, sia riguardo il campo visivo che uditivo, si manifesta
la Chiaroveggenza. La Ghiandola Pineale produce da
sé questa molecola particolare dal nome DMT senza il bisogno di
utilizzare altri tipi di sostanze. Per far sì che essa si decalcifichi,
necessita effettuare un profondo lavoro su se stessi. Secondo Strassman, la DMT sarebbe la sostanza per
eccellenza in grado di aprire un “portale” verso universi e dimensioni
parallele che coesistono con la nostra realtà ma che non siamo in grado
di captare o decodificare, appunto, perché filtrati dalla valvola rappresentata
in primis dal nostro cervello, costretto a trasmettere soltanto
il “canale normale”, quello del mondo di tutti i giorni. Secondo la fisica moderna infatti
esisterebbero un numero incredibilmente elevato di universi paralleli, o
multiversi, ciascuno dei quali simile al nostro e soggetto alle stesse
leggi fisiche ma, al contempo, “alternativo” a causa della diversa composizione
delle particelle che lo costituiscono. A proposito del “sesto
senso”, il Kremmerz così scriveva: “La libertà del
potere centrale intellettivo si guadagna attutendo la sensibilità fisica
dell'uomo. I mezzi di pratica
per la intuizione della verità ultra umana si riducono a uno: Ridurre inerti i
sensi animali per dare completa libertà all'altro, al senso che è
il medio conduttore tra l'ultra umano e l'umano. Questo mondo di là,
questo mondo di esseri già vissuti o non mai vissuti nella vita terrena non si
può né apprezzare né giudicare coi mezzi ordinari del controllo dei sensi
animali; ed è inutile volerlo far credere esistente a chi non ha sviluppata
quella proprietà speciale che è l'occhio dell'anima e che abbiamo
chiamato sesto senso o percezione sottile o telema
o mercurio intellettuale. Come nel mondo delle
forze meccaniche così nell'iperfisico, ogni azione genera una reazione.
Ora nelle forze, nelle creature e nelle intelligenze che popolano il mondo
invisibile, l'azione è opera dell'intuente, o meglio di chi ha sviluppato il sesto
senso, percependo presente l'azione delle forze e delle intelligenze iperfisiche,
la reazione delle quali colpisce il mondo fisico. La Ghiandola Pineale influisce sui nostri sogni Abbiamo visto che dal punto di vista biologico, la ghiandola
pineale produce la melatonina che ha lo scopo principale di regolare il
ritmo circadiano, ovvero le fasi del sonno e della veglia. Abbiamo visto che la sua attività secretoria
raggiunge valori massimi al buio e minimi con
la luce. Abbiamo anche visto che essa produce un'altra
importante molecola, la DMT, che per la sua particolare virtù di “ponte” tra il corpo fisico e il mondo spirituale è
chiamata “la molecola dello Spirito”. Seguendo il sentiero che ci conduce al sonno, al buio e superato il
“ponte”, sotto il
quale scorre il fiume edenico con la ”molecola dello Spirito”, giungiamo
nel fantastico mondo dei sogni.
Secondo alcune ricerche, è stato confermato che ci sono alcuni periodi della notte, tra le ore una e le ore quattro del mattino, durante la fase REM dei sogni, in cui alcune sostanze chimiche vengono rilasciate nel cervello e agiscono sui nostri sentimenti, facendoci connettere con la nostra fonte superiore. Alcuni la chiamano coscienza, altri spirito, altri ancora anima, corpi sottili o altri semplicemente la chiamano ego. E’ un argomento
complicato per certi versi, sta di fatto che quando una persona dorme e quindi “sogna”
non utilizza la mente razionale, ma semplicemente lascia scorrere per qualche
ragione le immagini. Ad esempio, se sognate un leone o una tigre, anche se
potete reagire in vari modi, tipo scappare o accarezzare l’animale, osservarlo,
urlagli contro, etc,… il vostro corpo non reagirà mai come se foste realmente
davanti ad un’animale pericoloso, e questo accade perché (quasi per tutti, a
parte per le menti allenate) nei nostri sogni facciamo da spettatori.
Se ci fate caso non possiamo far nulla, non possiamo decidere cosa fare in un
sogno, accade quello che deve accadere. Una delle tante potenzialità che ha la nostra ghiandola pineale, una volta “risvegliata”, è riuscire a controllare i propri sogni.
Cosa vuol dire? In pratica non facciamo più da spettatori nei nostri sogni, ma
da “attori protagonisti”: in altre
parole, non faremo altro che “prendere coscienza” delle nostre
azioni. Terminiamo questo nostro percorso con qualcosa
che risvegli in noi il nostro spirito di fanciullo e cioè una “favola”.
Forse non tutti sanno che il “Pinocchio” di Collodi è un racconto iniziatico velato sotto forma di favola
per bambini. Già il nome Pinocchio deriva dalla
composizione delle parole “pino” e “occhio”. Il pino è
l’albero i cui frutti, i pinoli, hanno la stessa forma della ghiandola pineale, che nella
tradizione esoterica rappresenta appunto il “terzo occhio”. Pin-occhio
(occhio-pineale) è pertanto una chiara allusione alla ghiandola pineale, cioè la manifestazione fisica del “terzo occhio”.
Pin-occhio
(l’occhio della pineale) è a tutti gli effetti la rappresentazione del percorso
di risveglio. Il Padre, Geppetto, ne è il Creatore,
infatti non è un vero padre nel senso comune del termine ma Colui che lo
trae dalla materia e gli dà forma. Pinocchio non nasce da una donna e questo è il primo fatto
extra-ordinario. Geppetto lo scolpisce nel legno, lo crea burattino, cioè un essere
“meccanico”, “addormentato”, in grado di parlare e camminare ma non
dotato di coscienza, quindi non ancora umano. Appena creato, Pinocchio
diviene subito ingestibile, in quanto non ha ancora ritrovato
né la sua anima (la
Fata Turchina) né tanto meno il Padre, dal quale dovrà prima separarsi per conoscere le insidie del mondo,
proprio come accade al figliol prodigo nell’omonima parabola evangelica. Lungo
il suo cammino iniziatico impara a conoscersi, a gestire il corpo, le
emozioni e la mente, sorvegliato a distanza dalla sua anima, la quale –
nonostante le menzogne del burattino – lo aiuta nei momenti più bui e lo
rimette sempre sulla “retta via”.
Un pezzo
di legno, un burattino per l’appunto, a cui viene insufflata
un’anima e prende vita, ma che con varie prove (iniziatiche) riuscirà
alla fine a diventare un “Bambino Vero”. Facile comprendere che il pezzo di legno animato, dotato di vita quindi, ma senza Volontà in quanto burattino è un’allegoria del sé inferiore, mentre il Bambino Vero (Bambin Gesù) rappresenta la nascita del Cristo nell’uomo o Sé Superiore. Dua-Kheti Bibliografia: Visione olistica – La Ghiandola Pineale – Terzo
occhio Neovitruvian – Il terzo occhio nelle antiche
culture occidentali Neuroscienza – La ghiandola pineale KarmaNews – La pineale e gli ormoni della
sensitività Psicologi Italia – Dr. Andrea Napolitano – La
ghiandola dell'anima Hackthematrix - DMT e Ghiandola Pineale – Maya Hikari
Coscienza Universale – Ghiandola pineale
influisce sui nostri sogni SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
Ultimo aggiornamento Martedì 30 Novembre 1999 01:00 | | Stampa | | E-mail
PRESENTAZIONE Ho
trovato davvero straordinario questo articolo sulla
concezione che avevano i primi egiziani del cuore umano e del Cuore di Dio e
desidero condividerlo con tutti i fratelli ed i lettori del sito della Scuola
Ermetica “Salvatore Mergé”. L’autore,
francese di nascita, Louis Charbonneau-Lassay, è stato, per quello che a noi
qui più interessa, un esperto incisore ed un attento “filologo dei simboli”; la
sua opera costituisce per noi una rarissima testimonianza della concordanza,
caduta poi in seguito nel dimenticatoio, per la mancanza di una continuità di
rappresentanza reale e non solo apparente dei vertici in verità di entrambe le
parti in causa, tra ermetismo e dottrina cattolica romana. René
era il nome che l’autore prese entrando come novizio nella congregazione dei
Fratelli di San Gabriele e di cui fece parte fino al suo scioglimento nel 1903. L’autore
ci conduce per mano nella rappresentazione che gli antichi egizi si
tramandavano del cuore umano inteso come una realtà a se stante, diremmo
volentieri come Uomo interiore, sede privilegiata delle facoltà intellettuali e
non solo delle passioni. Il
sacerdote egizio contemplava nel suo cuore la Legge della Unità della
Creazione, il Cuore eterno palpitante dell’unico Dio. Questo
ci fa riflettere, non poco, sul valore non solo sentimentale o devozionale che
in principio doveva avere il culto cattolico del Sacro Cuore del Cristo. Per
gli egizi, popolo di religiosi e non di creduloni come qualcuno oggi ci
vorrebbe far credere, il cuore umano, aveva come simbolo geroglifico il Vaso ed
era ritenuto il crogiuolo nel quale la volontà umana individuata assisteva al
nascere delle passioni terrene, governandole per il proprio bene; ed è per
questo che essi credevano che dipendesse dalla sua testimonianza, del cuore
appunto, resa dopo la morte fisica dal suo peso, la conservazione o la
distruzione dell’anima individuale nel giudizio.“Tribuat tibi secundum cor
tuum”.
Antimonio Un
fratello di Hermes SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO di Rene’ Louis Charbonneau-Lassay Ed. Arkeios Roma 2003 pag..15-25 Il cuore umano e la nozione di Cuore di Dio nell’antico Egitto Per un numero ancora troppo elevato di
cattolici, la pietà verso il Cuore Divino è una concezione tarda, nata nel
secolo XVIII dalla spiritualità sentimentale diffusa dai gesuiti e da altri
predicatori. Per altri — fra quelli che si sentono obbligati a riconoscere che
la fede del Medio Evo, soprattutto, ha onorato e adorato come noi il Cuore
redentore — questa è una idea germogliata nello spirito così devoto di quella
società medievale tutta impregnata di tenera poesia, ma al tempo stesso di un
realismo sorprendente. Si potrebbe quasi arrivare a dire che il culto del
Cuore, centro di tutto l’amore salvifico, deriva dalle «Corti d'Amore» e dalle
meditazioni infiammate delle monache. In ogni caso, viene ammesso, quasi come
scienza certa, che l'animo cristiano del primo millennio non ha avuto né ha
potuto avere nemmeno l'ombra di un pensiero per il Cuore di carne di Gesù,
fulcro dei suoi sentimenti affettivi, e che questa concezione si colloca
totalmente al di fuori del suo ambito. A maggior ragione, sembrerà loro
assolutamente stupefacente che l'intera casta sacerdotale di un popolo pagano
tra le prime civiltà umane abbia avuto per il Cuore del Dio unico — superiore
ai suoi dei, per quanto potesse concepirlo — una idea, una attenzione così
particolari, da fare attribuire al Cuore tutto ciò che la Divinità stessa
possiede di perfezione: potenza creatrice, scienza, bellezza, bontà e giustizia
infinite, e che questa idea, questo Sacerdozio abbia coinvolto tutta la nazione
con i suoi superbi sovrani, i suoi artisti, i suoi studiosi ed i suoi
architetti incredibili. Tuttavia, le scoperte fatte soprattutto
negli ultimi vent’anni dall’egittologia, permettono di affermare, su una base
di documenti materiali positivi (scritti, iscrizioni lapidarie, sculture,
oggetti d’arte, ecc.), cose la cui mirabile testimonianza è indiscutibile. Sin dal tempo delle prime dinastie
storiche, dal 3300 al 2600 a.C., l’Egitto ci si mostra attraverso i monumenti
come una nazione estremamente civilizzata; le statue e le sculture che abbiamo
di quel tempo sono di un’arte la cui perfezione ci confonde, e quando i Faraoni
della quarta dinastia, Cheope, Chefren e Micerino, elevarono o permisero ai
Sacerdoti di elevare quei misteriosi santuari che sono le Grandi Piramidi di
Giza fra il 2840 e il 2680 prima della nostra era, la scienza degli egizi nei
campi dell'astronomia, cosmogonia, geometria e geodesia era tale che ci sono
voluti i nostri attuali strumenti di precisione per eguagliarla; e i loro
metodi matematici nel campo delle suddette scienze hanno permesso loro di
risolvere calcoli tali da lasciare stupefatti i nostri scienziati. Ora, prima ancora di quell’epoca, quando i
pontefici di Men? e di Tebe erano i custodi della scienza e della religione in
Egitto, vi si conservava anche il culto del vero Dio — a onor del vero
alterato, ma espressamente indicato per esempio dai geroglifici dei monumenti
della terza e quarta dinastia — il Dio Uno, Unico. Entità spirituale, appariva
come completamente diverso dagli dèi, che non furono altro che totem, o dagli
antenati divinizzati, a cominciare da Atum (l'Antenato); uno dei suoi ?gli,
Osiride, divenne uno dei ministri della Divinità unica incaricato specialmente
di presiedere alla pesa delle anime sulla soglia del «regno delle
trasformazioni». Quanto al Dio unico di cui parla il pagano
egizio che in quel tempo scrisse il papiro del British Museum, leggiamo la
seguente espressione: «Dio grande, Signore del cielo e della terra, che hai
fatto tutte le cose esistenti. O mio Dio, mio Maestro, che mi hai fatto e
formato, dammi un occhio per vedere, un orecchio per udire le tue glorie!»,
preghiera che ritroviamo simile nei Classici di Roma e dell’antica Grecia. Ciò che spicca fin dal primo contatto che
si ha con le opere specialistiche che trattano delle ultime scoperte religiose
dell’egittologia è che il popolo egizio custodì a lungo la nozione di verità
primarie e che, d'altra parte, sebbene non fosse «la nazione in cui tutte le
nazioni sono state benedette», in tale popolo, e soprattutto nella sua casta
sacerdotale e nella sua élite intellettuale, vi dovettero essere animi molto
nobili, spiritualmente molto puri, che Dio favorì di illuminazioni e intuizioni
meravigliose. Non dobbiamo stupirci: il Melchise- dech di cui parla il Genesi e
i tre Magi dei Vangeli non erano affatto ebrei, eppure il primo prefigurò
l'eucaristia e i secondi scoprirono Cristo appena nato: «Lo spirito di Dio
soffia dove vuole». E per questo che troviamo nei testi sacri
dell'Egitto dei brani davanti cui grandi studiosi di oggi come Alexandre Moret,
professore al Collegio di Francia e Direttore della Ecole Pratique des Hautes
Etudes, non esitano a vedere una sorta di «precristianesimo»; così Moret, nel
suo magnifico studio Mystères Egyptiens titola arditamente uno dei suoi più bei
capitoli « Le Mystère du Verbe Créateur». Sono i resti di queste antiche credenze
dei bei tempi dello splendore egizio che, raccolti nei Libri Ermetici,
stupivano a tale punto i nostri primi dottori cristiani che uno di loro,
Lattanzio (T 325), diceva: «Ermete ha scoperto, non so come, tutta la verità». Vediamo ora, stando ai documenti più
antichi, quale posto sorprendente viene dato al cuore umano nella concezione
della psicologia religiosa che non era ancora stata penetrata, se non di poco,
dal politeismo e dalla zoolatria degli ultimi secoli della decadenza egizia.Nei
gerogli?ci, scrittura sacra o spesso immagine della cosa che rappresenta la
parola stessa che indica, il cuore non fu tuttavia raffigurato che da un
emblema: il vaso. Il cuore dell’uomo non è in effetti il vaso in cui la vita
viene rigenerata continuamente dal suo sangue? Il vaso in cui nascono, si
sviluppano e muoiono le passioni buone o cattive che presiedono alla sua
volontà e che talvolta la dominano, al punto da tiranneggiarla a loro
piacimento.Alla nascita del genere umano, come racconta a suo modo la piramide
del Faraone Pepi II, Atum, il primo uomo genera i suoi figli suddividendo il
suo cuore in nove parti, e ciascuna di esse diviene un essere umano completo;
così nacquero gli antichi dei e dee Turn, Shu, Tefnut, Keb, Nut, Osiride,
Iside, Seth e Nefti. Questo per far comprendere che l'uomo trasmette la vita
per mezzo del suo cuore, come vedremo più avanti il Verbo di Dio creare la vita
con il suo Cuore. Fig. 1. Il vaso,
emblema geroglifico della parola «cuore». Dal cuore proviene tutto ciò che l’uomo sa
e può fare; è ad esso che l'attività umana chiede la sua ispirazione; è quello
che ci rivela quel Faraone prestigioso del secolo XV a.C., Tutankhamon, che ci
è stato restituito nello stupefacente splendore dei suoi tesori funerari. Il
testo che ci parla di lui, sulla stele, assicura testualmente che «meditava
profondamente sulla felicita‘ del popolo comunicando con il suo cuore». E quando Ramses II rimprovera ai suoi
ufficiali di essere stato male assistito nel corso di una battaglia, dice loro:
«Non vi porto più nel mio cuore»; poi, rivolgendosi verso suo padre che è in
cielo, il Dio Ammone, osa parlargli così: «Che fai tu dunque, padre Ammone? Non
è compito di un padre vegliare sul proprio figlio [...]. E cosa sono per il tuo
Cuore questi asiatici ?» °. E dunque proprio del Cuore di Dio, del Dio
Ammone (1), che si tratta, ma soltanto, e ciò è molto chiaro, del Cuore
metaforico di Dio in quanto centro degli affetti divini; forse che alcuni dei
nostri testi di liturgia cattolica non lo supplicano con accenti talvolta
simili? Oh! Il cuore umano, quanto lo ha amato
l’Egitto idealista! Si legga la favola poetica di Bitau, anch’esso
sacrificatosi, ma il cui cuore non vuole morire e si trasforma ogni volta che
un nuovo colpo, di per se stesso mortale, lo colpisce; fino a quando Anubi
rianima Bitau ritrovando il suo cuore errante e mettendolo nell'acqua. E Bitau
ritorna in vita con il suo cuore. Ma è soprattutto nel giudizio delle anime,
nella dipartita dalla vita terrena, che il cuore appare come il riassunto
completo dell'uomo. Questa pesatura degli atti delittuosi di ogni umana
esistenza è espressa dalle scene scolpite sui monumenti dell’antico Egitto,
tutto sommato abbastanza simili a quelle che ci mostrano sulle nostre chiese
romaniche e gotiche il giudizio particolare delle azioni della nostra vita, con
san Michele che pesa delle anime minuscole in presenza dell’angelo custode che
ci protegge e di Satana nostro accusatore. Fig. 2. Libro dei
morti. Papiro. Museo egizio di Torino. Cosa ci mostra la scultura egizia? Davanti
al trono di Osiride, incaricato del giudizio dei Morti e circondato dai suoi
consiglieri, si erge una bilancia vicino a Maat, personificazione divina della
Verità; a fianco o sopra di essa, un mostro ibrido, il Divoratore, giustiziere
della divinità, è pronto a impadronirsi dell'anima se la giusta pesatura
andasse a sfavore di questa. Su uno dei piatti sta solo il cuore del
defunto, con le sembianze del vaso gerogli?co in cui stanno le opere malvagie
della vita che sta per essere giudicata. Allora Maat—Verità avanza, stacca
dalla sua acconciatura la piuma bianca di struzzo che la caratterizza, talvolta
si siede lei stessa sul piatto, però, siccome è sostanza spirituale, l'unica
cosa che pesa e‘ la piuma bianca... E se l’equilibrio perfetto non viene a
crearsi subito fra il vaso-cuore e la piuma immacolata, è il mostro giustiziere
che trionfa, e l’anima non verra‘ ricevuta nel regno delle trasformazioni
felici. Vedete: sulla pietra della sua tomba c’e‘
Ramses VI che la bella dea-antenata Iside, figlia di Atum, conduce per mano
davanti al tribunale terribile di suo fratello Osiride con i suoi consiglieri,
davanti alla incorruttibile Maat-Verità; il Faraone recita il suo «mea non
culpa», poiché solo il male commesso entra in gioco. E Ramses comincia: Omaggio a Te, Dio grande che possiedi la
certezza! lo vengo a te, o mio Signore, mi presento al tuo cospetto per
contemplare la tua gloria. Io ti conosco, conosco il tuo Nome e conosco il nome
delle quarantadue divinità che sono con te nella sala della Verità. Non ho
messo l’iniquità al posto della dirittura. Non ho fatto quello che gli dei
detestano. Non ho ucciso ne' fatto uccidere perfidamente. Non ho tradito
nessuno. Non ho fatto versare le lacrime dei poveri, ecc. Quarantatré capi d’accusa sono così
rigettati dal Faraone che conclude gridando: Sono puro, sono puro, sono puro! E mentre la Verità lo guarda e si appresta
a lasciar cadere nel piatto della bilancia la sua piuma terribilmente leggera,
lo scarabeo di pietra preziosa, che occupa nella mummia regale il centro del
cuore, ripete per invocazione la frase magica che fu detta su di lui quando fu
consacrato dagli ieroduh': O cuore, che eri il mio cuore sulla terra,
tu che provieni da mia madre e mi sei necessario per le mie trasformazioni, non
testimoniare contro di me, non opprimere tuo padre, o mio cuore! Ma appena Maat—Verità ha lasciato cadere
la piuma del suo diadema, i due piatti della bilancia oscillano e si fermano al
punto preciso dell’equilibrio perfetto, Ramses è giustificato. Sulla sua stele funeraria conservata al
Museo di Torino e tradotta da Chabas, Beka, prima di recitare come Ramses il
suo «mea non culpa», lo riassume in anticipo, con queste parole vincitrici: «lo
fui un uomo giusto, sincero e buono, che ha messo Dio nel suo cuore» ".
Dio — Beka dice proprio Dio — in geroglifico Nuter", e non uno degli dèi.
Beka comprendeva al meglio che non poteva essere condannato un cuore in cui
risiedeva Dio e che viveva di Lui, poiché lo possedeva al centro stesso della
sua vita! Dopo di lui, e quasi nello stesso senso,
il Cantico dei Cantici farà dire all'anima: «Pone me ut signaculum super cor
tuum», «O Dio, mettimi come sigillo sul tuo cuore». Ben mille anni dopo
un’altra frase, ancora più espressiva, quella di san Paolo, le farà da eco:
«Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me». Dunque, per l’Egitto religioso il cuore
era tutto l'uomo: la sede delle sue facolta‘ intellettuali, come anche delle
passioni che con esse governano la sua volontà, il vaso di vita dove l'anima,
abbandonando il corpo, lasciava il deposito delle azioni compiute con esso, il
tabernacolo infine dove il giusto portava la Divinità quando per mezzo delle
virtù aveva serbato Dio in lui, come Beka che se ne gloriava. L'attenzione del pensiero egizio era
troppo rivolta al cuore umano e, oltre al suo ruolo fisico, gli attribuiva una
parte troppo importante perché essa non risalisse, forzatamente, verso il cuore
di quella Divinità unica che la casta sacerdotale di quel paese riconosceva
come posseditrice di onnipotenza e di ogni perfezione, fino al sommo grado della
totalità e dell'infinitezza. Sono il Faraone Amenofi IV, detto Ekhnaton
— il cui magnifico e elegante busto si trova al Louvre — e la regina
Nefer—Neferiu—Aton, sua sposa, che composero insieme gli splendidi cantici che
monumenti vari ancora intatti ci hanno conservato. In uno di questi inni,
rivolto a Dio, al Dio-Aton, vale a dire considerato sotto l'emblema radioso del
disco solare, leggiamo a caso da un lungo testo frasi come queste: Tu hai creato la Terra nel tuo Cuore,
quando eri tutto solo [...] hai fatto le stagioni dell'anno per far nascere e
crescere tutto ciò che hai creato […] hai fatto il Cielo lontano per levarti in
lui e vedi da lassù tutto ciò che hai creato, tu, tutto solo [...] Appari sotto
le sembianze di Aton vivente, ti levi radioso, ti allontani e ritorni; tu sei
nel mio cuore “°. Quindi, stando all’inno di
Amenofi-Ekhnaton, è dal Cuore stesso di Dio che è partito il gesto divino della
grande azione creatrice: «Tu hai creato la Terra nel tuo Cuore». La stessa assicurazione ci viene data
anche dall'iscrizione funebre di un sacerdote di Menfi il cui testo e senso
sono stati precisati da Breasted, Maspero ed Erman; ne deriva che i teologi
della Scuola di Men? distinguevano nell’opera del Dio Creatore il ruolo
dell’idea creatrice che essi chiamano la parte del Cuore, e quello dello
strumento della creazione, che essi chiamano la parte della Lingua. Dunque, in
Dio ogni Verbo è un concetto del Cuore, e per attuarsi ha bisogno della parola;
così si forma ogni atto divino nell'idea del Cuore, nell’emissione della
lingua. Quindi, il Cuore di Dio viene visto dai
saggi dell'Egitto non soltanto come fulcro iniziale della potenza creatrice ma
anche come la sede del pensiero divino, ed è per suo mezzo che Dio possiede la
scienza infinita di tutte le cose. Sul papiro di Leida, a proposito di Dio
indicato con il nome di Ammone, si legge: «Il suo Cuore conosceva tutto, le sue
labbra gustavano tutto». Un'altra Scuola teologica che ci fa
conoscere alcuni monumenti dell’epoca dei Ramessidi (XIX dinastia, circa 1250
a.C.) ci espone un’altra teoria teologica secondo la quale Dio — il Dio unico
(lett.: il Nome) la cui natura è tutta mistero — ci viene presentato composto
da tre entità divine che formano una autentica trinità—unita‘: Ptah, Horo e
Thot. Ptah è la persona suprema e rappresenta l’Intelligenza divina; Horo,
secondo una tradizione antica già all'epoca, ne è il Cuore; Thot è il Verbo,
strumento delle opere divine. E Ptah è quindi designato come l'Essere Supremo
perche' la triade intera procede in qualche modo da lui; questo seguendo lo
schema del precitato documento: «Colui che diventa Cuore, Colui che diventa
Lingua» ". La seconda persona di questa trinità,
Horo, il Cuore divino, nell'emblematica sacra fu rappresentata sotto le
sembianze dello sparviero, del falco. Sin dai tempi della IV dinastia, cioè
circa tremila anni prima della nostra era, si trovava sulla bandiera sovrana
del Faraone Chefren la doppia corona degli Egizi del Nord e del Sud, e nella
formula geroglifica del suo nome appariva il Vaso-Cuore. Il falco-re, il falco-dio fu il totem,
cioè il genio e il simbolo abituale dei Faraoni considerati sia come figli che
come emanazioni terrene della Divinità, come fu anche l'emblema di Horo, il
Cuore di Dio. Sulla bella statua dello stesso Chefren, lo sparviero sacro
poggia il suo cuore contro la nuca del Faraone che protegge, racchiudendo la
sua testa nelle ali spiegate. Mi domando se questa posa non indichi
molto più di una semplice protezione... Essa è certamente espressiva, dato che
l'uccello divino copre con il suo cuore il cervelletto del sovrano nel punto
più sensibile, a livello del «ponte di Varolio», e che il suo corpo protegge
fasci di nervi cervicali che alcuni anatomisti chiamano «albero della vita».“
ma non vi sarà dell'altro? Molte sono le sculture sacre d’Egitto che
ci mostrano dei sacerdoti, degli oranti o altri operatori che fanno imposizioni
magnetiche su un soggetto; a volte una intera assemblea le indirizza verso un
personaggio altolocato, per esempio un Faraone che nasce, e un testo uf?ciale
ci dice della Faraona regnante Hatshepsut che « gli dèi lanciano costantemente
i loro ?uidi di vita su di lei ogni giorno» “. Fig. 3. Statua di
Chefren, Museo del Cairo. Non potrebbe trattarsi, nel contatto così
suggestivo che li unisce, di una sorta di comunicazione, di trasmissione di
questa natura, di una maniera di comunicazione mediante emanazione e
assorbimento dei caldi fluidi divini fra il cuore dell'Uccello-dio e il
cervello del Faraone Chefren?… Circa mille anni dopo di lui, quando sul
suo trono, il più grande dei troni, lo sfarzoso Tutankhamon risiedeva in tutto
lo splendore della sua magnificenza, anche le sue braccia riposavano così,
nude, fra le ali spiegate del grande sparviero di lapislazzuli... E presso gli
Egizi come presso gli Ebrei, era alle braccia che si riferiva l'idea della
potenza, dell'autorità. Non voglio affatto esagerare, ne’ essere
così sistematico al punto di affermare che la teologia talvolta così strana
dell’antico Egitto abbia contenuto, se così si può dire, una preistoria del
nostro culto cattolico al Cuore divino: certo no; ma ho ritenuto che fosse cosa
buona per lo meno esporre in questa sede quale grande parte ha avuto nel suo
pensiero, e quale posto e quale ruolo ha saputo riconoscere al Cuore del Dio
onnipotente, onnisciente e buono, la religione di questo popolo pagano;
religione grossolana e materialista per certi versi, quasi spoglia di
ascetismo, ma così elevata per certi dogmi e così eloquentemente espressiva per
le sue formule di adorazione e di preghiera. Oso pensare che, se i nostri santi dottori
dei secoli medievali avessero conosciuto i dati che le scoperte di questi
ultimi tempi hanno rivelato sulle idee e le cose dell’antico Egitto, con tutta
probabilità oggi ne troveremmo delle tracce nella patristica del Sacro Cuore, e
forse addirittura nella liturgia: il rituale romano ammette proprio nell’ufficio
dei Morti la testimonianza degli oracoli sibillini in accordo con quelli del re
profeta: «Teste David cum Sibylla». Sicuramente non è da mettere in parallelo
il Cuore fisico di Gesù che fu adorato in primo luogo come la principale delle
ferite redentrici e come fonte corporea del Sangue salvifico, con il Cuore
puramente metaforico al quale gli egizi guardavano come fonte di bellezza?
delle perfezioni divine; ma resta il fatto che il cuore, fosse quello di Dio o
quello umano, metaforico o corporeo, essi lo rappresentavano separatamente dal
resto della forma umana, con un comune emblema consacrato, il vaso gerogli?co,
dal simbolismo assai parlante. Nessun altro popolo antico attraverso il Cuore
guardò la Divinità, nessuno mai le si rivolse scongiurandola di avere pietà di
lui, come scongiurava il proprio cuore di non testimoniargli contro nell’ora
suprema. Proprio i testi gerogli?ci ci lasciano
intendere che tale attenzione dell’anima egizia verso i Cuori di Dio e
dell’uomo non corrispondeva per nulla a uno stato spirituale particolarmente
sentimentale. Per quello che ci interessa, l'elite religiosa dell’Egitto, per
quanto deviata sia stata nella teologia generale, ci appare troppo scientifica,
troppo speculativa, per essersi lasciata tentare più dalla dolcezza del
sentimento che da ri?essioni serie e ragionate.
Note Signore di ciò che è, permanente in tutte
le cose, Unico in sua natura come il Seme degli dei
[…] capo di tutti gli dei.[…] La tua dolcezza è nel cielo
settentrionale, la tua bellezza rapisce i cuori, l'amore
di te fa languide le braccia, la tua forma bella rende deboli le mani, e
i cuori, alla tua vista, ogni cosa dimenticano. Tu sei l'unico che fece tutto ciò che è.»
(Inno ad Amon-Ra, Papiro Boulaq) LA BOCCA: LA PORTA DEL TEMPIO
Ultimo aggiornamento Giovedì 07 Febbraio 2019 09:54 | | Stampa | | E-mail
La teoria dei quattro elementi: fuoco, aria, acqua, terra Fuoco, aria, acqua, terra: elementi naturali da cui trae origine ogni
sostanza di cui è composta la materia. Su questa base è formulata la teoria dei quattro elementi naturali,
introdotta a partire dal VI secolo a.C dal filosofo greco Anassimene di Mileto,
perseguita, successivamente, dal filosofo siceliota Empedocle e assimilata
anche dai filosofi greci Socrate ed Aristotele. Secondo questa teoria, ogni sostanza esistente, nel microcosmo e nel
macrocosmo, è costituita da una composizione di quattro elementi naturali:
fuoco, aria, acqua, terra. Il fuoco, elemento purificatore e vivificatore, racchiude in sé il
principio della vita, che scaturisce dalla sua energia. L’aria, intangibile, è l’energia vitale che respiriamo, senza la quale
non sarebbe possibile vivere; non può essere afferrata e rappresenta il respiro
cosmico. L’acqua, fonte della vita, dalla sorgente diventa torrente, poi fiume
fino a giungere nel mare, oltrepassando gli ostacoli che incontra nel suo
cammino, arrivando fino ad addentrarsi nelle profondità della terra. La terra, solida e rigogliosa, simboleggia la materia primordiale,
accoglie la vita e la nutre. Il Maestro Kremmerz ci ha tramandato che in Magia “l'uomo deve essere
considerato come un Essere, che contiene in sé i quattro elementi che
costituiscono l'universo: Terra (Corpo Saturniano), Acqua (Corpo Lunare), Aria (Corpo Mercuriale) e Fuoco (Corpo
Solare)”. Un giorno, riflettendo su questi quattro elementi, mi è venuto spontaneo
pensare alla cosa più semplice e naturale vale a dire che, per vivere, io ho
bisogno di respirare, bere e mangiare. Automaticamente, ho pensato ai
corrispondenti elementi, Aria, Acqua e Terra. Queste tre necessità elementari e
vitali mi hanno indicato un'unica Porta: “la Bocca”. Mi mancava però ancora un
elemento, “il Fuoco”, ma subito il mio Pensiero abbinò la Bocca al “parlare”,
con il quale traduciamo in suoni e parole le immagini, i pensieri e le idee del
nostro Spirito, scintilla o fuoco divino che è in noi, o come lo definisce il
Kremmerz : “Anima – Intelligenza. E' il soffio – il fruscio della fiamma, del
fuoco vivo acceso”. Da sempre, per ermetisti, filosofi e religiosi, la voce (suono –
vibrazione) è stato lo strumento per eccellenza per contattare la divinità
(preghiere, canti, inni, scongiuri, riti ecc.). “La parola è la materializzazione dell'idea, è l'atto generato dal
pensiero, la proiezione fluidica che rende concrete su di un piano più prossimo
a quello della realtà le vibrazioni sottili del Corpo intelligente. In Magia la
parola è lo strumento di realizzazione per eccellenza, perché traduce sul piano
sensibile la volontà oggettivante dell'Intelligenza. Il verbum caro factum est non è che l'allusione al potere realizzativo
dell'articolazione fonica, quando diviene perfetta mediatrice fra l'idea
concepita e la volontà di manifestarla” (Mario Krejis). Il Kremmerz, in merito alla preghiera, scrive: “La preghiera, ermeticamente, è un atto di concreta fluidificazione
della volontà”. “Colui il quale prega, esprime, formula, modella la sua anima animale
in conformità dello stato a cui aspira, fino alla sua immedesimazione con lo
stato stesso, e cioè fino a far compiere, per mezzo della plasticità del suo
corpo lunare, il miracolo che appetisce”. Le varie tradizioni ci hanno tramandato che la stessa creazione del
Mondo è stata resa manifesta dalla Divinità tramite il “Verbo” o il “Suono” e
la vita ad Adamo trasmessa tramite il “Soffio”... Dio crea con un comando verbale ("Sia la...") e nomina gli
elementi del cosmo mentre li crea, secondo l'antico concetto comune per cui le
cose non esistono veramente finché non sono nominate. Nella Genesi 2:4-24,
Yahweh, il nome personale di Dio, forma il primo uomo dalla polvere, lo pone
nel Giardino dell'Eden e alita in lui il Suo soffio divino, facendolo diventare
in ebraico: nephesh, un essere vivente. Secondo i Veda, il suono (leggi anche vibrazione) è alla base di tutta
la creazione: ciò che è manifestato nel cosmo ha la natura di un suono ed è
quindi è dotato di una data intensità e frequenza (OM – AUM). Facciamo ora un salto con l'immaginazione nel tempo e nello spazio ed
introduciamoci in un tempio egizio, dove un Maestro sta istruendo i suoi
discepoli. Il Saggio egizio allora disse: “Qui noi penetriamo nel mondo interiore in cui s'avverano tutti i
misteri del Verbo e il cui volto, her, non è che uno specchio. Il tuo volto,
Her-Bak, è aperto sul mondo esterno attraverso sette porte: tre sono doppie,
con un'entrata orientale e una occidentale; la settima è centrale e unica, pur
avendo un doppio canale interno con una duplice funzione. L'atmosfera di Shu le avvolge tutte allo stesso modo, tuttavia ogni
apertura, per adattamento, capta in tale atmosfera una qualità diversa: - gli occhi ar-ti ricevono la luce di Shu; - le narici sher-ti respirano l'aria di Shu; - la porta centrale, la bocca, ra, ha una duplice funzione: lasciare
entrare le offerte di alimenti, e lasciare uscire (esteriorizzare) il
Padrone-di-Casa, il Verbo-parola. Ciascuna di queste aperture ha un nome e una funzione specifica ma la
porta centrale viene indicata col nome generico ra: apertura, entrata, porta. Nota bene che le parole occhio (ar-t), narice (sher-t) e orecchio
(mesdjer) contengono tutte la lettera r. Per questo devi imparare il
significato di ogni porta, se vuoi sapere dove ti conduce; osservane la forma,
il nome, la posizione e i simboli: questi elementi te ne riveleranno la
funzione. …..tu puoi dire: l'aria di Shu, la luce di Shu, l'ombra di Shu, la
secchezza di Shu, perché Shu è Neter primordiale elementare; egli infatti,
insieme alla gemella Tefnut, senza la quale non avrebbe potuto essere, contiene
le quattro Qualità costitutive del Mondo ma causa la manifestazione del verbo che diventa parola, cioè la voce – kheru
– e tutte le voci della Natura. Ecco perché le orecchie sono dette “le viventi”
(ankhui): perché sono le porte che ricevono il Verbo.” Indi il Saggio proseguì: “In primo luogo, la sua natura: la bocca – ra – è l'apertura superiore
del corpo, è 'l'entrata' che comunica tramite due canali coi polmoni e con lo
stomaco. Il suo geroglifico, perciò, esprime anche il nome generico di entrata:
ra. La bocca si apre e si chiude per mangiare, respirare e parlare, come
l'occhio – ar.t – si apre e si chiude per ricevere o escludere la luce. La funzione della bocca è duplice, passiva e attiva: essa riceve l'aria
e il cibo ed emette il respiro e la voce. Anche la funzione dell'occhio è duplice: esso riceve la luce ed esprime
delle reazioni organiche ed emotive. La forma della bocca si modifica col discostarsi delle labbra per
compiere le proprie funzioni”. Ren, è il Nome, l’Individualità, ed è magistralmente rappresentato dal seguente geroglifico formato da una bocca che parla, emettendo un suono, una vibrazione, indicato dalla superficie delle acque. Esso rappresenta, quindi, la vibrazione propria di ogni individuo. La cerimonia della “Apertura della Bocca” Non c’è probabilmente altro rituale della civiltà dell’Antico Egitto
maggiormente noto e diffuso di quello cosiddetto della “Apertura della Bocca”
(upet-r). Tale rituale, dai significati molteplici e a volte apparentemente
contraddittori, è infatti attestato in tutte le fasi della lunga storia egizia,
seppur sottostando, nel corso degli oltre tre millenni della cultura faraonica,
a svariati cambiamenti e modifiche, tanto nella documentazione epigrafica e
testuale quanto in quella archeologica. In Egitto, il rituale dell’apertura della bocca si praticava, fin dai
suoi esordi, non solo sulle statue divine e/o regali, ma anche su quelle dei
privati e, soprattutto, sulle mummie e sui sarcofagi antropoidi, nella loro
autentica natura di statue o meglio, per dirla con Assmann, di
“rappresentazioni” della persona vivente o defunta. La mummia, infatti, al pari della statua, serviva al defunto come
supporto della sua vita eterna, la quale era concepibile, secondo gli Egizi,
solo per il tramite del mezzo corporale. Allo stesso tempo, entrambe erano
finalizzate a mantenere la presenza dell’individuo nel mondo dei viventi pur
nella piena consapevolezza della sua assenza. Ciò che durante l’esistenza
corporale era svolto dal corpo in carne e ossa, dopo la morte era assolto, sul
piano tanto simbolico quanto concreto e sensibile, dalle statue e/o mummie del
defunto, che fungevano da moltiplicatori dell’io individuale sul piano spaziale
e temporale. Il rituale si presentava, quindi, come un complesso insieme di formule
magiche tramite le quali animare e far nascere (o meglio rinascere nel caso
delle mummie) le cose viventi, nel senso più ampio che al termine si può dare,
conferendo loro la vita o soffio vitale e permettendo il fondamentale
interscambio fra i differenti piani del cosmo. La cerimonia era diretta principalmente a rendere fattivo un passaggio
spirituale e, di conseguenza, anche concettuale, fra due delle principali forme
immateriali degli esseri viventi tutti, divinità e faraone compresi, ossia
quelle di ba e akh. Un passaggio, questo, che poteva avvenire solo se l’essere
animato, rinato (mummia) o creato ex-novo (statua), accoglieva in sé lo spirito
o scintilla vitale di derivazione divina e universale (il cosiddetto ka).
Questo, unendosi al ba, l’anima vera e propria dell’essere animato, consentiva
la rinascita nella vita ultraterrena e il raggiungimento dello stato di spirito
perfetto (akh). Socrate insegnava che il nome(corpo) può essere spiegato in molti
modi; se poi si trasforma un poco, in moltissimi. Alcuni denominano il corpo tomba) dell'anima, come se essa
si trovasse sepolta nella vita presente. Il Maestro Kremmerz, con il suo spirito partenopeo, insegnava: “Il corpo umano è l'athanor alchimico per chi s'inizia nelle occulte
verità del tempio, come è una semplice pentola dove si cuociono e sbollono
tutte le terrene tendenze per chi vive la vita comune”. Ora, curiosando come consigliava il Maestro, nell'etimologia delle
parole e nelle lingue morte, noto un collegamento tra corpo, soma, e
somaro o asino.... Le Metamorfosi o L'Asino d'Oro – Apuleio Lucio, un giovane greco, nel suo viaggio verso la Tessaglia, famosa
terra di maghi e streghe, si fa suggestionare dai racconti del compagno
Aristomene, che, attraverso la storia di Socrate e della maga Meroe, lo mette
in guardia sui rischi del viaggio (libro I). Una volta arrivato a Ipata, scopre
che Panfila, moglie dell’usuraio Milone che gli ha dato ospitalità, pratica la
magia (libro II). Lucio, spinto dalla sua curiositas, convince la serva Fotide
a farlo assistere di nascosto alla cerimonia di metamorfosi: dopo aver visto
Panfila tramutarsi in gufo, Lucio si spalma il corpo con il medesimo unguento
magico ma, per un tragico errore di Fotide, diventa un asino. Lucio, che ha
conservato intatte le proprie facoltà umane, per tornare uomo dovrà mangiare
delle rose (simbolo dell'Iniziazione). “[...] Eccomi a te, o Lucio, poiché le tue preghiere mi hanno commossa.
Io sono la genitrice dell'universo […] nel mondo io son venerata ovunque sotto
differenti nomi […] madre degli dèi, Minerva, Venere, Diana, Proserpina,
Cerere, Giunone, Bellona, Ecate, Rammusia, ma gli Etiopi e gli Egiziani, mi
chiamano, col mio vero nome, Iside Regina [...]. […] accompagna la processione; poi, una volta vicino al sacerdote,
dolcemente, come se volessi baciargli la mano, cogli le rose e sarai
immediatamente libero da questa pelle […]. […] bramoso di veder attuata la promessa, colsi avidamente con la bocca
e divorai quella bella corona, ch'era tutta trapunta di rose leggiadre e
smaglianti (L'Asino - Apuleio riceve l'Iniziazione). Né mi aveva ingannato la
celeste promessa: in un lampo la mia figura deforme e animalesca scivolò via”. La bocca, come apertura dell'athanor-corpo, mi richiama alla mente
anche l'immagine del sacramento della “Eucaristia” cristiana. Secondo la dottrina cattolica, l'eucaristia è l'azione sacrificale
durante la quale il sacerdote offre il pane e il vino a Dio che, per opera
dello Spirito Santo, diventano realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, lo stesso
Corpo e lo stesso Sangue offerti da Gesù stesso sulla croce. Nella Messa, un calice raccoglie acqua e vino, corrente bianca e rossa della natura, simboli mercuriali dell'Universo che si riproducono in ogni sua minima parte. Il fedele, dopo aver rispettato tutte le regole previste dalla Chiesa, si avvicina al sacerdote ed apre la bocca in attesa di ricevere sulla lingua l'Ostia consacrata (pane azimo, privo di lievito o fermento); consumandola, integra in sé il dogma della Transustanziazione. La Bocca della Verità La Bocca della Verità è un antico mascherone in marmo pavonazzetto,
murato nella parete del pronao della chiesa di Santa Maria in Cosmedin di Roma
dal 1632. Il mascherone rappresenta un volto maschile barbuto; occhi, naso e
bocca sono forati e cavi. Il volto è stato interpretato nel tempo come
raffigurazione di vari soggetti: Giove Ammone, il dio Oceano, un oracolo o un
fauno. Nel periodo della Roma Antica, la Bocca della Verità era un tombino. I
tombini, nella Roma Antica, riportavano spesso l'effigie di una divinità
fluviale che "inghiotte" l'acqua piovana. Quel che è certo è che il mascherone gode di fama antica e leggendaria:
si presume sia questo l'oggetto menzionato nell'XI secolo nei primi Mirabilia
Urbis Romae (una guida medievale per pellegrini), dove alla Bocca viene
attribuito il potere di pronunciare oracoli. C'è chi dice che fosse la copertura del pozzo sacro del tempio di
Mercurio, dove gli antichi commercianti romani giuravano la loro onestà durante
una compravendita e presso il quale si purificavano per i loro spergiuri. A
conferma di questa ipotesi, c'è la famosa leggenda medioevale che afferma che
se si dice una bugia tenendo la mano nella bocca del mascherone, il mascherone
per magia "morde", mozzando così la mano al bugiardo. Bocca, un organo per nutrirsi, respirare ed emettere suoni. La bocca è la prima parte dell'apparato digerente, il sistema del
nostro corpo incaricato della nutrizione. Insieme ad altri organi, la bocca
partecipa alla fonazione, cioè alla produzione di suoni. Essa interviene nella
respirazione. Dalla nascita fino al primo anno di età, la bocca è la sede di
esperienze sensoriali importanti per la nostra psiche: il neonato utilizza la
bocca per esplorare il mondo che lo circonda. Come è fatta e come funziona la bocca La bocca è una cavità di forma ovale, situata nella parte inferiore e
mediana della faccia, che viene chiusa o aperta dalle labbra, dai denti e dalle
mascelle. Le sue pareti laterali sono le guance. La parte posteriore comunica
con il faringe e con la trachea. Nella bocca, i denti tritano il cibo e la lingua lo mescola alla
saliva; il cibo trasformato in bolo può essere inghiottito e attraverso il
faringe prosegue il viaggio nell'apparato digerente. Sulla superficie superiore della lingua si trovano sporgenze dette
papille gustative, collegate per mezzo di fibre nervose alle aree della
corteccia cerebrale nelle quali vengono riconosciute le esperienze dei sensi.
Le papille gustative permettono di percepire e distinguere i sapori (gusto)
degli alimenti. Attraverso la trachea la bocca comunica con i polmoni e, con il
naso, interviene nella respirazione (polmoni e respirazione). Insieme al
laringe con le sue corde vocali, la bocca partecipa alla fonazione (voce). Le
vibrazioni delle corde vocali producono i suoni, più o meno alti; ma il timbro
dei suoni dipende dalla forma delle corde, della bocca, della lingua e delle
ossa che compongono il cranio. Fisiologia La bocca è, in primo luogo, l'organo mediante il quale vengono assunti
gli alimenti e in cui avviene la prima parte della loro digestione, con la
triturazione e insalivazione (masticazione), seguita dalla deglutizione. Nella
bocca, inoltre, si trovano i recettori della sensibilità gustativa e si
realizza una corretta formazione della parola articolata. Infine, essa è di
rilevante importanza nel meccanismo di inspirazione ed espirazione, mentre la
sua ricca vascolarizzazione permette anche l'assorbimento di farmaci. Il mondo attraverso la bocca Durante tutta la vita, attraverso la bocca avvengono scambi
significativi con il mondo ma, dalla nascita al compimento del primo anno, è la
sede principale di attività ed esperienze fondamentali per lo sviluppo
dell'essere umano. In psicologia, questo periodo viene chiamato 'fase orale' (dal latino
os-oris, che vuol dire "bocca"). Durante la fase orale, attraverso la
bocca il neonato mantiene l'unione beata con il seno materno e la suzione è la
fonte principale di piacere: questo piacere è detto appunto 'orale'. Fin dall'inizio della vita, la bocca è un mezzo per esprimere le
emozioni. Quando spuntano i primi denti, il bambino prova l'impulso di mordere
per esprimere la propria aggressività. Inoltre, il bambino usa la bocca per i
suoi primi scambi sociali: sorride, piange, ride, bacia e, infine, impara a
parlare. E' attraverso di essa che il neonato e il bambino molto piccolo
esplorano il mondo, mettendo in bocca, appunto, gli oggetti per capire le loro
caratteristiche: se sono commestibili ? se si possono mangiare senza danno ?,
se sono duri o morbidi e quale sapore hanno. Anche nell'età adulta gli esseri umani continuano la ricerca del
proprio piacere orale mangiando i cibi preferiti, oppure, inconsapevolmente,
tentando di riprodurre alcune delle piacevoli sensazioni provate nell'unione
della bocca con il seno della madre. Per esempio, gli innamorati si baciano
sulla bocca o alcune persone fumano, senza sapere che questo gesto è anche il
segno di un po' di nostalgia per quel contatto ormai perduto. Le labbra e il sorriso sono un particolare della bocca a cui
attribuiamo un importante valore estetico. Il rossetto dona alle labbra una
qualità erotica apprezzata dagli innamorati. Il ruolo della bocca va infine esaminato in relazione con i diversi
sensi (vista, udito, olfatto, gusto e tatto). La 'bocca' è stata rappresentata come protagonista in alcuni preziosi
dipinti di Leonardo da Vinci, Edvard Munch e Gustav Klimt. Sorriso enigmatico Urlo Bacio La parola 'bocca' compare in molti modi di dire che ricordano come
questa ricopra un ruolo importante nella mimica del volto per esprimere stati
d'animo ed emozioni. Per esempio: a bocca aperta (stupore), storcere la bocca
(disgusto o disapprovazione), a bocca asciutta (delusione). Tra i tanti modi di
dire, 'acqua in bocca', ossia "mantieni il segreto", è uno dei più
usati e dei più utili. Vi è poi il conosciutissimo augurio scaramantico per chi
sta per affrontare un'importante prova, 'in bocca al lupo' (al sicuro nella
bocca di mamma lupa). Per la trasmissione di un segreto, da Maestro a
Discepolo, si usa dire, 'da bocca ad orecchio' mentre, per “il diffondersi
rapidamente di una notizia” si usa dire, “passare di bocca in bocca”. A questo proposito mi viene in mente una frase scritta dal Maestro
Kremmerz per indicare il parlare sincero: “Parlare con il cuore in bocca”. Dua-Kheti Bibliografia: Cultura.biografieonline – La teoria dei 4 elementi Isha Schwaller de Lubicz – Her-Bak – Discepolo Altervista – Leonardo Lovari Library weschool – Le “Metamorfosi” di Apuleio Treccani – Bocca Wikipedia – Bocca della Verità I MISTERI ISIACI
Ultimo aggiornamento Martedì 04 Dicembre 2018 18:24 | | Stampa | | E-mail
Lode a te Iside-Hathor, Madre di Dio, Signora del Cielo, Padrona di Abaton, Regina
degli Dei. Tu sei la divina madre di Horus, Il Possente Toro, protettore di suo padre, Che fa cadere i ribelli(1). In Grecia i Misteri di Iside si diffusero intorno al IV secolo a.C., epoca alla quale risale un tempio dedicato ad Iside nel porto del Pireo. Non è invece noto il periodo preciso in cui penetrarono a Roma(2); Lucio Apuleio(3) afferma però che il collegio sacerdotale isiaco era presente a Roma fin dall’età di Silla, vale a dire dai primi decenni del I secolo a.C. Diffuso anche in Spagna e in Svizzera, il culto sopravvisse a lungo soprattutto in Francia dove la Dea era ancora venerata nel VI secolo(4). Per la comune identità di alcuni episodi, Iside fu talvolta sovrapposta alla dea greca Demetra tant’è che in alcune effigi Iside è raffigurata con le spighe di grano che sormontano il disco lunare sul suo capo. Come Demetra, anche la Grande Madre egizia veniva chiamata la Nera e tale caratteristica si perpetuerà nelle tante Madonne Nere sparse per l’Europa e tutte dotate, non a caso, di virtù terapeutiche al pari di Iside. Alcuni antichi autori scrissero che quando Iside è rappresentata con il capo ornato da un’acconciatura a forma di corna vuol dire che la Dea esprime il potere della Luna nel momento in cui l’astro è crescente; quando, invece, indossa un abito nero, Iside-Luna è nella sua fase oscura, quella del lutto e della separazione dallo sposo Osiride-Sole. La versione più semplice del mito pone Osiride come figlio di Nut e di Geb, cioè il Cielo e la Terra. Nut e Geb generarono anche Iside, Nephtys e Seth. Osiride sposò sua sorella Iside e Seth sua sorella Nephtys. Osiride fu il primo sovrano divino d’Egitto. Quando arrivò, trovò il paese immerso nella barbarie e nell’ignoranza. Non esisteva la legge e il popolo viveva in miseria. Osiride visitò tutta la regione portando ordine, dettando regole e civilizzando le genti che lo ricambiarono con il loro amore. Questo dio, dunque, è l’espressione della “Sacra Parola”, creatrice e ordinatrice di un mondo nuovo. Seth, suo fratello, si ingelosì e incominciò ad odiarlo; decise così di ucciderlo. Aiutato dai demoni, Seth costruì una grande bara dalle esatte dimensioni e forme di suo fratello. In occasione di una festa organizzata da Osiride, Seth offrì la bara a chi meglio l’adattava al proprio corpo. Naturalmente solo Osiride riuscì ad adagiarvisi; in quel preciso momento, Seth richiuse la bara e, sempre aiutato dai demoni, la portò fuori dalla sala e la gettò nel Nilo. Iside, allora, prese una barca e andò alla ricerca del corpo di suo fratello e sposo Osiride che infine trovò sulle spiagge fenicie di Byblos; il corpo, però, fu nuovamente rapito da Seth che lo smembrò in quattordici pezzi che sparse per tutto l’Egitto. Iside partì nuovamente alla ricerca delle parti del corpo di Osiride, ma ne trovò solo tredici perché non riuscì mai a recuperare il quattordicesimo pezzo, il fallo. La Dea, tuttavia, non si perse d’animo; ricompose il corpo dello sposo, sostituì ai genitali mancanti un fallo d’oro e, grazie alle sue arti magiche, portò temporaneamente in vita il marito che, impossibilitato a procreare naturalmente, la fecondò con lo sguardo. Nacque così Horus che, istruito da Thot, il dio della Sapienza, ereditò i poteri del padre sulla Terra; Osiride, invece, andò a regnare sul mondo dei morti. Inizialmente Iside sembra essere stata una dea del focolare per la sua fedeltà e devozione al consorte, ma progressivamente il rapporto con lo sposo Osiride perse d’importanza rispetto al suo ruolo di madre di Horus, sebbene la Dea continuasse a simboleggiare la Terra-Egitto che attende l’inondazione feconda del Nilo, personificato da Osiride. Seth, simbolo della siccità, uccide, smembra e rende infecondo Osiride (il Nilo), ma la Dea (l’Egitto) ricompone nuovamente il corpo del dio. La resurrezione è celebrata dal figlio Horus (il Sole). Il mito, letto in chiave misterica, rappresenta la continuità della vita dopo la morte. Come tutte le Grandi Dee, anche Iside è vergine e madre, spesso rappresentata con il piccolo figlio Horus in braccio(5) . È la Terra-Natura e la Luna: madre e figlia, figlia e madre l’una dell’altra. È la Terra feconda (madre) che prescinde dal coito (vergine). È la Madre Natura, fonte di Vita e Vita ella stessa: creatrice, nutrice e dispensatrice, ma anche distruttrice in quanto in Natura tutto nasce, cresce e decade. È la Dea degli opposti che in lei trovano armonia. Perché io sono la Prima e l’Ultima Io sono la Venerata e la Disprezzata Io sono la Prostituta e la Santa Io sono la Sposa e la Vergine Io sono la Madre e la Figlia Io sono le Braccia di mia Madre Io sono la Sterile, eppure sono numerosi i miei figli Io sono la Donna Sposata e la Nubile Io sono Colei-che-dà-alla luce E Colei-che-non-ha-mai-generato Io sono la Consolazione dei dolori del parto Io sono la Sposa e lo Sposo E fu il mio uomo che mi creò Io sono la Madre di mio padre Io sono la Sorella di mio marito Ed egli è il mio figliolo respinto Rispettatemi sempre Perché io sono La Scandalosa e la Magnifica (6) Per i fedeli Iside è la Divinità Assoluta, come dimostra il suo nome egiziano, Aset, che vuol dire “trono”. Ella è la Dea dai diecimila nomi, e ogni essere vivente è una goccia di sangue della Dea. In effetti, con Iside il culto della Luna raggiunse forse la sua espressione più alta e spirituale come testimonia l’episodio dello smembramento di Osiride in cui ricorrono i numeri ritmici delle fasi lunari: il corpo del dio è diviso in 14 pezzi, tanti quanti sono i giorni di un emiciclo lunare; le parti vengono gettate nei 7 bracci del Nilo (il numero dei giorni di una settimana); sono tutte recuperate tranne una e 13 sono i cicli completi della luna in un anno. Oltre ad essere la personificazione della Vita, Iside incarna anche la Sapienza ed i Greci, infatti, accostavano foneticamente il suo nome, Isis, al greco isia, “conoscenza”, collegando questo termine ad un altro, sempre greco, usia, che esprime l’idea di “essenza”. Con questo gioco di assonanze, i Greci riconoscevano in Iside l’Essenza della Conoscenza. La “Sacra Parola” (il corpo di Osiride), e dunque la Tradizione, smembrata da Seth, il male, l’ignoranza, può essere recuperata, ricostruita e portata a nuova Vita attraverso la Conoscenza. Fatto a pezzi e gettato nel Nilo, Osiride è oggetto di cerca e di ri-cerca come il Graal. Plutarco nella sua opera Iside e Osiride chiarisce che la “Sacra Parola”, una volta ricostituita, venne affidata da Iside ai suoi iniziati che divennero così i depositari della “resurrezione” e Lucio Apuleio, nelle Metamorfosi, racconta di una “redenzione” avvenuta attraverso l’iniziazione ai Misteri di Iside(7). Sia in Medio Oriente, sia in Grecia che a Roma e in tutto il bacino mediterraneo Iside fu adorata come la Dea suprema ed universale. In un inno, Iside recita: «Io sono la Madre e la Natura intera, Signora di tutti gli elementi, origine e principio dei secoli, divinità suprema, regina dei Mani, prima fra gli abitanti del cielo, prototipo degli dèi e delle dee. Le vette luminose del cielo, le brezze salutari del mare, i silenzi desolati degli Inferi, sono io che governo tutto, secondo la mia volontà». In onore della Dea si svolgevano processioni e sacre rappresentazioni nelle solennità invernali e primaverili. Figura di primo piano nelle feste religiose era il portatore del sistro (she shesh), strumento caro ad Iside perché il suo magico suono risvegliava il fedele dal “sonno”(8). La musica che accompagnava i canti innalzati ad Iside è ignota. Gli Egiziani avevano un concetto elevato della musica, tanto che Platone la considerava superiore a quella greca, sia per melodia che per pathos. Vi erano due tipi di armonia noti agli Egiziani che i Greci definivano “dorico” e “frigio”. Il primo era grave, solenne e calmo; l’altro, che probabilmente era quello adottato nei canti, era forte, impressionante e dinamico. Per i fedeli la cerca dolorosa di Iside rappresentava un cammino luminoso da percorrere per raggiungere la salvezza attraverso la pratica dei suoi misteri e la recita di aretologie, litanie molto simili alle preghiere mariane. Per gli Egiziani la Morte era solo una “soglia da varcare”, come si evince da questo splendido passo di Lucio Apuleio tratto dal Libro XI delle sue Metamorfosi: «Io arrivai ai confini della morte, posai il piede sulla soglia di Proserpina, e poi tornai indietro passando attraverso tutti gli elementi: nella notte vidi risplendere il chiaro fulgore del sole; mi avvicinai agli dei inferi e a quelli del cielo, e li adorai da vicino». Note 1] Inno a Iside, Tempio di Philae, Egitto. 2] Nel II sec. a.C. venne dedicato ad Iside un tempio sul Campidoglio di cui oggi resta solo l’obelisco che nel 1500 fu trasferito a Villa Celimontana. In seguito le vennero eretti altri due splendidi santuari in Campo Marzio e sulle pendici dell’Esquilino, verso il Celio. Augusto, che per motivi personali non amava l’Egitto, proibì il culto di Iside all’interno della città. In seguito i divieti cessarono e il culto largamente seguito anche dagli imperatori fra i quali, ad esempio, Adriano e Commodo; quest’ultimo portava i capelli rasati come i sacerdoti di Iside e partecipava in prima persona alle processioni durante le festività isiache. A Roma il culto aveva la stessa forma e le stesse caratteristiche di quello egizio-ellenico. Una festività tipicamente romana, invece, era il Navigium Isidis (la “Nave di Iside”) che si celebrava il 5 marzo, aperto da un solenne sacrificio espiatorio. Il rito è descritto da Apuleio: il sommo sacerdote, seguito dai fedeli, portava in processione sulle rive del Tevere una piccola nave; dopo averla purificata con zolfo, una torcia ed un uovo, l’abbandonava alle acque del fiume impetrando la protezione di Iside sulla navigazione che, dopo l’inverno, riprendeva proprio in quel tempo dell’anno. 3] Lucio Apuleio: scrittore latino di origine africana (Madaura, 125 d. C. circa - Cartagine, 180 d. C. circa). Narratore abilissimo, è una delle figure più singolari della letteratura latina; il suo stile, ricco di accorgimenti retorici ma personalissimo, esercitò notevole influsso sulla letteratura successiva. Capolavoro di Apuleio è il romanzo Metamorfosi, conosciuto anche come L'asino d'oro. 4] La tradizione racconta che Parigi derivi il suo nome originale, Parisis, per l’appunto da Iside in quanto la città sorse nei pressi di un tempio dedicato alla Dea. 5] Statue di Iside con il piccolo Horus furono adottate dalle prime comunità cristiane che le identificarono con rappresentazioni della Vergine Maria e di Gesù Bambino: l’assimilazione è comprensibile in quanto anche Iside, come Maria, era venerata come la Vergine Madre di Dio. 6] Inno a Iside (IV-III sec. a.C.) rinvenuto a Nag Hammadi, Egitto. 7] A tale narrazione si ispira certamente la scena dell’iniziazione isiaca contenuta nel Flauto Magico di Mozart. 8] Plutarco così spiega il significato del sistro: «Dicono infatti che Tifone (Seth) è messo in fuga e respinto dai sonagli del sistro, significando così che ove mai lo sterminio avvinca e irretisca il principio operativo della natura, il divenire di nuovo lo libera e lo risolleva per mezzo del movimento». E poi aggiunge: «La parte superiore del sistro è tondeggiante; tale disco precinge i quattro elementi della sonagliera. Ed ecco il perché: la parte del mondo che è soggetta al ritmo delle generazioni e della distruzione è contenuta al di sotto della sfera lunare; e in essa tutte le cose sono soggette al moto e al cambiamento attraverso i quattro elementi: fuoco, acqua, terra, aria». Illustrazioni Iside che allatta Oro (VI sec. a.C.). Firenze, Museo Archeologico Vergine Nera (XII sec.). Santuario della Madonna di Rocamadour (Francia) Triade divina: Iside, Osiride e Oro (IX sec. a.C.). Parigi, Louvre Museum Iside Capitolina (I sec. d.C.). Roma, Musei Capitolini
Per gentile concessione di www.arca-cultura.it Articolo redatto dalla Dott.ssa Donatella Cerulli
Lettera di ringraziamento indirizzata alla dott.ssa Donatella Cerulli per il suo articolo “I misteri isiaci” pubblicato sul sito della Scuola Ermetica Salvatore Mergé
Gentilissima dott.ssa Donatella Cerulli,
con estremo interesse ho letto il Suo articolo “I misteri isiaci” pubblicato sul sito della Scuola Ermetica Salvatore Mergé, e desidero, con questa mia breve lettera, che spero le venga girata, mostrarLe apertamente la mia più sincera riconoscenza per la Sua straordinaria, chiara quanto preziosa testimonianza.
Dalle Sue parole appare tangibile il bagliore che doveva trasparire dal sottilissimo velo di Iside; velo che, sebbene dovesse essere di tessuto finissimo, ancora resiste alle indagini cui il nostro essere storico ritiene di volta in volta di sottoporlo; velo impalpabile che tuttavia rende vani i tentativi di penetrarne i misteri che nasconde, occultati come sono ai nostri occhi dallo stato individuale umano stesso nel quale ci troviamo ed al cui linguaggio siamo indissolubilmente legati.
Come non restare abbagliati tuttavia dalla luce diamantina che improvvisa appare tra le infinite sfaccettature di quella Natura universale le cui leggi ci governano e ci conducono come amatissima Madre nel nostro viaggio verso l’Eternità.
La ringrazio per aver condiviso questa preziosa perla di saggezza con tutti i lettori del Blog. Antimonio Un appassionato di ermetismo
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