APPENDICE AL TESTAMENTO SPIRITUALE DI SALVATORE MERGÈ SULL’ "ALCHIMIA MATERIALE"
Ultimo aggiornamento Sabato 19 Marzo 2022 14:32 | | Stampa | | E-mail
Nel corso del secolo scorso molti insegnamenti ermetici, alchemici e spirituali del Maestro Giuliano Kremmerz, sono stati interpretati in modo quanto meno fantasioso, per non dire grottesco, da parte di scrittori e maestri autoproclamatisi tali. Come ciò possa essere accaduto è da spiegarsi, in linea di principio, soltanto con la mancanza delle necessarie qualificazioni iniziatiche dei tanti cosiddetti neo-kremmerziani; di questi ultimi, infatti, nessuno fece mai parte della rosa ristrettissima dei rari discepoli diretti di Giuliano Kremmerz né tanto meno fu discepolo di un discepolo diretto del Maestro Kremmerz; i cosiddetti neokremmerziani si professano “seguaci” di Giuliano Kremmerz, in un modo del tutto personale, si autoproclamano maestri ed interpreti unici degli insegnamenti kremmerziani, travisando il senso di scritti, acquisiti qua e là, spulciando tra vecchie carte in biblioteche e studi privati. La confusione cosi creata intorno alla figura del Maestro Giuliano Kremmerz, per il solo gusto della prevaricazione, purtroppo perdura ancora oggi, tra mille equivoci, provocando molte irrimediabili e dannose incomprensioni; a tutto ciò si va ad aggiungere una schiera di sedicenti ermetisti, che, pur non avendo mai conosciuto né Giuliano Kremmerz né alcun suo diretto discepolo, ciò nonostante si ritengono autorizzati a reinterpretarne gli insegnamenti iniziatici, autoinvestendosi di fantomatici poteri supremi, ricevuti da personaggi “occulti” di pura invenzione, o addirittura in “astrale”. Quanto grande può diventare la fantasia! Come ci si può incamminare lungo la strada che ci separa dal VERO, ignorando che per percorrerla occorre innanzitutto tanta Umiltà, restando, nel breve tempo di una vita umana, sempre e comunque incolmabile una distanza infinita? “Per noi ermetisti kremmerziani – diceva Salvatore Mergè, discepolo diretto di Giuliano Kremmerz e fondatore della nostra Schola - le qualificazioni indispensabili per essere ammessi alle prove di un percorso difficile, pieno di sacrifici, qual è la via ermetica, non possono che essere una fede salda in Dio ed una vocazione spirituale straordinaria; non intendiamo con ciò in nessun modo confondere l’ermetismo kremmerziano con lo spiritualismo, né con il neospiritualismo odierno; l’anelito dello spirito umano di abbracciare il mistero dell’ESSERE UNICO, comporta una prospettiva che non è conciliabile in nessun modo con il desiderio di divenire succube di fenomeni particolari, di qualsiasi genere essi siano, interpretati erroneamente come “illuminazioni.” “La via ermetica spirituale è l’applicazione dei principi di una scienza tramandata da millenni con precisione, fatta di tappe definite da conquistare attivamente e gradualmente, in cui il ricercatore non deve divenire il soggetto di fenomeni casuali, e che non riesce a spiegarsi, dovendogli essere chiaro, sin da principio, il suo obbiettivo finale, la realizzazione spirituale divenuta stabile.” Le diverse interpretazioni materiali dell’alchimia, cui sono giunti numerosi raffazzonati maestri del secolo scorso, purtroppo anche del presente, possono comunque essere ricondotte, ad una radice unica, quella dell’individualismo sensazionalistico dilagato ovunque, per orgoglio ed avidità, di esperienze sensoriali forti e non solo. “L’istinto della vita, in quanto energia intrinseca nel corpo umano, è riconducibile al movimento che ci ha generati nel peccato, esso non può che condannarci alla prigionia della cieca materialità, nella quale esclusivamente esercita il suo specifico raggio di azione.” “Liberare questa energia intrinseca dal corpo umano, è un sogno che colpisce oggi più che mai la fantasia eccitata degli uomini, le invenzioni e le pratiche teorizzate a questo scopo, sono divenute via via più numerose e sottili, esse appaiono ai nostri occhi di natura così discutibile da sembrarci sinistre; queste pratiche a nostro avviso, bene rappresentano la tendenza alla dissoluzione, ed auto distruzione, dilagata ovunque, segni di una civiltà in fase finale critica di disfacimento.” “I governi nazionali di mezzo mondo, e le maggiori organizzazioni internazionali, sono stati privati di ogni credo in Dio, divenuti simulacri vuoti, risuonano confusamente, facendo eco al fragore dell’individualismo ed al desiderio della sopraffazione.” In nome di una pace non vera, si gettano rami di ulivo sul fuoco, che continua così a devastare terre e nazioni, invece di spegnerlo, attingendo alla fonte inesauribile della Sapienza di Dio che è Amore infinito. Possibile che arrivati a questo punto abbiamo ancora timore di convertirci? Vogliamo forse aspettare di convertirci per la Grande Paura? Quanto è infinitamente più colpevole l’uomo, che, lasciato libero da Dio di scegliere, persegue il male deliberatamente, volgendo le spalle al Bene! “Ci preoccupiamo di non rattristare i nostri compagni di viaggio, di godere insieme di questo mondo, mentre ferire il nostro Dio, Eterno Padre, non è più un problema per molti, possiamo permetterci persino di ignorare il Suo Giudizio e Lui stesso!” “È in atto, da tempo, il tentativo di sostituire ovunque la fede in Dio, ed il culto spirituale divino con ideologie umanitarie e atee, talvolta astruse, corredate di pratiche quanto meno particolari; nessuna di queste raffinate elucubrazioni, tanto mentali quanto materiali, può in nessun caso condurre, in linea di principio, alla realizzazione spirituale, che, anche se minima, comporta comunque l’intervento di un elemento non umano, soprannaturale”; dimostrazione di ciò sono i numerosi racconti di tanti “autorevoli adepti” che, disillusi da anni di suddette pratiche, al fianco di esaltati, atteggiati a maestri, hanno recuperato a fatica anche solo una vita materiale ordinaria, con i rimorsi di una vita negativa trascorsa. “Molti maestri kremmerziani, autoproclamatisi tali, soltanto in teoria aderenti ad “alcuni degli insegnamenti” ermetici kremmerziani, se oggi potessero parlare, senza far crollare tutto il castello di sabbia che hanno costruito intorno a sé dal nulla, definirebbero essi stessi le loro personali ideologie, elaborazioni mentali di esperienze individuali, frutto di mera invenzione, comunque in nessun modo riconducibili agli insegnamenti del Maestro Giuliano Kremmerz, né tanto meno alla Tradizione ermetica spirituale, che nessuno di loro ha mai veramente avuto voglia di approfondire né ha mai capito.” “Molti insistono nel promettere, a nome di Giuliano Kremmerz, effetti miracolosi da pratiche tanto assurde, quanto innaturali, confondendo l’estensione indefinita della condizione mentale umana, per la VERITÀ ASSOLUTA.” ETERNITÀ, INFINITO, sono attributi che si danno solo all’ ASSOLUTO, essi non indicano in nessun modo il tempo e lo spazio, solo apparentemente illimitati. Tutti costoro in un modo o nell’altro non fanno che assecondare l’ingannevole e lucifera credenza, mai tramontata, di divenire noi stessi il nostro Dio; c’è persino chi “D’io” arriva in momenti di estrema autoesaltazione, perdendo il contatto con la realtà, a scriverlo addirittura con l’apostrofo. Ci domandiamo se è rimasto loro ancora un piccolo barlume di vera e pura umanità, per accorgersi di cosa sono divenuti succubi. “Bisogna capire che il corpo odia la preghiera, esso è di impedimento alla generazione spirituale, studiarsi di eccitare le energie proprie del corpo, con pratiche particolari, ha come effetto sicuro soltanto quello di ingigantire la coscienza intrinseca corporea, ovvero l’istinto materiale, fino ad abbagliarne il cervello; la perseveranza in pratiche assurde ed innaturali espone soltanto al rischio di squilibri più o meno gravi nella persona, e nella peggiore delle ipotesi, potrebbe condurre a stati irrazionali, inferiori alla condizione propriamente umana. Non dimentichiamo mai che la Conoscenza con la “C” maiuscola inizia dal Cuore, soltanto l’Amore libera da ogni ostacolo, l’Intelligenza del Bene.” “Con quale gusto della sopraffazione si persevera nello scrivere libri e articoli, per diffondere pratiche stravaganti, ridicole, grottesche e perfino dannose, in nome di Giuliano Kremmerz, rivolte ad ignari malcapitati, il cui unico difetto è di essere alle prime armi, indifesi, ed impreparati a fronteggiare le trappole tese da sedicenti maestri di cose materiali?” La vera pratica ermetica, che ci è stata trasmessa dal nostro maestro Salvatore Mergè, ed a lui insegnata direttamente da Giuliano Kremmerz, - ci dispiace qui deludere gli aspiranti occultisti, che ci leggono in cerca dei segreti inconfessabili di Pulcinella, - consiste nel favorire il giusto equilibrio nell’individuo, attraverso l’esercizio libero e volontario del Bene, con la preghiera attiva, quotidiana, che anima lo Spirito. “Se solo non fossimo cosi presuntuosi e pieni di noi stessi, in nome di una cieca idea di progresso, da ritenere i nostri antenati dei “fratelli minori”, ci sarebbe sufficiente guardarci indietro e recuperare le loro leggi, i loro consigli e divieti, tramandati di generazione in generazione fino a noi, che rappresentiamo - ahimè!, l’ultimo anello di una catena di ignoranza e di errori umani.” “Amare il prossimo come noi stessi, mediante buone azioni ed abitudini virtuose, senza mai ferire alcuno con parole e comportamenti offensivi, diffamatori, questa è la “pratica yoga”, trasmessa a noi attraverso la Tradizione ermetica, base solida indispensabile ad ogni sviluppo spirituale, che possa dirsi propriamente tale, queste sono le fondamenta di una abitazione sicura, costruita, come dice il Vangelo, sopra una pietra angolare solida”. Pontefici, papesse, di ogni genere, si circondano sempre di uno stuolo di anime deboli, credulone, amano questi, infatti, essere incensati, si sentono grandi, in un mondo ristretto, fatto di individui ridotti a loro immagine e somiglianza; se non è prevaricazione questa, c’è da domandarsi allora, cosa è la prevaricazione? Non è forse prevaricazione forzare il diritto divino, di ciascuno di noi, ad esercitare nel bene e nel male il libero arbitrio, dono divino inalienabile? “L’AMORE è Sapienza e viceversa, Amore puro, sincero, per la luce della CONOSCENZA e della VERITÀ, senza di esso non si procede di un passo nella ricerca spirituale ed ermetica.” Dio creò a mezzo della Parola, e della Parola fece dono agli uomini, perché a loro tempo Lo invocassero, questo è il culto spirituale divino, l’unico che riconosciamo come tale, tramandato non solo dall’ermetismo kremmerziano, a chi segue dalla nascita una vita spirituale, fatta di tanta preghiera e di Amore Infinito per il TUTTO-UNO.
“Tutte le frasi evidenziate in rosso tra virgolette fanno parte degli scritti del testamento spirituale di Salvatore Mergè discepolo diretto di Giuliano Kremmerz” |
PREGHIERA A MARIA
Ultimo aggiornamento Sabato 17 Settembre 2022 10:57 | | Stampa | | E-mail
Salve o Maria, Madre di Misericordia, Tu che hai dato al mondo l’Autore della vita, illumina il nostro cammino verso il Cielo.
Santissima Madre, donaci una vita nuova, perdona tutte le nostre debolezze, sii sempre la nostra Protettrice.
Ora ti imploriamo Madre Santa accoglici sotto il Tuo Santo manto affinché purificati, possiamo godere uniti a Tuo Figlio, della Sua immensa Gloria.
scritta dal Maestro della Schola Renato de Angelis LE MOTIVAZIONI CHE INDUSSERO GIULIANO KREMMERZ A ESCLUDERE I MASSONI DALLA NASCENTE E FUTURA FR+ TM+ DI MYRIAM.
Ultimo aggiornamento Martedì 08 Febbraio 2022 17:13 | | Stampa | | E-mail
La motivazione dell’esclusione dei massoni dalla Fratellanza di Myriam, attuale e futura, deriva dal suo essere, per statuto (vedi Pragmatica fondamentale), una Fratellanza categoricamente spirituale, per questo non assimilabile in nessun modo a qualsivoglia organizzazione sociale o politica, cui rassomigliano, invece, le Massonerie moderne, le cui storie sono perciò stesso legate indissolubilmente alle vicende materiali nazionali. Giuliano Kremmerz escluse i massoni dalla Fratellanza di Myriam, seguendo per sua natura i dettami della Chiesa Cattolica, cui rimase sempre aderente, dettami oggi ancora validi poiché recentemente ribaditi dalla Dichiarazione sulla Massoneria ratificata dal Santo Padre Giovanni Paolo II nel non lontano 1983. Con la Dichiarazione sulla Massoneria, il Sommo Pontefice negò udienza speciale al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (G.O.I.), richiesta formulata a mezzo di Lettera al Santo Padre inviata per il tramite di un Cardinale dell’epoca (non interessa noi chi fece da tramite alla missiva né quali motivi l’avessero indotto a sottoscriverne la causa). La Dichiarazione è consultabile da tutti, essendo pubblicata sul sito ufficiale del Vaticano nella sezione dedicata alla Congregazione per la Dottrina della Fede; la Lettera al Santo Padre, ad oggi non ci risulta essere mai stata smentita dal G.O.I., ed è stata di recente anche pubblicata in un libro, il cui sapore esclusivamente scandalistico ci distoglie dal pubblicizzare. D’altronde per approfondire la questione che ci preme chiarire, senza fini polemici o di pettegolezzo alcuno, ci sono più che sufficienti i soli testi citati sopra ed è con questa intenzione di ricerca della verità che di seguito ne mettiamo a disposizione il contenuto, per chi volesse approfondire l’argomento. San Giovanni Paolo II con la Dichiarazione sulla Massoneria diede ampia prova di aver letto attentamente la missiva a Lui indirizzata, e soprattutto meditato bene anche quanto “non scritto”; fu per questi motivi detti e non detti, che Egli con amorevole previdenza non intravide possibilità di contatto alcuno, anche per il futuro, tra la Chiesa Cattolica e la Massoneria, anzi intuì, con amorevole prudenza, che occorreva sancire la loro inconciliabilità di principio ancora una volta nettamente, per sempre; e chi potrà mai smentirne la profetica lungimiranza? Non poteva sfuggire agli occhi illuminati del Santo Padre la mancanza di "Credo" nella Lettera, a tal punto da rendere impossibile qualsiasi riconoscimento spirituale fraterno da parte della Chiesa alla Massoneria, nonostante il dettagliato e vantato elenco di opere materiali portate dal G.O.I. con orgoglio a suo vantaggio. Cosa separa ciascuno di noi dalla Pura Verità più dell’Orgoglio e della presunzione? Come scriveva Giuliano Kremmerz, “Ignoranza ed Orgoglio non sono altro che la stessa identica cosa”. Quale insegnamento spirituale più profondo avrebbe mai potuto dare come esempio San Giovanni Paolo II, in qualità di Sommo Pontefice, a tutti, massoni e cattolici? La Fede non è qualcosa che si può comprare o vendere, non consiste in merce di scambio, in un manu-fatto, la Fede rappresenta il dono dello Spirito di Dio all’anima orante, ed è solo al Signore che bisogna chiederne la Luce, incessantemente, a mezzo della preghiera, con un cuore “Bambino”. La preghiera è stata la vera Vita di San Giovanni Paolo II, e tutti noi amiamo ricordarlo, anche quando sofferente nel fisico, sempre con il cuore rivolto a Maria ed al Signore, radiante Amore. Chissà quante tribolazioni dovrà subire ancora la Chiesa Cattolica Romana, per inesorabile punizione divina, a causa dei reiterati tentativi di alcuni suoi alti Prelati, di deviarne il culto spirituale divino, in senso materiale, in nome del progetto temporale di supremazia massonica? La mentalità massonica illuminista, razionalista e progressista, ha condotto l’umanità moderna verso la negazione dell’esistenza dell’anima, fino all’attuale mancanza di fede nell’esistenza di Dio; una siffatta mentalità, tanto ottusa quanto oscura, non è in nessun modo conciliabile, con la Sapienza spirituale divina, né con l’autentica Tradizione ermetica, essa è piuttosto la causa principale della inazione e della privazione spirituale, dilagata ovunque ad ogni livello. L’animale razionale “UOMO”, si è voluto consegnare prigioniero della passività materiale degli istinti, finendo vittima sacrificata sull’altare della natura irrazionale, degli esseri bruti, animali materiali. La preghiera è il vero ed unico motore della vita del credente, è questa l’autentica professione di Fede propria di ogni uomo a qualunque Credo appartenga; la Preghiera, in questo caso, è stata l’assente eccellente nella Lettera indirizzata al Pontefice dal vertice del G.O.I., e ciò non poteva sfuggire, rendendosene conto il Santo Padre, illuminato dalla Grazia di Dio, copiosamente.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE DICHIARAZIONE
SULLA MASSONERIA
È stato chiesto se sia mutato il giudizio della Chiesa nei confronti della massoneria per il fatto che nel nuovo Codice di Diritto Canonico essa non viene espressamente menzionata come nel Codice anteriore. Questa Congregazione è in grado di rispondere che tale circostanza è dovuta a un criterio redazionale seguito anche per altre associazioni ugualmente non menzionate in quanto comprese in categorie più ampie. Rimane pertanto immutato il giudizio negativo della Chiesa nei riguardi delle associazioni massoniche, poiché i loro principi sono stati sempre considerati inconciliabili con la dottrina della Chiesa e perciò l'iscrizione a esse rimane proibita. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione. Non compete alle autorità ecclesiastiche locali di pronunciarsi sulla natura delle associazioni massoniche con un giudizio che implichi deroga a quanto sopra stabilito, e ciò in linea con la Dichiarazione di questa S. Congregazione del 17 febbraio 1981 (Cf. AAS 73, 1981, p. 240-241). Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Dichiarazione, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 26 novembre 1983.
Joseph Card. RATZINGER Prefetto Fr. Jérôme Hamer, O.P. Arcivescovo tit. di Lorium Segretario
Qualora qualcuno fosse interessato al contenuto della Lettera del 1983 indirizzata al Santo Padre San Giovanni Paolo II a firma del Cardinale …. e del Gran Maestro del G.O.I. Avv. ….. ci teniamo a precisare che viene custodita copia nell’archivio della nostra Schola.
__________
Nel 1996, il Santo Padre San Giovanni Paolo II, ad ulteriore prova della fermezza delle decisioni prese nel 1983 con la Dichiarazione sulla Massoneria, rispediva al mittente il riconoscimento “Galileo Galilei”, conferitoGli dal Grande Oriente d’Italia (G.O.I.), di propria unilaterale iniziativa nell’ennesimo tentativo di “comprare” l’amicizia della Santa sede.
Articolo pubblicato dal quotidiano Repubblica il 22.12.1996. (copia conservata nella nostra Schola) GALILEO ALL'INFERNO
Ultimo aggiornamento Venerdì 22 Ottobre 2021 09:39 | | Stampa | | E-mail
Erano molti i colleghi
invidiosi che avrebbero spedito volentieri Galileo all’inferno, prima che vi
provvedesse la Chiesa bollandolo come eretico. In realtà Galileo all’inferno
c’era già stato, su commissione, o per meglio dire, ne aveva prese le misure, almeno
di quello che Dante Alighieri menziona nella Commedia. Calvino, limitandosi
essenzialmente al repertorio scientifico, ha definito Galileo come il più
grande letterato del Seicento in lingua italiana. Non deve stupire troppo
difatti che un uomo di scienza come Galileo avesse avuto modo nella sua vita di
occuparsi anche di critica letteraria. Allora non esisteva una divisione netta
fra i rami del sapere e il titolo di filosofo veniva preso nell’accezione
etimologica del termine. Il Favaro, nella sua Edizione
nazionale delle opere di Galileo Galilei, ebbe modo di dedicare il nono volume
(del 1899) ai componimenti galileiani di letteratura. I testi raccolti nel
volume sono: Due lezioni all'Accademia Fiorentina circa la figura, sito e
grandezza dell'inferno di Dante, le Considerazioni al Tasso, le Postille
all'Ariosto, un argomento e traccia d'una commedia, alcune poesie e frammenti.
Compaiono anche, come appendici, una canzone di Andrea Salvadori per le stelle
Medicee scritta e corretta di propria mano da Galileo e un saggio d’alcune
esercitazioni scolastiche di Galileo. Le Considerazione al
Tasso, che Giuseppe Iseo pubblicherà nel 1793 e le Postille sull’Ariosto, sono
fogli sparsi ad uso personale, senza una loro struttura organica, scritte
intorno all’età di 26 anni, cioè intorno al 1590, quando Galileo era già
lettore presso lo studio di Padova. Si tratta di ben altro rispetto allo
spessore culturale richiesto dal filosofo e primario matematico presso la corte
medicea, qualifica col quale concluderà la sua vicenda umana. Il Viviani
ricorda che il Galileo della piena maturità si intratteneva in conversazioni di
critica letteraria, molto viva allora, sulle qualità dell’Ariosto e del Tasso e
non era infrequente sentir tessere le lodi del primo come di sentir analizzare
in profondità, anche se con parole meno benevole, il secondo. Ma l’opera di ambito
umanistico di maggior spessore sono le due lezioni tenute all’Accademia
fiorentina riguardanti il poema di Dante, e Galileo, interpellato da Baccio
Valori come vedremo più avanti, seppe venirne a capo in maniera magistrale. Facciamo un passo
indietro ed inquadriamo il contesto storico. Galileo, dopo aver studiato contro
voglia alcune lezioni di medicina, viene introdotto intorno al 1583, spinto
soprattutto dalla conoscenza e frequentazione con Ostilio Ricci, allo studio
della geometria, che sembra affascinarlo di più. Compiuto il quarto anno di
studi a Pisa, torna presso la famiglia a Firenze. Benché privo di qualunque
titolo universitario, fa istanza al reggimento di Bologna per ottenere la
lettura delle matematiche. Frattanto si è reso vacante anche il posto di
lettore delle matematiche dello studio di Padova per la morte di Giuseppe
Moletti. Siamo nel 1588, Galileo ha soli 24 anni, ha già scoperto l’isocronismo
del pendolo ed ha già avuto modo di mettersi in luce con alcuni libelli
scientifici, come La bilancetta (pubblicata postuma ma che già circolava fra
conoscenti in forma manoscritta), Theoremata circa centrum gravitatis solidorum
(pubblicato nel 1638), De aequiponderantibus, De his quae vehuntur in aqua. In questo periodo era sorta una disputa letteraria fra i supporter di due eruditi ormai defunti, di cui uno facente parte dell’Accademia fiorentina, riguardante la prima cantica della Divina Commedia. L’Accademico era Antonio Manetti (1423-1497). Egli sosteneva che, tenuto conto della competenza di Dante, prima di porre mano all’opera, si fosse fatto mentalmente uno schema delle dimensioni che il suo inferno avrebbe dovuto avere. Per il Manetti doveva essere un’oscura voragine conica che si apriva sotto Gerusalemme. E che se comunque la forma fosse stata quella giusta, di quali dimensioni, non era in grado di dirlo. L’altro, un non accademico, era tal Alessandro Vellutello (1473-1550), che al contrario sosteneva che Dante avesse lavorato d’inventiva senza preoccuparsi della verosimiglianza di ciò che andava descrivendo e che comunque l’inferno immaginato dovesse essere assai più piccolo di quanto andavano affermando gli accademici, tutt’al più si sarebbe potuto quantificare in un qualcosa pari a 1/1000 dell’intero volume del mondo. La disputa tra le due fazioni era qualcosa di più di un semplice esercizio geometrico-letterario per uomini di cultura. I tifosi si erano accapigliati in duelli verbali senza venirne a capo. Il presidente dell’accademia, Baccio Valori (1535-1606), decise di risolvere la questione interpellando un giovane matematico, brillante e di belle pretese, che sapesse di lettere e di geografia e che potesse finalmente risolvere la questione, una volta per tutte, sperabilmente a favore del Manetti. Il matematico che fu
interpellato allo scopo era Galileo Galilei, introdotto dalle credenziali che
abbiamo visto, il quale, partendo dal presupposto che i rimandi
spazio-temporali citati da Dante nella prima cantica erano così numerosi, si
era convinto che il poeta non avrebbe cominciato la scrittura senza prima
essersi fatto un’idea delle dimensioni non solo dell’inferno nella sua
interezza, ma anche dei singoli gironi. Nacquero così le “Due lezioni all’Accademia
fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante”. Lo
scienziato affermò che probabilmente Dante aveva fatto in modo che non
potessero essere svelati fino in fondo i ponteggi su cui fondare il poema. Così
facendo “ha dato cagione di affaticarsi gran tempo per esplicar questa
struttura”. La prima lezione tende
essenzialmente a valorizzare l’opera del Manetti, terminando con la
determinazione delle dimensioni di Lucifero. Di seguito Galileo si supera, con
una strategia degna delle più riuscite operazioni di marketing contemporanee
(allora si sarebbe detto captatio benevolentiae), con una lode all’uomo del
committente: “Mirabilmente, dunque, possiamo concludere aver investigata il
Manetti la mente del nostro poeta”, e concludendo la prima giornata con un
riassunto delle affermazioni tanto care all’accademico, circa le dimensioni
delle regioni infernali. La seconda invece prende in esame il lavoro del
Velutello, analizzandolo con effettiva imparzialità, salvo poi concludere che
le tesi non possono essere sostenute altrettanto bene come quelle del Manetti. Seguiremo la sintesi del
nostro matematico pedissequamente, usando la sua notazione, ovvero esprimendo
le dimensioni in miglia e frazioni. La misura che Dante
conosce ed usa circa il raggio della Terra è 3245 e 5/11 di miglia fiorentine,
afferma Galileo, corrispondenti a circa 5560 km. Allora la misura era un po’
sottostimata, comunque superiore dell’opinione maggiormente accreditata due
secoli più tardi quando Colombo intese raggiungere le Indie navigando verso
occidente. Non possiamo citare tutti
i passi che Galileo diligentemente espone. A noi basterà rimarcare soltanto
alcuni elementi. Innanzi tutto la terzina: Tu non hai fatto sì
all’altre bolge: pensa, se tu annoverar le credi, che miglia ventidue la valle volge [If 29, 7-9] e quindi al canto XXX: Cercando lui tra questa gente sconcia, con tutto ch’ella volge undici miglia, e men d’un mezzo di
traverso non ci ha. [If 30, 85-87] Il succo del ragionamento
porta Galileo, da questi a prima vista labili appigli e poche ulteriori stime,
a considerare che l’inferno è una voragine conica a gradoni che si apre sotto
Gerusalemme per un’ampiezza tale che se la voragine arrivasse fino alla
superficie, alla sboccatura, per usare le parole dello scienziato, sulla crosta
terrestre segnerebbe una circonferenza, centrata su Gerusalemme e che dalla
città santa dista 1700 miglia. Questo significa che l’apertura del cono è di
60°. Per cui il volume dell’apertura risulta essere, parole di Galileo, inferiore
a 1/14 del mondo intero. Dice di aver fatto “il conto secondo le cose
dimostrate da Archimede ne i libri Della sfera e del cilindro”. Oggi, con un
semplice calcolo integrale, possiamo calcolare esattamente il valore pari a
1/14.93. Ma l’inferno non si apre
immediatamente sotto. Dalla superficie terrestre si deve scendere per 1/8 del
raggio, ovvero 405 e 15/22 miglia, entro le quali si apre un grande anfratto
fatto apposta per gli ignavi. Secondo l’opinione espressa nella Divina
Commedia, gli ignavi non li ha voluti nemmeno l’inferno. Per essere fuori, si
deve necessariamente supporre l’esistenza di una sorta di intercapedine dove
sono condannati a seguire nudi uno stendardo, punti da tafani e vespe mentre ai
piedi dei vermi fastidiosi raccolgono il loro sangue misto alle lacrime.
L’anfratto deve comunque aprirsi sul fiume Acheronte, dove si trova Caronte che
traghetta le anime nell’inferno vero e proprio. Il primo gradone
dell’inferno che i due poeti affrontano è quello del limbo che, secondo i
calcoli del Manetti suffragati dallo scienziato toscano, deve essere di 87 e 1/2 miglia. Segue Minosse e il cerchio dei lussuriosi, che può essere raggiunto
dopo essersi calati dal limbo di altre 405 e 15/22 miglia, il cui turbine
percuote e trascina le anime sopra un gradone ampio 75 miglia. Ancora 405 e
15/22 miglia di discesa per arrivare dove sono puniti i golosi, sotto la
continua pioggia ed i latrati di Cerbero, in un gradone ampio 62 e 1/2 miglia.
Altri 405 e 15/22 miglia di discesa sono necessari ai viaggiatori per sentire
Plutone che dice: “Pape satan, pape satan, aleppe” e per vedere il supplizio
degli avari e dei prodighi. Occorre scendere sempre della stessa quantità per
giungere al quinto cerchio, il quale è però suddiviso a sua volta in due
gironi: il primo è occupato dalla palude Stige, dove sotto Flegias sono puniti
gli iracondi e gli accidiosi mentre nel secondo c’è la città di Dite. Entrambi
occupano uno spessore di 37 e 1/2 miglia. Il sesto cerchio è
separato dal quinto da una scesa costituita da una rovina di sassi che comunque
rimane sempre pari ad 1/8 di raggio terrestre. Anche il sesto cerchio è
suddiviso in gironi. Il primo è un lago di sangue, detto Flegetonte, dove i
Centauri trafiggono con le loro frecce coloro che in vita furono violenti
contro il prossimo, nel secondo si trova il boschetto delle anime dei suicidi,
sui ramoscelli dei quali alberi svolazzano rapaci arpie che provocano loro
indicibili sofferenze, ed i violenti contro i propri beni, condannati ad esser
dilaniati da cagne fameliche. Nel terzo infine sono martirizzati in un cocente
deserto sul quale continuamente piovono fiamme dall’alto i violenti contro Dio,
la natura e l’arte. È qui che Dante ha modo di incontrare il suo maestro,
Brunetto Latini, e di scambiare alcune parole. Dal dialogo viene a sapere i
nomi di altri condannati alla stessa pena. Tutti e tre i gironi sono ampi 25
miglia. Superato il Cocito, uno
dei fiumi infernali, i due poeti arrivano nel baratro dove, saliti in groppa a
Gerione, il mostro con la faccia di brava persona, Dante e Virgilio affrontano
volando l’unico tratto aereo dell’inferno. Gerione li deposita sul settimo
cerchio che dista dal precedente 730 e 5/22 miglia, pari ovviamente alla
profondità del baratro. Il cerchio vede raccolte le anime dei fraudolenti, suddivisi
in dieci bolge, ciascuna è ampia 1 e 3/4 miglia, eccetto l’ultima che è solo 1/2 miglio, per un totale di 16 e 1/4 miglia, tutte collegate tra loro da un
ponticello, eccetto la sesta dove il ponticello è andato distrutto durante il
terremoto che ha fatto seguito alla morte di Cristo. Rimane un residuo di 1/4
di miglio prima di scendere nel pozzo dei giganti. Le loro dimensioni sono così
smisurate che non è difficile per i due poeti essere raccolti nelle loro mani,
in particolare in quelle di Anteo ed essere depositati sulla ghiaccia che è
l’ultimo stadio dell’inferno, dove si trovano i traditori. Essa è suddivisa in
quattro parti: Caina (traditori dei parenti), Antenora (traditori della
patria), Tolomea (traditori degli ospiti) e Giudecca (traditori dei
benefattori). La profondità del pozzo dei giganti, pari pure alla differenza di
quota che la separa dell’ottavo cerchio, è 81 e 1/2 miglia. Rimangono a questo
punto per essa 80 miglia di diametro. Sono più che sufficienti a Dante per
vedere il conte Ugolino, l’arcivescovo Ruggieri, Bocca degli Abati, frate Alberico,
per inciampare contro molte teste intirizzite nel ghiaccio, prima di arrivare
all’infernale visione (è proprio il caso di dirlo) di tre uomini, Bruto, Cassio
e Giuda, maciullati nelle fauci di Lucifero. Sotto le tre facce delle ali di
pipistrello in movimento generano un vento freddo che ghiaccia le acque del
fiume Cocito che alimenta la ghiaccia. La prima lezione termina
non prima di aver dato uno sguardo anche alle dimensioni del principe dei
diavoli. A Galileo sono sufficienti due terzine per avere quel minimo indizio
da permettergli di tentare una stima: La faccia sua [di Nembrot, uno dei giganti] mi parea lunga e grossa come la pina di San Pietro a
Roma ed a sua proporzione eran
l’altr’ossa. [If 31, 58-60] Si tratta della pina
bronzea posta un tempo nel mausoleo di Adriano, alta 3.2 m. Visto che è Dante
stesso a dirci nell’ultimo verso della terzina che i giganti sono proporzionati
agli altri uomini, comparando le dimensioni della testa con tutto il corpo e
trovando poi che: Lo ’mperador del doloroso
regno [Lucifero] da mezzo ‘l petto uscia
fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io
mi convegno, che i giganti non fan con
le sue braccia. [If 34, 28-31] Se si suppone che anche
Lucifero sia proporzionato ad un uomo, al pari dei giganti, deve superare 1935
braccia fiorentine. Visto che il braccio fiorentino misura 58,32 cm è ben oltre
1 km! Quanto ecceda questa misura non è dato saperlo ma visto che emerge dal
ghiaccio dal petto in su e che il centro di gravità, nonché centro geometrico
della Terra deve essere compreso tra l’ombelico e i genitali, come si conviene
ad un uomo proporzionato, si ricordi ad esempio l’uomo di Vitruvio, e come si
evince dal seguente passo: Quando noi fummo là dove
la coscia si volge, a punto in sul grosso de l’anche, lo duca, con fatica e con angoscia, volse la testa ov’elli
avea le zanche e aggrappossi al pel com’om che sale, sì che n’inferno i’ credea tornar anche. [If 34, 76-81] allora si può concludere
che non deve superare di molto le dimensioni “minime” richieste per accordarsi
con la profondità della ghiaccia. Galileo butta là la cifra tonda di 2000
braccia. In questo modo il cerchio si chiude ed ha termine la prima lezione. La seconda giornata è un po’ più noiosa perché ritorna nuovamente sulle stesse considerazioni della lezione precedente, ma stavolta prendendo in esame le misure del Velutello che, se prese per buone, alla prova dei fatti, conducono a degli esiti contraddittori o quanto meno incerti. L’unico elemento innovativo, sollevato dal Vellutello, rigin senso orario o antiorario. Galileo liquida subito la questione e concluarda il fatto che i due poeti abbiano viaggiato ude la sua arringa con le seguenti parole, che incoronano il Manetti vincitore della sfida: “Ma perché o procedessero su la destra o su la sinistra [in senso antiorario o orario], non molto importa al principale intendimento nostro, che è stato di dichiarare il sito e figura dell'Inferno di Dante, ed insieme difendere l'ingegnoso Manetti dalle false calunnie ingiustamente sopra tal materia ricevute, e massime perché non lui solo ma tutta la dottissima Academia Fiorentina pungevano, alla quale per molte cagioni obligatissimo mi sento; avendo, per quanto la bassezza del mio ingegno mi concedeva, dimostrato quanto più sottile sia l'invenzione del Manetti, porrò fine al mio ragionamento”. Il discorso si ferma qui.
L’immagine che fa da frontespizio delle varie edizioni della Divina Commedia,
con l’inferno schematizzato da una cavità conica è l’idea che il Manetti aveva
fatto propria, suffragata con le due lezioni da Galileo. In conclusione vogliamo
comunque dare un cenno che, in qualche maniera, riabilita anche il Vellutello.
C’è un elemento che non può essere sfuggito a Dante e che tuttavia nelle
lezioni viene taciuto (d’altra parte a Galileo era stato richiesto di dirimere
la controversia sulle dimensioni dell’inferno ed il suo silenzio in merito è
legittimo). Dal momento in cui Dante e Virgilio si staccano dal pelame
dell’irsuto Lucifero (“conviensi dipartir da tanto male”) a quando escono “per
un pertugio tondo ... a rivedere le stelle”, passano alcune ore, diciamo fra 12
e 24; ci sono problemi di longitudine che Dante tace, visto che a sera siamo
ancora nell’inferno e che, usciti nel purgatorio, è ancora notte (vedono le
stelle, non è ancora cominciato il crepuscolo civile e il viaggio si svolge
intorno all’equinozio). Abbiamo detto che secondo la concezione dantesca il
raggio del mondo doveva essere sui 5560 km. Ciò significa che il viaggio, in
risalita, deve essere stato effettuato, a piedi, fra 230 km/h e 460 km/h.
D’accordo che i due s’incamminano “senza cura aver d’alcun riposo” ma forse le
esigenze scenografiche costringono Dante ad una forzatura del passo un po’
eccessiva, che tuttavia ci sentiamo in dovere di perdonargli quale licenza
poetica. Possiamo immaginare che,
vi fossero stati i presupposti, Galileo non si sarebbe tirato indietro a
valutare l’altezza della montagna del purgatorio o, vista la passione per gli
astri, le dimensioni delle sfere paradisiache, nell’ottica aristotelica di Dante,
verso la quale forse il nostro scienziato nutriva già più che qualche dubbio.
Ma per questo mancarono i presupposti: una diatriba fra eruditi ed un
committente disposto a pagare profumatamente. Siamo comunque sicuri che non
sarebbe sgradito, né tanto meno irriverente nei confronti di Galileo, se
qualcuno volesse imbarcarsi nell’impresa. Prof. Lorenzo Brandi CONSIDERAZIONI FRATERNE
Ultimo aggiornamento Mercoledì 21 Luglio 2021 15:01 | | Stampa | | E-mail
Scegliere di intraprendere un percorso di matrice ermetica comporta una grande responsabilità. Come affermava il maestro kremmerz: "In fondo, Ermes è l'intelletto della forza divinizzante l'uomo. Il poeta nei momenti di estro (istros = furore) – il matematico che risolve problemi arditissimi – il fisico che trova una legge e la prova – un oratore che seduce un'assemblea – un musico che incanta i suoi uditori – sono manifestazioni dell'ermes, intelletto sottile delle più alte pulsazioni ipercerebrali. La filosofia ermetica è la scienza che ricerca
questo dio inafferrabile e lo fissa." Ricercare questo dio di cui parla il Kremmerz é una
pratica che richiede preghiera, meditazione, impegno, costanza, fede e purezza.
Non é altrimenti possibile raggiungere le manifestazioni dell'ermes, quelle
pulsazioni definite "ipercerebrali" che vanno oltre ciò che è
tangibile. Come si può pertanto sostenere di costituire una scuola ermetica
quando al suo interno si praticano azioni immorali volte al solo
soddisfacimento del proprio corpo materiale? Finché suddette pratiche verranno
sostenute da coloro che si definiscono ermetisti, come potranno questi essere
portatori del messaggio di verità e di vita che conduca all'evoluzione umana?
Come può un'azione immorale portare alla divinizzazione dell'uomo? La verità porta con sé chiarezza ed evoluzione. Ci
auguriamo pertanto che dall'apertura del testamento spirituale di Salvatore
Merge scaturisca nuova linfa per tutti coloro che credono che solo la preghiera
e l'amore disinteressato possano condurre l'umanità alla vera luce. Un Fratello di Ermes, discepolo della Scuola del Kremmerz |
LISTA ARTICOLI
- L'INNO ALLA CARITA'
- CHE COSA E’ LA FRATELLANZA TERAPEUTICO MAGICA DI MYRIAM?
- TRATTO DALLA CORRISPONDENZA DELLA NOSTRA SCHOLA
- LA COSCIENZA CHE DIVIENE AMORE DI DIO
- UN OMAGGIO AL MAESTRO GIULIANO KREMMERZ
- LUZ, IL NOCCIOLO DELL'IMMORTALITÀ
- ESEMPI DI PRUDENZA E SAGGEZZA
- LA DIMENSIONE TRASCENDENTE È IL CULTO DIVINO.
- DAL LIBRO I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA DEL FILOSOFO VLADIMIR S. SOLOVIEV
- APPENDICE AL TESTAMENTO SPIRITUALE DI SALVATORE MERGÈ SULL’ "ALCHIMIA MATERIALE"
- PREGHIERA A MARIA
- LE MOTIVAZIONI CHE INDUSSERO GIULIANO KREMMERZ A ESCLUDERE I MASSONI DALLA NASCENTE E FUTURA FR+ TM+ DI MYRIAM.
- GALILEO ALL'INFERNO
- CONSIDERAZIONI FRATERNE
- IL VIAGGIO DI DANTE ALLA LUCE DEI RIMANDI ASTRONOMICI
- UN PENSIERO DI RINGRAZIAMENTO PER IL TESTAMENTO SPIRTUALE DEL M° SALVATORE MERGÉ
- LETTERA DI RINGRAZIAMENTO A FIRMA DI UN FRATELLO DI HERMES
- NOTIZIA STRAORDINARIA !!!
- KHEPRI
- LA PICCOLA CORONCINA PER LA DIVINA PROTEZIONE
- CURIOSITA' ASTRONOMICHE
- IL GENIO
- IL PENSIERO
- E NON CI INDUCA IN TENTAZIONE
- LETTERA A S.S. PAPA FRANCESCO
- MISURARE IL TEMPO IN CHIESA CON IL SOLE
- LETTERA DI RINGRAZIAMENTO E ALCUNE RIFLESSIONI SUL TESTAMENTO SPIRITUALE DI SALVATORE MERGÈ
- IL CUORE
- IL TERZO OCCHIO LA GHIANDOLA PINEALE O EPIFISI
- SIMBOLI DEL CUORE DI CRISTO
- LA BOCCA: LA PORTA DEL TEMPIO
- I MISTERI ISIACI
- ISIDE REGINA
- PREGHIERA A ISIDE
- LA LEGGE DELLE LEGGI
- COMUNICAZIONI
- ALMANACCO 2018
- INNO AL SOLE
- GENIO DI LUNA
- THOTH
- IGNIZIAZIONE: IL VALORE DELLA PURITÀ
- LA TAVOLA ZODIACALE - SECONDA PARTE E FINE
- LA TAVOLA ZODIACALE - PRIMA PARTE
- MACROCOSMO E MICROCOSMO
- SIMBOLISMO DEGLI ANIMALI SACRI DELL'ANTICO EGITTO
- ASTRONOMIA AD OCCHIO NUDO
- KEPLERO IL PREVEGGENTE
- ILLUMINAZIONE ... VENDESI
- IL PROFESSORE DI FILOSOFIA
- RICORDO HIROSHIMA