1) «Tutto ciò che si muove, o Asclepio, non si muove forse in qualcosa e per effetto di qualcosa?». «Certamente». «E non è necessario che ciò in cui tale mobile si muove sia più grande?». «Si che è necessario». «Allora il motore è più potente dell’oggetto mosso?». «Lo è effettivamente». «Ed è necessario che ciò in cui quest’ultimo si muove abbia una natura opposta a quella del mobile?». «Si, eccome».

     2) «E’ grande, dunque, questo cosmo, del quale non esiste un corpo più grande?». «Su questo tutti sono d’accordo». «Ed è compatto? Infatti, è pieno di molti altri corpi grandi, o meglio di tutti i corpi che esistono». «E’ così». «Ma il cosmo è un corpo?». «Si, un corpo». «E si muove?».

     3) «Altroché». «Dunque, quanto deve essere grande il luogo in cui si muove, e di che natura dev’essere? Non dovrà essere di dimensioni molto maggiori, per poterne contenere il movimento continuo, e perché il cosmo in movimento non risulti non risulti compresso dalla ristrettezza, e non finisca per sospendere il suo movimento?». «Sarà una cosa immensa, o Trismegisto».

     4) «E di che natura? Di natura opposta, non è vero, o Asclepio? Ebbene: la natura opposta al corpo è l’incorporeo». «D’accordo». «Il luogo, dunque, è incorporeo. Ma l’incorporeo è o divino o Dio, e con “divino” intendo ora designare non ciò che è generato, ma ciò che è ingenerato».

     5) Nel caso in cui, dunque, sia divino, è caratterizzato da un’essenza; nel caso in cui, invece, sia Dio, risulta anche privo di essenza. Inoltre, esso è intelligibile, nel senso seguente: per noi, Dio è il primo intelligibile, il primo getto di pensiero, mentre non lo è per se stesso. Infatti, l’oggetto intelligibile cade sotto la percezione dell’intelletto; Dio, dunque, non è intelligibile a se stesso, dato che non può essere pensato da se stesso, non differenziandosi dall’oggetto pensato.

     6) Per noi, invece, Dio è altro rispetto a noi stessi: per questo esso è oggetto di pensiero da parte nostra. Ora, se il luogo è intelligibile, non lo è in quanto Dio, bensì in quanto luogo. E se lo è in quanto Dio, non lo è in quanto luogo, bensì come facoltà contenitiva. Tutto ciò che si muove non si muove in qualcosa di mobile, bensì in qualcosa di fermo: e il motore è fermo, poiché è impossibile che si muova insieme come il resto. «Come mai allora, o Trismegisto, le cose quaggiù si muovono insieme a quelle che le muovono? Hai detto, infatti, che le sfere dei pianeti sono mosse dalla sfere delle stelle fisse». «Questo non è, o Asclepio, un movimento comune e condiviso, bensì un movimento opposto; infatti, tali sfere non si muovono in modo simile, bensì in direzione opposta le une all’altra, e tale opposizione necessita di un punto fisso d’appoggio per il movimento».

     7) «Infatti, la resistenza è un arresto del movimento. Dunque, la sfera dei pianeti, muovendosi in senso opposto rispetto a quella delle stelle fisse, † … †. Ed è impossibile che avvenga diversamente. Infatti, queste Orse, che non vedi mai tramontare né sorgere, e che girano sempre intorno allo stesso punto, tu ritieni che si muovano o che stiano ferme?». «Che si muovano, o Trismegisto». «E di quale movimento, o Asclepio?». «Del movimento che consiste nel girare attorno agli stessi centri». «E il movimento circolare è precisamente il movimento attorno allo stesso centro impedisce quello al di sopra dello stesso † … †. E così, il movimento in senso contrario si ferma in un punto stabile, reso fisso dal movimento opposto».

     8) «Ti presenterò un esempio che qui sulla terra è sotto gli occhi di tutti. Considera gli animali mortali, come l’uomo, intendo, mentre nuotano: l’acqua scorre, ma la resistenza dei piedi e delle mani procura all’uomo la stabilità necessaria a non essere trascinato insieme con l’acqua». «L’esempio è chiaro, o Trismegisto».

     «Dunque, ogni movimento si esplica entro un’immobilità e per opera di un’immobilità. Ora, si da il caso che il movimento del cosmo e di ogni vivente materiale non si verifichi grazie a fattori esterni al corpo, bensì grazie a fattori interni che operano verso l’esterno e che sono intelligibili, ossia l’anima o lo spirito, o qualche altra realtà incorporea. Un corpo, infatti, non fa muovere un altro corpo animato, né alcun altro corpo in generale, quand’anche fosse inanimato».

     9) «Come dici, o Trismegisto? Allora non sono corpi quelli che fanno muovere i pezzi di legno, le pietre e tutti quanti gli oggetti inanimati?». «Per nulla, o Asclepio. E’ ciò che si trova all’interno del corpo che muove l’oggetto inanimato, e non il corpo stesso, a muovere entrambi, il corpo di quello che porta e il corpo di quello che è portato. Perciò, un oggetto inanimato non potrà muovere uno inanimato. Vedi dunque che l’anima è appesantita, quando, da sola, deve portare due corpi. E’ chiaro, dunque, che gli oggetti che si muovono si muovono in qualcosa e per effetto di qualcosa».

     10) «E gli oggetti che si muovono devono muoversi nel vuoto?».

«Non dire sciocchezze Asclepio. Neppure uno degli esseri è vuoto, dal punto di vista dell’esistenza: l’essere non potrebbe essere un essere che è, se non fosse pieno dell’esistenza». «Non esistono, dunque, alcuni oggetti vuoti, o Trismegisto, come un’anfora, un orcio e un tino, e altri oggetti simili?». «Ah, che grave errore, o Asclepio! Tu consideri vuote le cose che maggiormente sono piene e colme?».

     11) «Come dici, o Trismegisto?». «L’aria non è un corpo?». «Si». «E questo corpo non passa attraverso tutti gli esseri, e , passandovi attraverso, non li riempie tutti? E un corpo non è costituito della mescolanza dei quattro elementi? Dunque, tutte le cose che tu dici vuote, sono piene di aria: e se sono piene di aria, lo sono anche dei quattro elementi, che sono corporei, e così accade che risulti valido il discorso contrario: quelli che tu dici pieni, sono tutti vuoti d’aria, in quanto essi sono stretti da altri corpi, e non hanno spazio per riceve l’aria. Questi oggetti, dunque, che tu dici esser vuoti, vanno chiamati cavi, e non vuoti; per la loro esistenza, infatti, essi sono pieni di aria e di soffio».

     12) «Questo discorso è inconfutabile, o Trismegisto. Dunque il luogo in cui l’universo si muove, che cosa dovremmo dire che sia?». «Un incorporeo, o Asclepio». «E l’incorporeo che cos’è?». «Un intelletto (Nous) intero, che comprende se stesso per intero, libero da ogni corpo, inerrante, impassibile, intangibile, che rimane stabile esso stesso e in se stesso, che comprende tutte le cose e che conserva tutti gli esseri: sono come suoi raggi il Bene, la Verità, l’archetipo dello spirito, l’archetipo dell’anima». «Dio, allora, che cos’è?». «E’ quello che non consiste in nessuna di queste cose, in quanto è, piuttosto, per essere la causa dell’essere, sia per tutte in generale sia per ciascuno di tutti gli esseri».

     13) «Infatti non ha lasciato nessuno spazio al non essere, e tutte le cose che vengono all’essere derivano da esseri che sono, e non da cose che non sono. Queste ultime, infatti, non hanno una natura tale da poter venire all’essere, bensì tale da non poter divenire alcunché, e, per contro, gli esseri che sono non hanno una natura tale da non poter mai essere».

     14) † «Che cosa intendi dire con l’espressione “Non poter mai essere”?». † «Dio non è Intelletto (Nous) , ma è causa dell’esistenza dell’intelletto, e non è neppure soffio (pneuma), bensì causa dell’esistenza del soffio, né è luce, bensì è causa dell’esistenza della luce. Perciò si deve adorare Dio con questi due appellativi, che si adottano esclusivamente ad esso e a nessun altro. Infatti, nessuno degli altri che sono chiamati dèi, o degli uomini, o dei dèmoni, può essere buono, anche in minima misura, se non Dio stesso. Ed è questo soltanto, e null’altro. Tutti gli altri esseri sono incapaci di contenere la natura del Bene; sono, infatti, corpo e anima, cosicché non hanno luogo capace di contenere il Bene».

     15) La grandezza del Bene, infatti, si estende tanto quanto l’esistenza di tutti gli esseri, sia corporei sia incorporei, sia sensibili sia intelligibili. Questo è il Bene, questo è Dio. Non dire, dunque, «buono» qualcos’altro, poiché commetteresti un’empietà, e non chiamare Dio in alcun  altro modo se non con il solo nome di Bene, poiché anche in questo caso commetteresti un’empietà.

     16) Da tutti, infatti, viene pronunciata la parola «il bene», ma non da tutti viene compreso che cosa mai sia. Perciò, neppure Dio è compreso da tutti, ma, per ignoranza, dicono «buoni» sia gli dèi sia alcuni esseri umani, che invece non possono mai né essere né divenire tali. Infatti, il Bene è inalienabile e inseparabile da Dio, in quanto è Dio stesso. Infatti, tutti gli altri dèi immortali sono onorati con la denominazione di Dio: Dio, invece, è il Bene non per un nome onorifico, ma per natura. Una sola, infatti, è la natura di Dio: il Bene, e una sola è la specie di entrambi, da cui derivano tutte le specie. Infatti, il buono è colui che da tutto senza ricevere nulla. Dio, dunque, da tutto e non riceve nulla: dunque, Dio è il Bene, e il Bene è Dio.

     17) L’altro appellativo di Dio è quello di Padre, in questo caso per la sua caratteristica di creare tutte le cose. E’ tipico di un padre, infatti, il creare. Perciò, la preoccupazione più importante e più pia nella vita è considerata dai saggi la generazione dei bambini, e la sfortuna e l’empietà più grave si ha quando un uomo lascia la vita senza figli: costui deve rendere  conto, dopo la morte, ai dèmoni. E la punizione è questa: l’anima di che è senza figli viene condannata a entrare nel corpo di un essere che non ha natura né di uomo né di donna, il che è maledetto dal Sole. Perciò, o Asclepio, non felicitarti con nessuno che sia senza figli; al contrario, invece, abbi compassione della sua disgrazia, sapendo quale punizione lo attenda. Tanto basti, o Asclepio, come conoscenza preliminare della natura di tutte le cose.

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