Porfirio dice che i presagi nei sogni in parte provengono da noi, in parte dal di fuori. Giamblico dice che essi provengono solo dall'esterno; poiché spesso ci studiamo e cerchiamo di provocare dei presagi, e tuttavia esso non ci è dato e  spesso non è dato a chi lo chiede. Che se l'effetto dei sogni stesse nella nostra natura e nell'arbitrio umano esso ci potrebbe giungere da noi previsto. Invece è mandato dagli dei secondo il loro arbitrio, cioè quando e come vogliono, per una certa loro benevolenza,  mostrarci il futuro. La stessa cosa dice l'inno orfico. Porfirio dice che la causa del vaticinio è una certa passione dell'animo. Giamblico si oppone a ciò dicendo che la passione è per sua natura instabile, disordinata e perturbatrice. Il vaticinio, invece, deve essere stabile ed ordinato. Perciò non può conciliarsi con la passione.

Ugualmente, quando l'anima è prudente e costante ed agisce secondo le sue forze più prestanti, cioè intellettuali e razionali, non prevede gli avvenimenti futuri. In che modo infatti potrebbe conseguire ciò, quando è soggetta ad emozioni disordinate e perturbatrici? Infatti la passione non ha niente che porti alla contemplazione dell'essere e della verità, ma vi porta impedimento. Inoltre se le stesse cose del mondo fossero costituite da passioni, la passione le toccherebbe per una certa somiglianza. Poiché invero sono costituite  di ragioni e di specie e per esse agiscono, certamente qualsiasi previsione è spoglia di ogni passione. Inoltre la passione sente solamente con la presenza. E quando segua anche una profezia, non è da attribuirsi alla passione.

Porfirio dice che la profezia è una passione particolare della fantasia, nata o da nostre elucubrazioni o dall'istinto della nostra natura corporea o sorta in analoghe circostanze, perché anche ai frenetici è dato di profetizzare. Per questo si adoperano i simboli, perché in istato di profezia anche l'immaginazione agisce con veemenza; frattanto i sensi sono occupati e costretti.Così anche le inalazioni di vapore sono usate, sembra, per accendere la fantasia. Così le invocazioni, per eccitare la medesima influenza. Ugualmente non tutti, ma i giovani, che sono più semplici, sono più adatti a ciò.

Giamblico dice che l'insensibilità dei sensi è un segno che l'apparizione non ha niente di umano. I vapori sono usati per favorire la comunione col dio, e non per influenzare l'anima del veggente. Le invocazioni non eccitano in noi pensioeri o passioni corporee. Infatti per noi sconosciute, note solo al dio che è invocato; solo i più semplici sono esposti al dio che viene dal di fuori. Ciò che Porfirio dice, cioè che il vaticinio è una passione della fantasia tale quale capita a temperamenti malinconici e spesso privi di virtù fatidiche, si appoggia sul fatto che il vaticinio inviato per dono divino e la follia eccitata dal dio sono paragonati, in meglio, con l'eccitazione che proviene dalle malattie o dall'ubriachezza che cade più vilmente nel furore; la follia dell'animo provocata dalle nostre passioni piomba l'animo in uno stato umano, ma quella provocata dal dio innalza l'uomo al di sopra della sua umanità e lo congiunge al dio. Quella rende incostanti ed immerge piuttosto nella materia, questa rende costanti e partecipi dell'ordine e scioglie dalla materia.

In nessun modo è possibile dire che l'ispirazione divina è in qualche cosa simile con quella provocata dall'ubriachezza o dall'ira. Infatti queste sono distanti da dio più di quanto si possa pensare; tanto, almeno, quanto dista la pazzia dall'eccitazione divina e non ha con essa niente di simile e comune. L'alienazione è generata da cause corporee, una depravazione dell'animo che proviene dalla debolezza. La salute dell'anima invece, che proviene dal dio, partecipa della pienezza della sua potenza. Quella, quando esercita nell'animo la sua influenza, lo rende perverso e turbolento: questa invece, mentre lo libera dalla sua vita e dalla sua intelligenza, lo mette nella possibilità di usare di una superiore. infine, quanto distano le cose divine dalle infime della natura, tanto sono lontane le loro azioni e gli effetti di quelle naturali. infatti la follia divina non ha niente di simile con quella che sorge per cause umane.

Quando infatti pensi quella, separala completamente da tutti i difetti e gli accidenti di questa. Che anzi, quando mediti una sobrietà ed una vigilanza sacra di origine divina, non volerle paragonare alla sobrietà degli uomini. Ed in entrambi i casi, se hai delle immaginazioni divine, allontana dall'animo qualunque cosa che sia in qualche modo simile a qualche immaginazione che sia suscitata da sentimenti o cause umane. Così non giudicare quell'ambiguo stato d'animo umano che sta fra la sobrietà e la pazzia simile allo stato d'animo sacro, che con solo intuito contempla il dio, né credere che le chiarissime visioni degli dei siano simili alle immaginazioni suscitate da un'anima venefica.  Infatti ciò che immaginiamo quando siamo incantati non ha niente di veritiero nell'azione e nell'essenza,  tranne che le immaginazioni. Infatti il fine di queste pratiche magiche non è di fare semplicemente qualche cosa, ma di eccitare l'apparizione di visioni immaginarie.

Non si deve pensare che il vate divino si imbatta nella verità per caso, come sogliono talvolta i pazzi, e neppure per qualche passione naturale, come anche gli animali sogliono sentire spesso da parti o da forze che cominciano a svolgere qualcosa di venturo nel mondo e che fanno ciò, in certo modo, in cielo prima che in terra. Essi, con questa sensibilità, talora presentono i futuri terremoti della terra o le tempeste, specialmente gli animali che hanno molta sensibilità e  le presentono con acutezza. Infatti il presagio che giunge per caso o da qualche passione, raramente avviene in modo ordinato e continuativo, è invece piuttosto oscuro. Il vaticinio divino, invece, vede l'ordine dell'universo con ragione continuata, ferma e connessa.

Se in noi c'è qualche facoltà innata adatta a prevedere il futuro non è una facoltà profetica; infatti questa facoltà non è sempre, ma solo talvolta veridica e non in tutti, ma solo in alcuni; la profezia invece è sempre ed in tutti veridica. Inoltre la previsione fatta ad arte prende auspici del futuro da segni non del tutto fedeli, perchè non sempre hanno l'evento congiunto a sè, ma la divina previsione vede i fatti e gli effetti delle loro cause con intuizione ferma presente e continuata, connettendo tutti i fattori mutevoli e temporali fra di loro anticipando le cose future, come le presenti.
Qualcuno dice che si può profetizzare il futuro da quattro doni congiunti; cioè da una certa natura dell'uomo e da una certa arte adibita a ciò, da una connessione vicendevole delle cose loro comuni, come se fossero le parti di un medesimo essere animato e da quella disposizione dei corpi per la quale ogni cosa offre all'altra degli indizi; ma in verità, quando gli indizi si percepiscono manifestamente per questi fatti concomitanti, anche questa percezione ha qualcosa di simile al vaticinio, e l'universo ha ovunque le impronte del vaticinio, ma non ovunque esse sono chiare.
Tuttavia, come l'immagine dello stesso bene tra tutti preferisce il dio, così in tutti è qualche immagine del vaticinio. E la specie del vaticinio che è unica, divina, purissima, è da distinguersi dalle immagini cadute in basso perchè generate, e di gran lunga dai vaneggiamenti dei deliranti; questi infatti sono fallaci.

Il vaticinio è da limitarsi ad un'unica ragione, ad un unico ordine, ed a una sola specie divina ed a una sola verità intellegibile e immutabile; al contrario ogni percezione mutevole è da scartarsi come indefinita e per niente conveniente agli dei ed alle cose divine; quando è compiuta da noi qualche opera per noi naturale, certamente sono per noi all'inizio di aiuto le azioni fecondatrici e preparatrici della natura che è causa delle opere di questo genere. Infatti nessuna azione preparatrice o fecondatrice può essere data dalla natura comune ed umana per quel vaticinio che è superiore alla consuetudine ed alla natura umana.

La natura infatti manca di intelligenza e non è la principale autrice di quelle cose che avvengono specialmente fino a quando essa è potente in noi; ma il vaticinio è più che intellettuale e raggiunge le cause degli eventi con un unico e subitaneo impulso abbraccia l'ordine dell'universo e questa opera che è propria del dio che agisce in noi che siamo all'ora privi di una nostra azione. Il presagio, se talvolta accade in noi per istinto naturale, se è compiuto ad arte, può usufruire di una certa preparazione della nostra natura e di una certa attitudine; ma questo presagio è assai angusto ed oscuro, ed assorbe troppo o troppo poco, mentre il vaticinio divino è amplissimo, certo, unico, stabile, cioè possiede tutte le qualità in sommo grado. Perciò non può essere provocato in noi dalla natura.

Porfirio congetturava che una certa predisposizione della nostra natura, sia corporale che animale, possa portare specialmente al vaticinio dal fatto di coloro che chiamavano un uomo al vaticinio, portavano con sé certe pietruzze ed erbe e le legavano in nodi sacri, che poi scioglievano di nuovo; mutavano anche i propositi in quelli che avevano accolto tali cose da questi fatti e rendevano migliori certe situazioni da cattive che erano. 
Ma Giamblico ritorce le osservazioni e gli effetti di questo genere nella congettura che l'ispirazione del vaticinio venga dall'esterno o dall'alto. Tali fatti consentanei ad alcuni numi, quando noi li usiamo per accogliere la loro ispirazione, ci adattano ad essa.
Porfirio dice che non è da disprezzarsi quell'arte che da certi vapori del fuoco, sotto l'influsso favorevole delle stelle, fa apparire nell'aria le immagini degli dei stessi che hanno una certa simile efficacia.
Giamblico dice che questi idoli dipendono dai sacerdoti che hanno visto le vere essenze degli dei e che niente si può trovare in questo fatto di buono e di eccellente, perché si sviluppa dalla materia e dalle forme di essa e dalle forze delle forme di questo genere ed insieme dall'arte umana.
Infatti ciò che è compiuto dall'uomo è peggiore dell'uomo stesso, e ciò che avviene in questo modo, come un immagine ed un'ombra apparente più che esistente, mentre appare, quasi svanisce; e ciò non avviene per un'arte pratica che costruisce le vere essenze, ma piuttosto per una imitatrice che rende le immagini delle essenze.

Similmente il dio artefice del mondo non costruisce ogni cosa con i moti celesti, con una materia particolare e con potenze così divise, ma con le intelligenze e le volontà e le specie immateriali, e con l'anima eterna e supermondana e mondana insieme, compie i mondi. Colui che crea delle immagini di questo genere, si dice che ne compia per mezzo delle stelle, tuttavia in questo modo non agisce per virtù delle stelle stesse, come per caso sembra; infatti innumerevoli sono le forze negli dei celesti e di tutte la più trascurabile è la potenza naturale.
Nella stessa potenza  innata degli dei celesti vi sono delle ragioni femminili, cioè generatrici di forme, ed altre immobili che precedono quelle fecondatrici, cioè coordinatrici delle forme; e l'autorità di entrambe le ragioni precede la generazione dell'universo e dopo di queste vi sono nei corpi celesti delle qualità, delle forze e dei movimenti dai quali, sotto l'influsso delle ragioni, dipendono gli influssi dominanti su tutto l'ordinamento delle cose mondane; e l'ultima potenza dei celesti, come dissi, conduce alla generazione degli esseri terreni.
Molte arti, come la medicina, la ginnastica, l'agricoltura e quante altre sembrano comunicare  nel loro operare con l'operare della natura, usano qualità e forze giunte negli inferiori per l'influsso celeste e così anche nell'immagine che conserva dagli influssi celesti, una certa parte genitrice, per quanto esigua e debole. Infatti non usa gli stessi moti degli dei celesti né delle forze che sono loro insite o di quelle altre forze che naturalmente si effondono intorno ai moti celesti, ma si occupa di altre forze particolari che dalla natura di quelli defluirono in basso, scivolando nell'infimo luogo del mondo. Infatti accolgono la trasposizione continua di quelle potenze che sono insite alle cose particolari.
Quando qualcuno di questo genere fabbrica immagini da molte materie e sotto gli influssi celesti, allora, da una parte, la varietà delle azioni celesti, dall'altra la fusione delle potenze materiali, produce qualcosa d'altro, ma questa azione degenera di gran lunga, non solo dall'opera divina, ma anche dalla forza produttiva naturale. Infatti la natura compie la propria opera sempre su uno stesso tenore e con un'azione semplice. 
Questa costruzione di fantasmi è un'artificiosa mescolanza dell'ultimo deflusso dei celesti e di quelle forze che si muovono nella natura celeste, verso le altre più basse, e poi svaniscono.

L'uomo, poiché è migliore, ed è procreato da esseri migliori, non deve occuparsi di fabbricare fantasmi che non sono animati, ma gonfi soltanto di qualche apparenza di vita. E non sono regolati da un'armonia intima e vera, ma esterna e fallace e di breve durata, né hanno niente di vero e di legittimo, perchè sono costruiti solamente dall'umano artificio. Solo ciò che è semplice ed uniforme nella loro azione e composizione, prevale in essi. Perciò mancano di molte cose, perché sono composti di qualità di gran lunga diverse e contrarie e non hanno alcuna potenza perfetta. Poichè si tratta di un deflusso di questo genere, la moltitudine di esso è presa da molti e si mescola in qualcosa di avventizio, di esiguo e malfermo e questi fantasmi non hanno alcuna stabilità e svaniscono assai più presto di quelli che appaiono negli specchi.

Quando, infatti, si accosta il braciere dal quale esalano i vapori, subito si compongono, e quando il fumo ed il vapore si effondono nell'aria, immediatamente si dissolvono. La costruzione di immagini di questo genere di prodigi è del tutto indegna di un contemplatore della verità. Chi macchina queste cose e pur riconoscendo la loro viltà se ne diletta tuttavia, diventa propenso ad essa; se poi le ritiene degne di culto, come divine, si fa reo nel peccato, di un'azione e parole nefande e nessuna luce illumina la sua anima occupata dai tenebrosi fantasmi degli idoli.

Porfirio dice che i costruttori di idoli nella loro costruzione dicono di osservare il corso dei celesti, per il quale muoversi dei celesti e con esso o con quanto si muove in armonia con essi, provengono i vaticini veri o falsi; così quelli che in questo modo si compiono, o sono veramente significativi ed effettivi, o, al contrario, sono privi di significato ed efficacia. Per quanto gli idoli siano costituiti di materie elette, ed osservando il corso delle stelle, tuttavia questi non hanno niente in se di divino. Infatti le materie che qui si muovono per influsso celeste, sono le ultime generatrici, e ricevono le ultime influenze celesti. I quali fantasmi sono tanto facilmente mutevoli, che al minimo cenno o diventano inerti, o al contrario fatidici, cioè significativi ed effettivi; certamente la loro duttilità passiva tanto facile e mutevole, e veloce, dimostra chiaramente che essi non hanno alcuna potenza divina e nessuna potenza hanno sulle materie che sono gli elementi dei demoni, perché noi stessi siamo formati, nel corpo, come i demoni.

Non si deve pensare che dall'unione degli elementi confluisca una moltitudine o una composizione avente la forza propria dei demoni; infatti il demone stesso semplicemente od uniformemente, stando in se stesso, riunisce in uno solo diversi elementi e da questi genera dei composti ed elargisce spontaneamente quanto serve alla conservazione, quindi non si possono chiamare idoli i demoni. Infatti altro è l'autore degli idoli; e altro è il gran duce dei demoni:  la stessa sostanza dei demoni è diversa dai fantasmi degli idoli, cosa che anche tu, Porfirio, ammetti, come pure che nessun dio o demone può essere trascinato in basso.

Perciò questa costruzione di idoli, quando non subisca l'influenza di alcun dio o demone, non apporta né alcun vaticinio, ne alcuna opera sacra.

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