Dell’antagonismo dello spirito e del corpo

e della sua cura.

 

1.- Il corpo in sé è morto e muto ed è la manifestazione dello spirito che racchiude e che lo impronta. Il corpo visibilmente è ciò che è lo spirito nella sua azione incomprensibile. In esso l’una delle sette forme della Natura domina le altre e ciascuna collabora secondo la sua forza essenziale, materializzandosi nel corpo secondo il suo ordine e in ogni cosa secondo il suo genere. Esso è la manifestazione della saggezza divina nel Verbo pronunciato secondo l’Amore e la Collera.

2.- Ogni cosa possiede, secondo la sua qualità, un’anima che è la semente d’un altro corpo.

Tutto ciò che vive contiene il proprio germe. Dio ha espresso tutte le cose in una forma col suo Verbo. Il pronunciato è una macinatura del pronunciatore e contiene il verbo che è la semente d’una nuova immagine simile alla prima. Entrambi, il pronunciante e il pronunciato, sono attivi.

3.- Il pronunciante è l’eternità ed è il padrone del pronunciato, che è il tempo e l’operaio. Il pronunciante produce la Natura eterna e il pronunciato è la Natura temporale; ciascuno crea nella sua concezione due proprietà, luce e tenebre, in cui risiede l’elemento essenziale, che è uno nel pronunciante e quaternario nel pronunciato.

4.- L’elemento non è in sé stesso né freddo, né caldo, né secco, né umido, ma è una volontà desiderosa in cui la saggezza eterna differenzia i colori secondo la qualità del desiderio. In esso non v’ha numero né fine, ma ve n’ha uno nei quattro elementi, che si sono individualizzati nel momento della pronunciazione e sono divenuti uno stampo del tempo, che forma edifica e distrugge.

5.- L’orologio del tempo consiste di sette forme che emanano uno spirito triplice, cioè vegetativo, sensibile e ragionevole. Il primo si trova nei quattro elementi, il secondo nelle sette forme, il terzo negli astri; ma l’intelletto procede da Dio per l’eterna Natura.

6.- Ogni vita proveniente dal Verbo pronunciato è formata di Sale Solfo e Mercurio, in cui si incontrano le sette proprietà della vita terrena, il precipitato del triplice spirito.

7.- Il Solfo è la madre d’ ogni spiritualità e d’ogni corporeità, il Mercurio ne è il conducente e il Sale è la dimora che Mercurio costruisce nel Solfo.

8.- L’intendimento nasce nell’olio di Solfo in cui gli astri versano i loro desideri, come nella loro essenza. Ne provengono le facoltà sensorie e mentali. Ma la ragione fuor’esce dall’olio elementare nel libero desiderio del Mercurio parlante.

9.- Poiché noi siamo i nemici di noi stessi e da noi stessi ci torturiamo, è dunque necessario a noi miseri figli d’Eva di conoscere la causa della malattia per poter applicare la medicina atta a guarire il nostro egoismo e a darci la pace. Noi spiegheremo donde provengano il bene e il male, donde la doppia volontà verso l’uno e verso l’altro, e come siano reciprocamente l’uno la morte dell’altro.

10.- Se consideriamo la vita mercuriana, ci accorgiamo che consiste nel Solfo, il quale è una fame arida di materia che produce una impressione severa, contenente fuoco ed olio, in cui arde la fiamma della vita. Questa impressione produce il freddo e lo stimolo produce il calore. Ciascuna cosa dunque contiene un fuoco freddo duro e oscuro e un fuoco caldo, che è luminoso. La luce però non potrebbe prodursi se l’olio del Solfo non morisse nell’angoscia bruciante, come una candela accesa.

11.- Il Solfo possiede quindi due morti, da cui si generano due vite. L’impressione attira, imprigiona, indurisce, raffredda, pietrifica e produce una estinzione della essenza imprigionata, quantunque lo spirito non ne sia una morte, ma una vita ignea, pungente, furiosa, ansiosa e fredda che è la vita delle tenebre nata con l’impressione.

12.- D’altra parte da questa stessa angoscia proviene il fuoco caldo, che consuma l’essenza prodotta dalla fredda impressione del desiderio verso la Natura. La lotta tra il caldo e il freddo si perpetua dunque nel fuoco. Il freddo desidera la vita secondo la qualità e ricercandola s’accende; il calore le sottrae la forza e ne consuma l’essenza, ma lo spirito igneo non può sussistere senza alimento, così che deve morire senza posa nell’angoscia. Pur essendo distruttore, esso vive sinché può consumare l’essenza del freddo e la sua ignizione è la più grande apparenza verso l’essere, che traversa da parte a parte l’agonia del fuoco e si dirige verso il Nulla. Ma non può dimorarvi non potendo essere un nulla. Il desiderio dello spirito igneo lo conduce verso la madre sua, il fuoco; ma essendo morto una volta per esso è invulnerabile al caldo e al freddo, così che esce dal fuoco e vi rientra senza tregua. Esso è la vita del fuoco, lo spirito chiamato, a causa della sua forza e secondo il fuoco, vento moderato e aria moderata, fuori del fuoco, a causa della sua dolcezza.

13.- L’olio, col morire nel fuoco e largirgli lo splendore, è la sua vera vita, perché ciò che vive dall’agonia ignea è il desiderio della dolcezza, nato dalla volontà primitiva quando il Nulla eterno s’introduce in un desiderio.

14.- Questo desiderio passa attraverso la doppia morte calda e fredda per ritornare nella libertà, dopo essersi manifestato in qualità di principio, mercé il fuoco nell’impressione severa. Esso non è divenuto né il caldo, né il freddo, ma s’è manifestato a mezzo loro.

15.- Essendosi il desiderio eterno introdotto nella Natura, non può morire né nel freddo, né nel caldo, da cui non procede, ma nel Nulla e dopo avere agonizzato nel fuoco, ridiventa un desiderio e s’imprime, avendo nel fuoco acquistato l’impressione.

16.- Nondimeno non può concepire che un’essenza analoga a sé stesso: acqua, secondo l’impressione tenebrosa; olio, secondo l’impressione ignea; terra, secondo l’impressione fredda, che lo rinserra affatto nella durezza ,mercé il furore.

17.- La bramosia ignea genera perpetuamente codesta acqua codesto olio e codesta aria e li divora, in modo che lo spirito del fuoco assume un’apparenza per mezzo di questi tre prodotti, perché il Nulla non desidera altro che la possanza e lo splendore.

18.- Lo spirito che esce dall’ignizione dell’olio come una luce, dà l’intelletto e la comprensione. Esso proviene dal Nulla, è stato il desiderio verso la Natura, è passato attraverso a tutte le sue proprietà mercé il freddo e il caldo, si è manifestato nella luce dopo aver subìto la morte ignea e risiede ancora nel Nulla.

19.- E’ una pietra di paragone di tutte le qualità, perché tutte lo hanno generato; è come un nulla e tutto possiede; attraversa il caldo e il freddo e non è da essi penetrato. In effetti si constata che la vita creaturale si manifesta nel caldo e nel freddo e nondimeno la vera vita non è né fredda né calda.

20.- Comprendete bene che, secondo l’eternità, tale generazione è spirituale, ma materiale secondo il tempo; né posso dire di Dio ch’Egli consista in tenebre o in fuoco o in aria o in acqua o in terra, ma per suo desiderio Egli s’è concepito dal tempo in un’essenza a cui ha prodigato certe qualità a mezzo del Mercurio pronunciante e del Verbo pronunciato, producendo forme secondo le proprietà del desiderio della Natura eterna o verbo Fiat.

21.- Il Verbo pronunciato, qualità della Natura eterna, è il Solfo e contiene la settemplice ruota della generazione, che nello spirito, concetto primitivo della Natura, è una costellazione, divisa di per sé stessa in sette qualità, poi in quattro elementi.

22.- Questa costellazione, corpo primitivo spirituale in cui tutto è nascosto, è un caos. La ruota settemplice è il primo artifizio del caos, il suo corpo, il suo intelletto; questo corpo, anch’esso spirituale, manifesta il primo. Il terzo corpo è elementare, visibile, percettibile e contiene gli altri due.

23.- Il primo corpo è il Verbo pronunciato del concetto eterno, possiede il suo linguaggio, che è la ruota mercuriana delle sette forme nel Solfo e pronunzia i quattro elementi.

24.- Prima del caos, il desiderio dell’eternità nell’abisso concepisce in sé medesimo la volontà di manifestarsi. E’ Dio. La volontà concepisce un desiderio, il caos, prima costellazione in cui risiede la Natura eterna, che, desiderando a sua volta, si foggia in sette modi e manifesta così la saggezza eterna, nascosta nel caos. L’elemento è concepito dalla bramosia nella ruota mercuriana ed è il corpo spirituale della vita mercuriana.

25.- Tutto ciò è duplice. La bramosia produce per l’impressione in sé stessa le tenebre, in cui si trova la possente forza della combustione della Natura. E’ il dolore. Il desiderio libero produce in sé, per la combustione della bramosia, la luce e il ribollimento. La luce è potenza e splendore e l’elemento è il suo corpo, o essenza spirituale. Così la bramosia ignea è una gioia nella libertà e un tormento nelle tenebre.

26.- L’uomo è stato tratto fuori da tutte queste essenze a immagine di Dio e creato sotto il regime dell’elemento. La ruota mercuriana del solfo, che girava nella luce e nel libero desiderio, volle addentrarsi nei quattro elementi, sin nel centro delle tenebre, là dove hanno origine il caldo e il freddo. In un primo tempo il suo desiderio era rivolto verso la libertà divina nell’elemento ed egli s’abbandonava a Dio, governato dal libero desiderio dell’Amore. Poi ne venne fuori per creare nel centro della Natura una volontà propria, da cui nacque il dolore, calda e fredda, astringente e amara, con tutte le qualità della impressione tenebrosa.

27.- Allora precipitò in un’agonia eterna e fu avvelenato dalla lotta reciproca delle forme di questa ruota mercuriana. Il desiderio libero tacque in lui con l’elemento puro, o corpo divino; i quattro elementi della sofferenza eterna lo abbandonarono; l’immagine di Dio fu maledetta, vale a dire che la volontà d’amore che lo sosteneva si dileguò e l’uomo cadde sotto il peso della Natura e siccome i quattro elementi hanno un principio e una fine temporali, il corpo umano, divenuto terrestre, dové ritornare in essi e corrompervisi.

28.- Vedremo qual ne sia la cura, come liberarlo dalla morte, come ricollocarlo nell’elemento puro e in che modo sia possibile rimettere lo spirito sotto la dipendenza della volontà divina.

29.- Non v’ha miglior mezzo che ritornare in ispirito nella volontà originale, che lo sprigionò in origine dal caos sotto forma d’una immagine di quest’ultimo; far uscire il nostro spirito, insufflato nell’immagine creata dallo spirito divino, dal suo io, dalla sua volontà creaturale; immergersi interamente nella volontà e nella compassione divina, in modo da non vivere e volere più per proprio volere, ma pel volere di Dio, che originalmente già si manifestò creandoci a sua somiglianza. Solo allora l’uomo ritroverà il suo posto primitivo nella prima costellazione, o caos.

30.- L’io lotta contro questo procedimento e non vuole morire alla volontà esteriore degli astri e degli elementi. Per conseguenza bisogna largire un alimento divino alla volontà interiore dello spirito, affinché non desideri più l’esteriore e infranga la volontà dell’Io terrestre, sino a che quest’ultimo si lasci spontaneamente morire col suo corpo. In tal guisa il corpo scomparso, formato dall’elemento puro, ritornerà ad essere la dimora paradisiaca dello spirito, dopo che l’anima vi avrà acceso la fiammella della vera vita secondo lo spirito di Dio.

31.- Se la volontà propria dell’anima potesse far ciò, se potesse far tacere il suo io, morire volontariamente a se stessa e divenire un nulla, la volontà divina che è il desiderio eterno verso il caos animico o Mercurio eterno, animerebbe ancora la sua immagine pura, o vita verginale, e con la grazia gli ridarebbe la corporeità celeste dell’elemento puro per nutrirsene e l’acqua della stessa Tintura della vita eterna per dissetarsene. Con questo scopo la volontà divina prese forma umana e s’offrì a tutti gli uomini. Se l’anima muore nel suo io, se dirige la sua fame verso la misericordia, può gustare di quell’alimento, mercé il quale ritornerà ad essere la creatura dell’Amore.

32.- Consideriamo come viva la povera anima afferrata dai bisogni e dalle preoccupazioni della vanità nella collera di Dio. Il corpo terrestre vive nello stesso penare, sinché l’anima, a mezzo dell’elemento puro, non lo domi, e non ne riduca all’impotenza il regime esteriore astroelementare nella ruota mercuriana avvelenata secondo l’impressione tenebrosa, così che non abbia da opporre resistenza all’Universale. Mentre l’interiore penetra l’esteriore e lo tinge, il corpo deve restare in riposo e sinché non sia trasmutato nell’elemento puro, non può esservi perfezione nei quattro elementi ermetici, per raggiungere la quale occorre che si reintegri in quell’elemento da cui sono derivati i quattro.

33.- Il piano di questi quattro elementi non è che vanità dolorosa; l’anima vi si incapriccia della costellazione esterna, che penetra in essa e vi produce una immagine falsa e la ruota mercuriana avvelenata genera le malattie corporali. L’anima deve guarirsi con la perfezione interiore, che è il Verbo pronunciante mercé cui si adagia in Dio e che solo può tingerla. Il Corpo terrestre va trattato col Mercurio pronunciato.

34.- Siccome il Mercurio esteriore è anche nella maledizione della ruota velenosa, esso deve essere tinto con la sua stessa luce nella sua prima madre,  nel corpo del Solfo. La sua propria fame deve essere annullata, essendo una fame dannosa, e sostituita da una fame amorosa.

35.- Per conoscere come ciò si produca, studiamo il generarsi del Solfo, da cui provengono la gioia e il dolore, perché nulla di più efficace può essere anzitutto opposto al Mercurio velenoso e nessuno meglio della madre sua saprebbe resistergli nel corpo in cui riposa. Come il freddo è vinto dal caldo, che pur è figlio del freddo, così al Mercurio velenoso va opposto il figliolo suo, procreato col caldo e col freddo nel grembo della madre e così pure l’Amore, figlio di Dio, riesce solo a resistere alla Collera divina e rendere misericordioso il Padre. Lo stesso avviene nel Verbo pronunciato o Mercurio.

36.- Certo non è possibile distruggere il veleno freddo del Mercurio con un fuoco ordinario, dovendo la medicina essere della stessa natura del male. E anzitutto essa va sbarazzata dal furore freddo e ammollita nella dolcezza, così da poter saziare la fame della bramosia fredda.

37.- Versando calore infiammato su un freddo infiammato, questo si spaventa ed entra in agonia e in tale dimora della morte il calore diventa una vita velenosa, uno stimolo d’angoscia e la Ruota mercuriana intristisce in un disseccamento, in cui inabissa ogni gioia.

38.- La vita deve conservare i suoi diritti; il caldo e il freddo debbono poter coesistere in una medesima essenza, né alcuno dei due deve irritarsi o indebolirsi, ma entrambi debbono resta uniti in una unica volontà.

39.- Il freddo non chiede caldo, ma il freddo e ogni fame reclama un alimento analogo alla sua natura. Però, se la fame del freddo è eccessivamente imperiosa, non bisogna dargli ancora freddo, ma conviene indebolirla affinché diventi simile alla propria madre, non secondo la sorgente velenosa, ma secondo la gioia. Allora la malattia, o il veleno dell’angoscia, viene cangiata in una gioia simigliante.

40.- E allora la vita riacquista la proprietà primitiva.

La Cura non è ricevuta dal corpo bruto, ma dall’olio suo, bonificato dal principio d’Amore che contiene, vale a dire dall’essenza dolce analoga. Perché le sette forme della Natura diventano una sola nel Centro e per tanto l’olio deve circolare attraverso la ruota, sino a che non entri nel suo più forte desiderio d’Amore. In tal momento la cura è pronta, perché non v’ha cosa così cattiva che non racchiuda in se alcun bene e questo bene resiste al suo male.

41.- E’ quel bene che nella malattia resiste al furore acceso nel corpo. Quando il veleno freddo vi si accentua, il bene cede e resta in attivo sinché nono trova un’essenza simile per riconfortarsi. Il furore si consuma da se, poi cede anch’esso e il corpo muore. Ma se si riesce a stabilire l’equilibrio, il corpo riacquista le forze e la fame morbosa cessa.

42.- Per conseguenza il calore non va trattato col freddo, ma con un altro calore sottratto al furore e ricollocato nella più intensa gioia, affinché questo calore medicinale non operi essenzialmente né nel caldo, né nel freddo, ma nel proprio desiderio d’amore e il calore del cuore s’ha trascinato verso questo stesso desiderio. Ogni corruzione organica proviene dal freddo e quando il Solfo arde troppo, la proprietà del freddo si estingue.

43.- Mercurio è in ogni cosa la vita mobile; la madre sua è il Solfo, in cui risiedono la vita e la morte secondo la rivoluzione della ruota mercuriana. Nel Solfo v’hanno fuoco luce e tenebre; l’impressione dà le tenebre, il freddo, la durezza e la grande angoscia e da essa nasce il Mercurio, che è lo stimolo dell’attrazione propria, la mobilità, l’inquietudine. Ed è un fuoco freddo e oscuro secondo la freddezza dell’impressione, un fuoco consumante secondo il pungolo dell’angoscia, e un dolore caldo e freddo, una esasperazione velenosa di questi due contrari, turbinante come una ruota. Produce nondimeno il movimento e la vita, ma occorre liberarlo dalla angoscia e guidarlo, attraverso alla morte, sino alla gioia.

44.- Ogni malattia è originata dall’avere il Mercurio bruciato troppo, nel freddo o nel caldo, l’essenza o la carne che aveva attratto a lui col suo desiderio nella madre sua, il Solfo. La terrestreità consiste di acqua e di carne. La materia bruta della terra e delle rocce non è che Solfo calcinato e acqua secondo la proprietà mercuriana, in cui il Salnitro è stato bruciato nel fulgore del turbine mercuriano. Tutti i Sali hanno questa provenienza, come pure i cattivi odori e i cattivi sapori.

45.- Se il Mercurio operasse essenzialmente nell’olio solforoso in modo da poter traversare l’impressione della morte mercé il caldo e il freddo, la terra ridiverrebbe un Paradiso e il desiderio di gioia rigoglierebbe attraverso l’angoscia dell’impressione.

46.- Quando Dio maledisse la terra, l’amore la disertò, la ruota mercuriale fu spogliata del bene che conteneva, vale a dire di quel desiderio di amore che nasce dalla libertà eterna, che si manifesta mercé questa ruota nel freddo e nel caldo, che germina col fuoco e produce la luce.

47.- Questo Mercurio maledetto resta in preda all’angoscia del freddo e del caldo nella madre sua solforosa e vi produce, nel ribollimento salnitrico, Sali a sua immagine secondo il modo come vive in ogni luogo e in ogni corpo. Questi Sali sono gli aromi delle sette proprietà.

48.- Se questo Mercurio è troppo acceso nel freddo darà un sale freddo, duro, corrosivo, datore di tenebre melanconie e tristezze nel fuoco vitale, perché in ogni cosa il sale è affatto simile alla vivezza del fuoco e alla proprietà della vita.

49.- Se il Mercurio ha subito un calore eccessivo, consuma il freddo e genera una rabbia e un pizzicore, secondo l’impressione, che scaldano il Solfo e disseccano l’acqua. La fame sua, non trovando più alimento, genera un sale velenoso che fa ammalare il corpo.

50.- Ma se può ricuperare l’identità originaria quale era nel centro della madre sua il Solfo, allorché venne alla luce con le due Tinture maschio e femmina, è liberato da ogni angoscia e ritorna all’armonia del freddo e del caldo. E se è vero che i gemelli sono ostili l’un l’altro sin da entro il ventre materno, nondimeno essi non si combattono che dopo aver ricevuto la vita. All’ aurora la vita è nella sua più alta beatitudine, perché le porte dei tre principi le sono dischiuse egualmente, ma subito dopo si inizia la lotta tra la luce e le tenebre.

51.- Cerchiamo cosa si potrebbe fare al Mercurio della natura allorché, accesso nel freddo o nel caldo, ha originato la malattia. Sarebbe utilissimo possedere il vero rimedio, ma esso resta nascosto a causa della maledizione della terra e dei peccati dell’uomo, suscitati dal veleno nel suo Mercurio interno. I miseri prigionieri hanno nondimeno bisogno di un sollievo e poiché si può toccare il sublime Universale che s’attaccherebbe al centro e ricondurrebbe la ruota della vita nella proprietà primitiva, ci è duopo utilizzare il frutto della fermentazione mercuriana della terra. Il corpo umano è divenuto terrestre; bisogna cercargli una concordanza, un sale simile alla combustione salina che lo infetta. A seconda che il Solfo bruci nel freddo o nel caldo, nella melanconia o nella febbre, ch’esso sia calcinato o corrotto, bisogna scegliere un vegetale o un sale analogo, affinché il freddo o il caldo stranieri che si somministrano al corpo, non si spaventino nel salnitro e, producendo un sale morboso, non rinfocolino la malattia.

52.- Ma non è abbastanza prendere il rimedio allo stato greggio, là dove c’è lo offre il ribollimento terrestre, perché in tal caso non riuscirebbe forse a dominare la radice del Mercurio, anzi potrebbe attizzare vi è più la sua combustione.

53.-Una decomposizione organica richiede per medicamento un Solfo fetido, freddo o caldo. Il grado di accensione o di gelidezza del Mercurio, quello delle sette forme in cui si trova, quello dei sette sali che brucia, indicano il sale analogo da impiegare.

54.- La malattia è una fame che non vuol mangiare che quanto l’è simile. La radice della sua vita è la qualità che riceve nella gioia alla sua creazione e la malattia non ne è che una combustione esagerata che ne ha distrutto l’armonia. Così la radice desidera l’armonia che la combustione le ha fatto perdere e se questa combustione è più forte della Natura, bisogna ammazzarla dandole alcunché di simile.

55.- Ma come Dio ci guarì col suo Amore e ridette la salute alle anime nostre che bruciavano nel Mercurio avvelenato dalla Sua collera, così questo farmaco simigliante deve essere prima purificato, stornato dalla ruota mercuriana e alleviato dal caldo e dal freddo senza esserne separato, cosa che non sarebbe utile. Introdotto in tal modo nella gioia più elevata, determina allora una proprietà analoga nel corpo infermo e nel Mercurio del Solfo e del Sale. La radice della vita vi si riposa, genera il desiderio primitivo e la fame della combustione si placa.

56.- Il medico deve sapere come ricondurre nell’armonia il suo farmaco, senza infondergli una proprietà estranea e ciò rassomiglia a quanto accade nella vita umana. Perché essa ritorni alla condizione primitiva, bisogna conoscere quale si era in origine la madre, posto che nessuna cosa può elevarsi di più del centro occulto da cui fu generata.

57.- Nondimeno è possibile elevarla di più prestandole una nuova qualità; ma in questo caso perde il diritto di natura in cui risiedeva la sua beatitudine e non può operare più nulla di efficace.

58.- Perciò non v’ha nulla di meglio che lasciare le cose nella loro virtù nativa, trasformandone la qualità collerica nella gioia corrispondente. Allora, senz’altra mescolanza, la sua armonia è poderosissima. La radice vitale non ricerca la molteplicità, ma la rassomiglianza, per poter risiedere vivere e ardere nella sua potenza particolare.

59.- L’Onnipossente ha largito a ogni cosa, secondo la sua proprietà, una perfezione fissa, giacché tutto è buono secondo quanto disse Mosè (Genesi, 1, 31). Ma l’effervescenza irosa è sopravvenuta con la maledizione e le qualità sono scomparse nel travaglio del Mercurio. Pure, in ogni pianta, in tutto ciò che può nascere nella fermentazione dei quattro elementi, si cela una parte fissa, perché tutte le cose sono uscite dall’elemento eterno, in cui non v’ha lotta, non caldo, non freddo, ma una proporzione eguale di tutte le proprietà in un concerto d’Amore paradisiaco. Tale era il rigogliare in questo mondo, prima che la terra fosse maledetta.

60.- Le creature racchiudono ancora questo paradiso. Esso può essere dischiuso dall’intelligenza e dall’arte e la virtù primitiva può vincere il male ulteriore. Se gli uomini non si ostinassero a voler essere potenti per virtù propria, la misericordia di Dio discenderebbe in noi, schiudendo ancora la concezione del Paradiso.

61.- Dio ci ha concesso il potere di divenire figli suoi e di governare il mondo. Perché dunque non supereremmo noi la maledizione della terra? Nessuno deve ritenere ciò impossibile. Basta una comprensione divina, che fiorirà nel tempo dei gigli e non in quello di Babele, pel quale del resto non certo scriviamo noi.

 

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