Secondo il nostro modo di intendere, la Notte è figlia primogenita dell’Orco dunque, secondo la sua natura di figlia dell’Orco, è essa stessa uno dei tre principi infigurabili, tuttavia, nella misura in cui essa sussiste nel proprio modo di essere e nella propria natura, che è di genere diverso da quella del padre, sarà considerata la più antica tra gli déi e, per tale ragione, si configura come uno dei principi figurabili. La materia prima, che viene raffigurata attraverso la Notte, porta in se l’impronta di figlia dell’Orco in quanto è affetta dalla privazione, ossia presuppone di essere commista alla privazione; in quanto è sostrato, manifesta invece una indole propria.

     Riportiamo di seguito le trenta condizioni che la caratterizzano come principio infigurato: tra queste

 

     1 – La prima è quella per cui si ritiene che coincida con la vicissitudine e con l’ordine della luce verso la luce: è questa che, allontanandosi e ritornando, indica la presenza delle tenebre e della Notte. Possiamo infatti distinguere il carattere e la natura del luogo contenente della natura dell’ente contenuto perché in un medesimo spazio si succedono reciprocamente diversi enti locati, così come in un medesimo sostrato si succedono qualità diverse, il cui modo di essere, per la stessa ragione, dovrà essere distinto da quello del sostrato: non diversamente, quando vediamo che nature diverse si susseguono secondo un qualche ordine sopra la medesima materia insensibile, allora siamo costretti a distinguerla da ogni altra specie naturale, in quanto sostrato immutabile e permanente.

     2 – La sua esistenza viene compresa individuando il modo in cui si distingue dal luogo e dal vuoto, che non sono parte dei composti naturali, e da tutte le forme artificiali e accidentali, che presuppongono una qualche materia fisica sensibile. L’ombra è invece una sorta di sostrato insensibile: non coincide con nessuna specie naturale, ma viene concepita dalla ragione come sostrato indivisibile e immobile delle specie naturali.

     3 – Da quanto detto nel secondo articolo consegue che possiamo conoscere l’ombra solo distinguendola dalla luce, è invece la luce ad essere conoscibile di per se stessa: non diversamente, la Notte ovvero la materia si lascia conoscere solo osservando il susseguirsi delle forme, che sono figlie della luce, tutto intorno al medesimo principio.

     4 – Dicono che proprio questa sia il sostrato primo, suo padre, la privazione, ovvero l’Orco, non può certo essere un sostrato, né lo è il vuoto, che costituisce, più tosto, il ricettacolo dei sostrati. L’ombra, che colma di se la totalità del Caos ed è pari per estensione all’Orco, è invece il primo principio che accoglie su di se quanto esiste e che, per così dire, acconsente all’unione con l’atto, in quanto può congiungersi alla luce.

     5 – Da quanto detto sopra consegue che l’ombra non va intesa come una sorta di ipotesi, come un mero concetto logico, è invece un qualcosa di sostantissimo, anzi è una natura costantissima e infatti ciò che vediamo permanere in eterno tra le realtà naturali è proprio quel sostrato insensibile intorno al quale si compie la vicissitudine delle forme.

     6 – Si tratta comunque, a nostro giudizio, di un principio tale che di per sé non può essere principio di alcuna azione: e difatti la sua natura non è quella di agire, ma di accogliere su di sé e sostenere il principio agente.

     7 – Per la medesima ragione la supponiamo impassibile: se anche vediamo esplicarsi sul suo dorso il flusso multiforme degli enti generabili e corruttibili, ugualmente dobbiamo intendere che ogni passione inerisce ai composti soggetti alla corruzione, non certo a lei, che sussiste in eterno come loro fondamento. Dal nostro punto di vista, infatti, una cosa è partire, un’altra stare a fondamento: per questo motivo, dunque, la materia prima sta a fondamento senza subire alcuna passione.

     8 – Alcuni la giudichano «non ente»: e tuttavia, dobbiamo considerare che questo accade perché con il titolo di «enti» essi intendono solo i composti e le forme; dunque, se all’estremo opposto definiscono la causa prima superessenza, non essenza e non ente, poiché si pone al di sopra di ogni realtà, dovranno ugualmente considerare la materia non ente, ma al di sotto dell’ente, in quanto principio che tutto sostenta.

     9 – Dicono che dell’ombra non esista alcuna idea, poiché le idee sono senza dubbio degli enti ovvero delle specie. Ma l’ombra, in quanto appartiene alla stirpe del Caos, è informe, così non rimanda ad alcuna idea e, di conseguenza, non ha alcuna statua che la rappresenti: eppure, come abbiamo detto, badiamo bene di non considerarla, semplicemente, «non ente».

     10 – Da questa dipende il primo generarsi delle cose. Per quanto si ritrovino in tutti i composti, il vuoto e l’avidità dell’Orco non sono veramente i principi da cui le cose traggono l’esistenza, ma sono più tosto i principi che accompagnano le cose: non hanno infatti, si è detto in precedenza, natura di parti, ma sono insiti nelle parti, ed abbracciano tutti i composti.

     11 – In questa si compie l’ultima dissoluzione degli enti corruttibili: ogni volta che avviene un passaggio da specie a specie, come quando dal chilo si produce il sangue, la forma propria del chilo viene cacciata via, di modo che la materia, tutta denudata di quella forma, possa accogliere la forma del sangue secondo ogni sua condizione e carattere specifico, e ugualmente nuda, dopo aver completamente espulso anche questa forma e questa essenza, si rivesta poi della forma di embrione. E non è certo vero che, come presumono i filosofi più grossolani, quando dal corpo vivente dell’uomo si produce il cadavere e, di conseguenza, si determina una trasmutazione da specie a specie, tale dissoluzione non si risolve nella materia prima, ma l’essere del cadavere si sussegue sopra l’essenza della materia, mentre permangono inalterate la forma e la quantità che prima caratterizzavano il corpo vivente. All’opposto, noi crediamo che questa mutazione o corruzione, per quanto si compia in un solo istante, nondimeno si risolva nell’ultima e nuda materia, quasi denudata completamente dall’individuo e della configurazione precedente per trasfondersi nella configurazione dell’individuo che immediatamente segue. Il processo di dissoluzione non implica dunque che la materia sussista per un certo tempo del tutto priva di qualsiasi forma: secondo il nostro modo di intendere, coincide invece con l’espulsione completa della forma che presiede alla totalità di un composto e con la recezione della forma che presiede al composto successivo nella sua totalità. E così, dal momento che le forme accidentali sono conseguenti alla forma sostanziale, le dimensioni, le qualità, i colori, le figure e tutte le altre caratteristiche che si riscontrano nel nuovo sostrato differiscono secondo la specie da quelle che erano nel sostrato precedente, per quanto simili potessero apparire.

     12 – La prima cosa che l’ombra recepisce, ovvero che per prima si infonde nell’ombra, è la sostanza, vale a dire la forma sostanziale: al di sopra della materia non si susseguono infatti gli accidenti, ma le forme sostanziali. Sostrati degli accidenti sono infatti i composti, e quelli che sono enti in atto; per questo motivo, appunto, gli accidenti si raccolgono tutto intorno alla materia in modo mediato, in quanto assecondano la condizione e il modo di essere della forma sostanziale. Per il fatto che recepisce la forma sostanziale dell’uomo, la materia recepisce subito, di conseguenza, anche i diversi accidenti dell’uomo, e questo non per una proprietà della materia, ma per la proprietà della forma: ogni serie di accidenti deve così essere ascritta non alla materia, ma al composto. Questo è l’argomento che serve a confermare il precedente articolo, dal momento che, come la forma differisce dalla forma, così anche gli accidenti differiscono dagli accidenti secondo la specie, e dunque è assai meno possibile che convengano secondo il numero.

     13 – Dobbiamo comprendere che l’ombra, presa sia in particolare che in generale, è un qualcosa di infinito. Nella sua essenza assoluta e nuda non esiste infatti forma alcuna, così come non esiste alcuna quantità determinata; e tuttavia, nel momento in cui recepisce una forma determinata, recepisce di conseguenza anche una quantità determinata: alla forma dell’uomo fa infatti seguito nella materia la quantità propria dell’uomo, alla forma del passero la quantità propria del passero. Nessuna forma inerisce all’essenza della materia, e così nessuna quantità determinata: per questa ragione, dunque, la giudichiamo infinita. Qualsiasi forma senza materia è indefinita, così come qualsiasi materia senza forma: materia e forma si definiscono dunque reciprocamente, quando entrano in composizione.

     14 – Nell’ombra è racchiusa la molteplicità, e si intende che l’ombra sia il principio passivo da cui germina la molteplicità: questa tuttavia non si esplica per una proprietà inerente alla materia stessa, che è di per se unica, ma in virtù di un principio efficiente che modella la materia in modi diversi.

     15 – Non ha causa, così come non presuppongono alcuna causa tutte le cose svincolate dall’ombra, in quanto si tratta di enti che esistono di per se stessi. Niente infatti viene prodotto e causato, se non ciò che poteva essere fatto e causato: e questo è tale proprio in virtù della potenza. Ma la potenza assoluta, che non ha più alcuna potenza e di cui non si dà più alcuna potenza, al pari dell’atto assoluto, non ha causa.

     16 – Non ha nome, né dà il suo nome a qualcosa, poiché non è propria di alcun ente, né manifesta alcuna proprietà. A niente dà il suo nome, perché una statua di bronzo non si chiama certo bronzo, concorre tuttavia non tanto a denominare, quanto più tosto a definire le statue di questo genere (una statua non si definisce infatti «bronzo», ma «bronzea»); e non ha neppure un nome, in quanto non ha alcuna forma specifica.

     17 – E’ senza dubbio parte del composto, ma non è né un composto, né una parte dell’essenza. E’ infatti il principio che necessariamente costituisce gli enti naturali, senza trovare spazio, tuttavia, nella loro definizione, la materia non è infatti carattere peculiare dei singoli enti, a meno che non si tratti si definire gli enti naturali, in quanto sono enti naturali e costituiscono un genere determinato.

     18 – Sostiene Aristotele che il principio su cui si fonda di trasmutare della materia non dipende tanto da una natura capace di intendere, quanto più tosto da un principio intrinseco: ma con ogni probabilità si riferiva, come è necessario si riferisse, al principio passivo del mutamento, non certo a quello attivo.

     19 – Inseparabile dalla composizione, ovvero dalla luce, secondo la sua sussistenza in atto, può essere distinta solo attraverso la ragione, secondo il modo in cui di per se stessa non sussiste propriamente in atto, ma ha una propria essenza e un proprio essere. E dunque, come si è detto sopra, in essa si risolve l’estrema dissoluzione di ciascun composto, poiché nel composto che segue al corrompersi di un altro la forma ovvero la specie che sussisteva in precedenza non lascia niente di se nella forma successiva, e solo la materia permane.

     20 – Si dice che non rientri nella categoria della quiddità, della qualità o della quantità, ma che sia tutto impotenza, poiché, abbiamo detto, non è un ente, ma è sottesa all’ente, ed è base e fondamento dell’ente. Non rientra nella categoria della quiddità, poiché questa esprime la forma, ovvero la luce; non coincide con la quantità o con la qualità, poiché è anzi il sostrato che recepisce quantità e qualità mediante la forma sostanziale, che per prima accoglie su di se. Se dunque non è lecito definirla qualità, quantità o quiddità e, d’altra parte, non possiamo certo definirla non entità, dovremmo allora definirla idità.

     21 – Non possiamo definirla una realtà perfetta, e nemmeno imperfetta, poiché niente può, o deve, esser apposto alla sua essenza o al suo essere. Non è, del resto, perfetta, perché non è prodotta: dunque, quando si dice che viene portata a perfezione, ciò avviene solo accidentalmente, in quanto da essa, per l’incontro con la luce, si produce un ente perfettamente compiuto.

     22 – La dicono una per numero, non perché abbia una forma unica o una sola essenza particolare, in tal caso, infatti, avrebbe anche un atto, ma perché non mette alcuna differenza di forma; viene dunque definita unica in senso privativo, perché di per sé stessa non ha alcuna unità formale, non certo in senso formale e determinativo: è unica, voglio dire, perché si pone al di sopra di ogni numero, e non perché abbia contratto in sé qualcosa dell’unità.

     23 – Nessuna natura le è propria, e dicono non abbia alcuna natura: essa stessa è la natura, ovvero una configurazione della natura, distinta dall’altra configurazione della natura, ovvero dall’altra natura, che coincide con la luce, e dalla cui unione germinano gli enti naturali.

     24 – Unendosi l’una con l’altra, materia e luce non si rendono reciprocamente perfette, ma producono enti perfettamente compiuti; non si mutano reciprocamente (la luce permane infatti nella sua essenza, come la Notte immutabilmente persiste nella sua essenza), sebbene tutto quanto germina da esse sia massimamente incostante e mutevole; dunque, come non è possibile bagnarsi due volte (anzi, dicono alcuni, nemmeno una volta sola) nel medesimo fiume, ugualmente non è possibile nominare due volte allo stesso modo il medesimo composto (anzi, nel momento stesso in cui lo si individua con un nome, esso già si fa altro): ma nello scorrere del tempo niente è più immutabile della Notte, ovvero delle tenebre, e della luce.

     25 – In questa unione, movimento e compenetrazione non sono propri delle tenebre, cui non possiamo attribuire alcuna cognizione o movimento, ma è la luce che si accosta a una materia immobile e del tutto ottusa, per poi ritirarsi immutata, integra, inalterata.

     26 – Può forse accadere che la luce sia separata dalle tenebre (se mai è possibile che l’una sia separata dall’altra): ma per nessuna ragione possiamo ammettere che l’ombra ovvero la Notte, sia separata dalle tenebre. Se qualche privilegio e maestà può mai essere attribuito a l’una rispetto all’altra, questo spetta certamente alla luce; e dunque, se mai è possibile che l’una sia superata dall’altra, sono le tenebre a dover essere superate e contenute dalla luce, più tosto che la luce dalle tenebre, secondo quelle parole senza dubbio divine, chiunque sia stato a pronunciarle: «la luce risplendeva nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta».

     27 – La dipingono brutta e qualcosa di brutto viene definita anche la materia, perché ha come compagna la privazione, ovvero ha come padre l’Orco: la definiscono brutta, voglio dire, per la stirpe cui appartiene. Di per se stessa, infatti, non è né brutta, né bella, ma è più tosto il sostrato su cui si esplica la bellezza. La definiamo dunque informe in se stessa, poiché non ha forma; la definiamo invece deforme in relazione all’Orco, che non tanto avverte, quanto più tosto genera il desiderio della forma.

     28 – Non assorbe niente che possa trasmutarsi nella sua sostanza, né è suscettibile di aumento o decremento: e difatti non può sopraggiungere niente che le sia proprio, niente che possa appropriarsi a lei.

     29 – E’ definita, formata, determinata mediante la luce, e questo non in modo assoluto, ma rispetto a questa o quella configurazione. Come infatti il Caos è un unico infinito continuo, sebbene ovunque pieno secondo modi diversi, e contiene quanto non ha unità né continuità, così è anche l’Orco, così è anche l’ombra: uguaglia dunque l’infinità dell’universo e si estende per tutta la sua ampiezza. Per quanto sia meno sensibile a mano a mano che ascende verso la regione della luce e sia massimamente sensibile, invece, quando è nel grado più basso della natura, così si comporta del resto la luce, sia pur procedendo in senso contrario, non è assente, tuttavia, da alcun luogo, poiché niente esiste se non perché ha potenza di esistere, perché è possibile, tranne la stessa assoluta e inaccessibile luce, che sussiste ovunque tutta, fuori e sopra ogni intelletto e senso, e cui le tenebre non possono opporsi né resistere, perché essa è invece assolutamente libera da ogni contrarietà e contraddizione.

     30 – Dicono i platonici che se commisurate a quella stessa luce che è fonte di ogni splendore e che genera quasi dal nulla la luce, tenebra e luce, per quanto divise da contrasto e opposizione, si rivelano subcontrari e non contrari, ovvero risultano contrari in apparenza, e non secondo verità: sono infatti contrari solo gli enti che sono partecipi del medesimo genere.

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