Non esiste la statua del Padre, ma ne è modello la luce infinita, in cui si incontrano in tre, per essere da ogni parte e dovunque sole, raggio e fulgore, affinché non ci sia distinzione, ma unità e identità dei tre, come se nello stesso soggetto si desse fonte, fiume e mare, con la stessa quantità e la stessa forma, perché è fonte in cui il fiume sbocca, è fiume identico alla fonte, è fiume e fonte identico al  mare e al lago, e così da ogni parte ciò che vedi e qualunque cosa vedi in esso appare ed è fiume per essere fonte e mare, ciò che appare mare è fiume e fonte, ciò che appare fonte è mare e fiume. Spieghiamo questo modello con trenta condizioni o descrizioni.

1. C’è una sfera infinita dappertutto uguale che non è detta sfera perché ha gli estremi equidistanti dal centro, donde seguirebbe che è finita, come insegnò Aristotele, ma è capita per analogia: invero dista ugualmente da ogni termine, perché ne dista infinitamente. È detta sfera per l’equidistanza dal mezzo, non perché ha un solo centro e oltre a quel punto non c’è centro, ma è sfera infinita in cui qualunque punto è centro, come nello spazio infinito, e possiamo dire che nulla e tutto è centro. Così si parla di sfera il cui centro è dappertutto, come nel predetto Anfitrite il fiume e la fonte sono dovunque, e così è detto anche dappertutto uguale a differenza della sfera finita che ha l’uguaglianza solo in un atomo non dappertutto nella totalità. Né occorre credere assurda la definizione di Parmenide e degli altri e il nome di sfera attribuito all’infinito, infatti come definendola dagli aspetti intimi diciamo che la sfera è “il corpo in cui lunghezza, larghezza e profondità sono identici” così pure definiremo l’infinito e conseguentemente gli daremo nome poiché non ne possiede altro. A differenza della sfera finita si aggiunge “da ogni parte uguale” e “il cui centro è dovunque” Quale definizione si può coniare più eccellente di questa? Se Aristotele l’avesse concepita si sarebbe risparmiato le critiche.

2. Ente significa qualcosa che può essere in atto, come è manifesto nella fonte predetta, che può essere fiume o è fiume ad un tempo e sempre e v’è potenza trina e atto triplice.

3. Di conseguenza è sfera infinita, nella quale è identico il centro, il diametro, la circonferenza e la pienezza delle dimensioni. Il centro potendo essere linea è già linea, potendo la linea essere superficie, è superficie, potendo la superficie essere corpo, è corpo. Così è identico il centro, il corpo e la linea.

4. Vi è identico l’ente e l’essenza, come ciò che è e da cui è, che in tutti gli altri a parte lui sono distinti, e così l’uno è sostanza semplicissima, e salvo lui tutti sono composti benché incorporei, perché in essi l’essere è distinto dall’essenza.

5. Come in sé stesso è identico dappertutto, così negli altri, dei quali nessuno gli è esterno, è capito come essenza dell’essenza, anima dell’anima, natura della natura.

6. E’ sopra tutte le cose, fra tutte le cose, in ogni cosa.

7. E’ umiltà assoluta, con cui sono uno tutte le cose che sono uno, infatti tutte le cose per l’unità sono uno, come per bontà sono buone, e come ciò che non è uno è niente, ciò che non è identico non è nulla.

8. E’ universalmente sciolto da ogni contrarietà e opposizione, poiché non si possono verificare né in esso né da esso. Precisamente l’ente che è più generale per sostanza e per accidente per contraddittorio ha il non ente, e gli sono contrari enti o qualità degli enti, ma il non ente non si oppone alla pienezza assoluta.

9.E’ il centro di tutte le nature, come essenza delle essenze, quiddità delle quiddità.

10. Per sé, da sé, in sé beatissimo, cui non si può aggiungere né sottrarre nulla di esterno e altro. Tuttavia non concludiamo col profano “né i meriti nostri li allettano né l’ira li muove a punirci”, dico profano, se si deve capire per ira e diletto non quella veramente attiva ma la passiva.

11. E’ principio, mezzo e fine indivisibile, come identico fonte fiume ed oceano.

12. E’ più intrinseco delle sostanze delle cose e più intimo in tutti e in ciascuno, di quanto tutti e ciascuno possano essere in sé medesimi.

13. Qualunque cosa sia in esso è esso stesso, come la folgore è la stessa luce, il raggio è il sole stesso (appunto in questo stanno ragioni diverse dalla formazione del nostro intelletto); e come tutte le cose che sono in verità sono verità e qualsiasi cosa è nella luce è luce, così esso stesso è e in esso non c’è altro.

14. E’ colui che è, infatti oltre a lui nulla è. Le restanti cose piuttosto esistono, quasi consistono in altro, sussistono, quasi sono sotto altro, ineriscono e insistono come accidenti.

15. E’ qualunque cosa ha, se ha sapienza, giustizia, grandezza, bontà, è bontà, grandezza ecc.

16. Vi è identico essere, potere e operare (in tutti gli altri sono distinti secondo natura), per questo non può fare se non ciò che fa, né volere se non ciò che vuole. Con lui tuttavia c’è una necessità così assoluta, che anche assoluta libertà. Infatti necessità e volontà come anche tutti i restanti predicati vi sono identici, né può volere se non ciò che vuole, né può voler potere se non ciò che può.

17. E’ confine infinito, infatti finisce ogni cosa, ma nulla esiste da cui sia finito esso stesso, e così è al contempo libertà assoluta e assoluta necessità, luce immensa e Dio nascosto, chiarezza infinita e abisso profondo.

18. Non ha nome, invero i nomi sono posti per distinguere, definire e separare, mentre in quello non esiste distinzione, né definizione, e non si differenzia da nulla, essendo sopra ogni differenza, alterità, diversità, moltitudine e definibilità.

19. Chi definisce o tenta una definizione deve rifiutare gli attributi concepiti con l’intelletto.

20. Come il numero al di qua dell’unità non è nulla, così la moltitudine e la totalità degli enti al di qua di quest’unità e verità non è nulla, anche se separata da essa è il tutto.

21. Bisogna capire l’uno così da concepirlo sciolto da ogni singolarità e universalità, infatti non è né singolare e individuo, né universale. Non singolare perché non rientra in nessuna specie, genere o alcun motivo, non è universale perché non è comunicabile per natura ai molti.

22. L’intelletto viene trovato da chi si eleva al di sopra della realtà fisica, per abbandonare tutto, lungo l’interminabile ascesa verso l’infinito, solo dirigendovisi, senza mai raggiungerlo. Infatti si dice che solo il primo intelletto lo sfiora, essendo infinito non viene eguagliato da nessun infinito a parte se stesso.

23. E’ detto il reale in tutti, per cui, poiché è tutto e dappertutto presente, disse Anassagora “Ogni cosa è in tutte le cose” perché chi è tutte le cose è in tutte le cose.

24. E’ detto base della luce, perché due sono le estremità della scala sopra e sotto la natura, il vuoto nell’infinito e la pienezza nell’eccelso, secondo quel detto cabalistico: “vidi una scala …”.

25. Lo si dice il massimo, dunque la massimità o eminenza stessa, perché supera ogni grandezza, e termina ogni grandezza finita a distanza infinita da sé. Invece non è detto massimo in rapporto ai mali: infatti i mali sono nel genere del difetto e tendono verso il minimo.

26. La natura può essere sfiorata dalla nostra intelligenza finita come in uno specchio, benché quasi credendo alla caverna di Platone non sia lecito ficcarci direttamente lo sguardo, ma si deve guardare indietro al fondo della caverna, non la luce, ma l’orma della luce, non le specie e le idee ma le ombre della specie e delle idee, dove lo specchio consta d’un corpo diafano nel quale non si vorrebbe un’immagine se non terminasse con l’opacità dell’ombra. Così non ne contempliamo il volto se non nelle orme e negli effetti che sono intorno alla materia.

27. Si dice che veniamo beatificati dalla sua visione, perché chi lo vede, vede il reale (a parte comunque lo specchio e la similitudine enigmatica). Chi vede così ogni cosa, tutto possiede, di nulla manca, sicché Aristotele ne chiama l’azione e evidenza vita sempiterna.

28. Esiste prima d’ogni differenza, contrarietà, convenienza, che ne derivano formalmente e fondamentalmente.

29. E’ il principio tricausale del reale, è infatti la forma di tutti, l’efficiente di tutti, il fine di tutti, forma delle forme, efficiente degli efficienti, fine infinito.

30. Va da fine a fine per essere sopra ogni cosa non esclusivamente fra tutti non soggettivamente, in tutti non inclusivamente.

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