La matematica reca ugualmente un gran beneficio all’opera dell’animo, e su questo concordato tutti i sapienti: le realtà visibili infatti sono immagine delle invisibili. Come in uno specchio infatti gli enti che esistono nel mondo intellegibile si fanno presenti nel mondo sensibile. Qui sono nel moto e nella verità, lì invece consistono secondo una ragione stabile e perpetua. Insegniamoci a fare astrazione dalla materia, dal moto e dal tempo la matematica ci rende dunque capaci di intendere e contemplare le specie intelligibili. Per questo motivo dunque Pitagora, Platone e tutti i sapienti che hanno tentato di comunicarci concetti profondi e difficili non si sono serviti di altri mezzi se non dei concetti matematici. E il nemico stesso dei matematici, quell’Aristotele che più si attiene ai princìpi della logica – e che è più bravo a criticare che argomentare –, quando si sforzava di illustrare i più profondi processi della natura, quante volte non si è trovato nella necessità di ricorrere a quei concetti matematici che aveva ripudiato?

     Attraverso i numeri, che per Platone sono oscure realtà intelligibili, certo si dischiude per noi il cammino dalle immagini dei corpi e dalle ombre, che sono oscure realtà sensibili, alle idee, che sempre Platone definisce limpide realtà intelligibili. Per non dire poi che tra enti matematici e fisici si chiude uno spazio riservato ai flussi di certi corpi naturali, flussi che conservano un carattere integro verso una determinata interruzione e dei quali erano soliti servirsi i magi per uccidere qualcuno. Questo è stato creduto da Eraclito ed Epicuro, confermato da Sinesio e Proclo; noi non ne siamo affatto all’oscuro e i negromanti lo sanno benissimo per esperienza. 

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