Che dire della magia, la quale insieme alla matematica, ugualmente intermedia, si pone in una posizione di equidistanza rispetto ai due estremi delle realtà fisiche e delle metafisiche? Questa infatti è di due generi: una che attraverso la credulità della fede o attraverso altre specie poco lodevoli di contrazione mortifica il senso finché la natura ad esso propria non viene totalmente assorbita ad opera di un principio estrinseco, per trasformare la natura migliore nell’immagine di qualche realtà deteriore – e questa di solito viene praticata dai maghi sacrileghi, i quali fanno in modo che un uomo o un altro essere animato si spinga ad una sorta di vincolo con gli spiriti capaci di esercitare influenze e dopo aver portato a compimento le unioni o con la loro potenza o addirittura con la loro sostanza, riescono a compiere operazioni mirabili nei corpi, negli affetti, nelle arti, nelle parti e nelle regioni del mondo, procedendo in modo reale o apparente per via di alterazione, commozione, trasformazione, occultamento, manifestazione, legame, liberazione, avvicinamento o allontanamento –; una seconda che procedendo invece attraverso una fede regolata e altre lodevoli specie di contrazione è tanto lontana dal proporsi di perturbare i sensi che al contrario sostiene lo zoppo, corregge l’errante, rafforza il debole e conferisce acume all’ottuso.

     Sapendo che per virtù del grande demone – l’amore – l’anima si congiunge al corpo attraverso lo spirito e attraverso l’anima si congiunge allo spirito una forza più separata e divina e che tutti gli enti dell’universo sono connessi e concatenati a tutti gli altri enti attraverso un numero più o meno grandi di realtà intermedie, e non essendo ugualmente occulto come l’anima sia duplice – da un lato l’anima superiore e più intellettuale, che riproduce in se il bello; dall’altro l’inferiore che riproduce il bello in una diversa realtà – e come la prima risalga alla Venere superiore, la seconda alla Venere inferiore e volgare, e come questa sia madre di due Cupidi, in ciascuno dei quali riposa la natura del senso, che di per sé si definisce vita, sarà allora possibile contemplarlo in tutti gli enti naturali:  da questo senso discende infatti l’appetito che è insito nelle parti dei corpi e nelle principali membra del mondo, ovvero nei grandi animali e dèi, e che indirizza le une a portarsi nel proprio luogo naturale, e spinge le altre a percorrere circoli vitali. Se infatti tutte queste cose fossero prive di perfetta capacità di sentire, mai potrebbero indirizzarsi alla regione adatta o riposare in essa. Per questo bene dissero – anche se non tutti lo intesero come conviene – che l’opera della natura è opera dell’intelligenza.

     La magia naturale ha in comune con la magia superstiziosa e teurgica il principio secondo cui tutte le cose per un intimo impulso fuggono il male e ricercano il bene in ragione delle loro forze e mentre certe cose si muovono spontaneamente, altre sono mosse da altro; certe cose si muovono sotto la spinta di un principio intrinseco – il quale è sempre bisognoso o connaturato a quanto avverte il bisogno di qualcosa –, certe invece sono mosse da un principio estrinseco – e sono gli enti di cui certi altri avvertono il bisogno –; alcune infine si muovono di moto naturale, altre di moto violento, altre si lasciano muovere senza opporre resistenza. Considerando su questa base simpatia e antipatia e valutandone la forza reciproca, mediante l’applicazione di princìpi a princìpi, di realtà attive a realtà passive, la magia si farà emula e socia della onnipotente natura e sotto un certo aspetto potrà addirittura governarla e dirigerla a quanto le è utile.  

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