Bisogna ancora parlare dei quattro oggetti: il lume, il colore, la figura, la forma; questi, a loro volta, si dovranno assumere secondo una sorta di analogia desunta dai quattro gradi del considerare: in modo metafisico, fisico, razionale, morale.

 

IL LUME

 

     Concepisci dunque il lume al modo dei platonici, come fuoco e forma del cielo, immagine della vita del cielo – in modo da intendere che l’elemento intellettuale presente nella vita del cielo sia la luminosità del corpo celeste, allo stesso modo in cui ciò che nella mente è contenuto astratto e nella voce orazione o parola, acceso da Dio nel sole, nel quale sussistono altre qualità, di cui le principali sono un temperato calore vitale, un’azione motrice e formatrice di tutte le specie. È un lume più intimo, in virtù del quale il sole di per se stesso risplende, e dal cui genere si ritiene differente il lume che da lì emana per tutte le cose come immagine del sole. Procediamo dunque da questo lume, che è acceso presso di noi, al lume effuso che accende; da questo a quello da cui è effuso corporalmente, e ancora al lume intimo che è principio dell’effusione; da questo infine, il quale che è divisibile nel corpo divisibile, a quello semplicissimo e indivisibile, allo stesso modo in cui dalla voce scritta e impressa su un sostrato materiale secondo i caratteri appropriati si risale alla voce udita, ovvero diffusa attraverso l’aria, da questa alla voce proferita, quindi agli organi del parlare che ne sono principio, e infine alla forza semplice e alla facoltà indivisibile al cui impero sottostanno gli organi vocali. Che quel lume primo e iniziale procedesse, per natura, se non perdurata, il sole lo intesero Orfeo e gli Egizi, i cui misteri trovarono forse prosecuzione nelle parabole di Mosè. Per questo motivo, gli antichi Caldei, tutti gli Egizi, i Pitagorici, i Platonici e tutti gli altri ottimi contemplatori della natura adoravano con grandissimo fervore questo sole, che Platone chiamò figlio visibile e immagine del Dio sommo, al cui sorgere Pitagora cantava inni al suono della lira e al cui tramontare Socrate fu rapito in estasi mentre lo salutava, prediligendolo tra tutte le altre stelle che hanno vista e udito, non sono prive di memoria ed esaudiscono le preghiere.

Né bisogna condannarli come idolatri, poiché volgendo gli occhi alle immagini viventi e alle più eccellenti tracce corporee della divinità, come procedendo attraverso un culto esteriore, che Dio sembra esigere anche da noi, con maggior forza si concentravano in una religione dell’animo interiore e più ardente. E noi che conoscendo siamo quasi condotti per mano dalle cose sensibili verso le intelligibili, con un simile itinerario, in quanto consistiamo di due nature, attraverso le realtà corporee siamo divinamente affetti dalle incorporee. Data dunque la perfetta consonanza tra corpo e animo, senso e intelletto, è dato che entrambe le facoltà aspirano a raggiungere l’una attraverso l’altra le cose divine, con duplice culto dobbiamo volgersi tanto ai templi e ai santuari, quanto a coloro che in essi mostrano di abitare: questo proclama ovunque la natura, la quale anche attraverso le stelle che si rivolgono all’unica fonte di luce ci insegna a riconoscere un unico principe, padre e Dio sopra tutti gli innumerevoli dèi che reggono il mondo.

 

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