Perché non potrei dire che vuoto,
luogo, spazio e pieno sono una medesima cosa?non siamo infatti d’accordo con
coloro i quali, per il fatto che l’aria è qualcosa, sostengono che si dà il
vuoto.
ORA VE LO SPIEGO
Noi non poniamo
uno spazio vuoto come ciò in cui nulla sia in atto, bensì uno spazio in cui
siano necessariamente contenuti ora uno, ora un altro corpo, e che è destinato
ad essere riempito in primo luogo dall’aria.
Per noi, infatti, l’ente è infinito
e non vi è nullo in cui non sia qualcosa.
Di qui il vuoto
è definito da noi spazio o termine in cui sono i corpi; per niente affatto ‘
ciò in cui non è nulla’. Invero, quando definiamo il vuoto un luogo senza
corpo, non lo separiamo realmente dai corpi, ma logicamente. Così, quando
diciamo che il colore della mela è quella qualità visibile nella mela, oltre al
corporeo, al tangibile, al gustabile, all’odorabile e a qualsiasi altro
accidente, non solo parliamo rettamente, ma definiamo anche secondo verità il
coloro, a prescindere dal sostrato e dai concomitanti accidenti; e non diciamo
il falso neanche se affermiamo che il colore è senza il sostrato sostanziale,
senza il sapore e le altre cose. Dicendo, analogamente, che il vuoto è uno
spazio senza corpo, cioè quello spazio contenente al di là del corpo contenuto,
non ne segue, certo, che la voce e il punto siano la stessa cosa del
vuoto, perché quelli non sono spazi, in
cui possa essere qualche corpo.
Aristotele non
può certo negare che sia un unico e medesimo spazio, quello in cui era l’acqua
e ora è il cubo. Cosa sarà quello quando né l’aria né il cubo vi siano? In che
modo sarà definito? In che modo sarà chiamato? Perché non si dirà vuoto? Se
esso non fosse, il corpo non avrebbe certamente dove poter succedere al posto
di un altro corpo, né avrebbe il luogo da cui allontanarsi per cedere il suo
posto ad un altro corpo. Nulla infatti si muove verso dove è qualcos’altro, ma
verso quel luogo dal quale qualcos’altro recede, poiché il cubo immerso
nell’acqua non è nello spazio in cui è, ma in cui era l’acqua e dove non è
nulla; se però vi fosse qualcos’altro, lo stesso cubo non potrebbe esservi.
Perciò, qualsiasi cosa si muova, per dove mai si muove, se non per il vuoto,
come traverso uno spazio in cui non è nient’altro? Non intendiamo, di sicuro,
che si muova attraverso un vuoto o che sia in un vuoto in cui non è nulla e
nulla si muove, perfino esso stesso che lì si muove ed è.
Anche dove
avvengono la condensazione e la rarefazione, così come dove avviene il
movimento, occorre che in uno stesso luogo la parte ceda alla parte e,
conseguentemente, un corpo sia spinto via da un altro corpo. Ciò non sarebbe
possibile se non vi fosse uno spazio distinto dai corpi che riceva, in
successione, l’uno e l’altro corpo. Nello spazio in cui, invece, sembra che non
vi sia nulla, vi è senz’altro l’aria, ma tra l’aria e il corpo sensibile
diciamo che non si interpone nulla, sebbene è necessario concepire
matematicamente sempre qualcosa tra due superfici di corpi diversi. E se vorrai nominare in
modo appropriato questo intermediario, senza dubbio non potrai chiamarlo in
altro modo che vuoto o luogo, ma secondo un’eccezione diversa, perché esso non
è spazio, ma termine dello spazio. Sia esso anche realmente dove non è nessun
corpo, tuttavia non come spazio, bensì come estremità dello spazio, che, se è
lecito chiamare vuoto, lo si deve intendere come un vuoto che separa i corpi,
contiguo al luogo, allo spazio e al corpo collocato. Diciamo inoltre che,
quando l’acqua si muta in aria, il sostrato materiale esige uno spazio
maggiore; minore, invece, quando l’aria si trasforma in acqua. Non per questo
succede che, talvolta, da qualche parte, il vuoto sia senza il corpo, perché la
natura così provvede; anzi, accade per naturale necessità che, quando la terra
o il sole si approssimano ora all’uno ora all’altro tropico, in essi avvenga
sempre un’uguale trasformazione. Non è, infatti un’obiezione valida il fatto
che dall’acqua deriva una quantità maggiore di aria (come è evidente nei vasi
che si spaccano per la mutazione della sostanza unica in spirito), poiché se
qui una modica quantità di acqua si trasforma in molta aria, altrove molta aria
si trasforma in poca acqua, fintanto che il contrario fugge il contrario.
Ma in relazione
a ciò non accorre definire un moto circolare o un moto retto, perché,
accresciutasi dappertutto l’acqua o l’aria, dappertutto tutto il corpo è reso
più grande o più piccolo.
Tutto il lago,
infatti, non cresce più o meno lentamente se l’acqua emerge in esso dai fondali
o se piuttosto vi fluisce dai monti o vi piove dal cielo. Da quanto detto
risulta chiaro, infine, che il luogo, lo spazio, il pieno, il vuoto sono la
stessa cosa, e l’aria non è il vuoto stesso, ma la prima cosa alla quale
compete riempire il vuoto. Lo stesso si dice pieno, in quanto ha la massa di
cui è capace; vuoto, in quanto si intende senza quella; luogo, in quanto
contiene.
Il vuoto è lo spazio in cui è contenuto una molteplicità di corpi.
Esso è un unico infinito, le cui
parti riteniamo essere senza corpo soltanto dove i corpi sono contigui ai corpi
e gli uni si muovono tra gli altri.
Il
vuoto è ciò da cui i corpi sono accolti e in cui i corpi sono contenuti.
Sono, però,
accolti da esso in modo tale che, mentre il medesimo spazio permane sempre
immobile (non può esserci nulla di più fisso), l’aria o un altro corpo cedono,
in esso, ad altro. Per intatto, dunque nulla si concepisce proceder attraverso
il vuoto, come se prima là non vi fosse nulla, perché dove non appare nessun
altro corpo sensibile, vi è aria; questa stessa aria sarebbe certamente luogo
ed esse sarebbe il vuoto se non si muovesse, se non cedesse agli altri corpi
che si alternano nel medesimo spazio. Poiché, d’altra parte, dove era l’aria,
vi è un altro corpo, dove si trovava una parte d’aria, è presente un’altra
parte, l’aria stessa non è la natura del luogo, dello spazio, del vuoto. A
questo proposito non c’è spazio per le deduzioni contorte di Aristotele secondo
il quale, poiché il cubo ha tanta grandezza quanto vuoto, perciò stesso le
dimensioni del cubo e del vuoto sono le stesse piuttosto che uguali. Come
infatti il corpo del cubo differisce da un uguale vuoto e luogo, come cioè
l’oggetto collocato differisce dal luogo, così è necessario che le dimensioni
del corpo differiscano dalle dimensioni dello spazio o vuoto. Né da ciò
consegue che, per la stessa ragione, quante si voglia dimensioni saranno in un
medesimo luogo: non è ragionevole, infatti, che si diano insieme le dimensioni
di due corpi, ma è del tutto necessario che le dimensioni del corpo e quelle
del luogo siano insieme e, in qualche modo, in relazione tra loro. In nessun
modo, infatti, un corpo di determinate dimensioni sarà in un luogo, se non vi è
uno spazio di dimensiono altrettanto grandi, che sia capace di accoglierlo.
Occorre dunque,
o Aristotele, porre un luogo per i corpi al di fuori della massa di ciascuno
perché l’estromissione e la collocazione non avvengano se non in quanto nello
stesso spazio C (che è qualcosa di diverso dai due corpi) in cui era A, viene
ad esservi B. quando infatti il cubo si muove porta con se le sue proprie
dimensioni nello stesso luogo di quelle che sono nello spazio, le quali
permangono perennemente, mentre infiniti corpi si alternano successivamente in
esso.
Non
ci sarebbe, dunque, alcun moto, se non ci fosse il vuoto, dato che ogni corpo
si muove o dal vuoto o verso il vuoto o nel vuoto.
MI SPIEGO
“Non è affatto
necessario (dice Aristotele) che, se vi è moto, si dia il vuoto, perché, da una
parte (contro Melisso) il pieno può essere alterato, dall’altra nel moto locale
occorre che un corpo prenda il posto dell’altro”. Noi approviamo tale ragioni e
conveniamo che non è necessario che si dia uno spazio che produca un moto senza
corpo, perché tale vuoto anche la natura lo rifiuta e, dato che nessuna ragione
ci obbliga, non siamo costretti a porlo. Può darsi, tuttavia, un vuoto in cui i
corpi si muovino e si avvicendano, se in realtà è un medesimo spazio quello
che, già occupato dall’aria, venga ora occupato dall’acqua, e possa poi essere
occupato da qualcos’atro, e che, di conseguenza, è distinto da tutti questi
corpi. È necessario, che sia permanente qualcos’altro rispetto a me e all’aria
lo spazio nel quale l’aria cede a me ed io all’aria reciprocamente. Ugualmente,
quando Aristotele afferma che è necessario che il moto sia nel tempo e che,
pertanto il moto, per essere, deve avere una durata, cosa che il vuoto
assolutamente non consente, in quanto non vi è alcuna proporzione tra la
velocità di ciò che si muove attraverso il pieno e quella di ciò che si muove
attraverso il vuoto, non invalida certo la nostra dottrina, perché noi non
poniamo un vuoto tale che da qualche parte e per qualche tempo rimanga senza un
corpo contenuto. Ciò nonostante, anche se quello esistesse, non annullerebbe,
perciò stesso, il moto nel tempo. Non è necessario che si muova in istante ciò
che si muove attraverso il vuoto. Occorre infatti, che lo spazio non sia
indivisibile, così come il corpo che si muove: ora, se lo spazio è corpo
divisibile, sebbene non vi sia alcuna resistenza da parte del mezzo, perché il
moto dovrebbe avvenire nell’istante?
Se infatti si
suppone che io debba muovermi lungo la linea A B dal temine A al termine B, tra
i quali non siano interposti né l’aria né un altro corpo, non si darà forze
che, a causa della mia massa e della distanza A B, che è 50 passi, dovranno non
di meno essere percorsi da me 50 passi, come se il mezzo fosse aria? Senza
dubbio, sebbene la differenza di velocità suole dipendere anche dal mezzo da
solcare, sia esso fango, acqua o aria, pur tuttavia rimangono altre cause della
lentezza e della velocità. È necessario infatti che si proceda alternando un
passo dopo l’altro, che una parte dopo l’altra si allontani da un estremo, si
muova attraverso il mezzo, e raggiunga l’altro estremo, e che secondo un certo
ordine percorra le parti della distanza, anche se queste non contengono nulla.
E non per questo accade che qualcosa si muova
attraverso il nulla: il vuoto non è, infatti, l’assolutamente nulla, ma il
nulla di quei corpi che si muovono. È tuttavia vero spazio, luogo e necessari
ricettacolo di tutti i corpi, e per Aristotele non deve essere meno vero e
necessario che in esso i diversi corpi si succedano reciprocamente, di quanto
sia per lui necessario e assolutamente vero, riguardo alla materia, che in uno
stesso sostrato siano accolte le diverse forme.
In generale,
dunque, sono quattro per noi le cause della velocità e della lentezza: la
differenza di dimensione del mezzo e dello spazio, si attraversa più
velocemente una piccola quantità di spazio che una grande; il mezzo da
attraversare, cede infatti più facilmente e più prontamente l’aria dell’acqua;
ciò che è in movimento, avanza infatti più velocemente ciò che riesce in misura
maggiore a farsi largo; il termine al quale il moto giunge cosi infatti il
termine meno naturale è diverso dal termine più naturale e innaturale dal non
naturale poiché verso di essi si procede più o meno spontaneamente o per
costrizione.
In tutti questi
casi il vuoto non sembra comportare nulla per quanto riguarda il moto, ma
soltanto al luogo e al contenere. Come, infatti, la materia riceve ugualmente
tutte le forme, così lo spazio contiene indifferentemente tutto ciò che può
esser collocato, al quale, appunto, in virtù della propria natura, tocca
muoversi in maniera determinata da qui e da lì, per d iqua e per di là, verso
di qua e verso di là. Sebbene qualcosa si muova attraverso ciò che era pieno,
non si muove, tuttavia, attraverso ciò che è pieno; e ciò che si muove in
circolo si muove certamente nello spazio in cui è necessario che nulla si muova
di moto rettilineo, affinché l’uno ceda il posto all’altro. Ancora a torto
Aristotele afferma che, allo stesso modo, nei corpi che sono mossi a forza
l’impulso è accresciuto dal mezzo, aria o altro che sia, quando, piuttosto, gli
stessi ne vengono frenati. In realtà, ciò stesso che si muove ha una forza
innata o impressa, grazie alla quale avanza verso quel determinato luogo contro
cui è lanciato e, fino a quando la forza impressa dura, tanto a lungo procede.
Allo stesso modo, quando qualcuno getta in alto un palla, ha impresso ad essa
una spinta proporzionale alla sua leggerezza, sulla cui velocità di sicuro non
incide minimamente il mezzo, sebbene esso sia necessario al movimento in quanto
tale, perché, se non ci fosse lo spazio attraverso il quale procedere, non
potrebbe esservi alcuno spostamento. Tuttavia, non per questo spetterà al vuoto
determinare la ragione per cui un corpo che si muove si fermerà da qualche
parte. Per il fatto, dunque, che il vuoto non presenta alcuna differenza, non è
necessario che i corpi siano fermi nel vuoto, come sembra a Aristotele, bensì
che attraverso il vuoto non siano distolti dal moto assegnato loro dalla natura
o da un’altra causa, perché non aspetta al vuoto determinare il moto, ma essere
quello in cui o attraverso cui altro stia in quiete o si muova, sia per natura
sussista per sé, sia che sussista in relazione alle altre cose. Anzi, occorre
che lo spazio sia per natura tale che, non avendo o non apportando al moto
nessuna differenza, non aiuti i corpi a muoversi in un modo piuttosto che in un
altro; non agevoli di più quelli che si muovono, che quelli che stanno fermi:
pertanto lo spazio, per il quale le cose naturalmente si muovono, dev’essere
inteso vuoto, anziché aria o altro che resista o debba cedere. Conviene,
piuttosto, che lo spazio sia ciò in cui questi corpi resistono e cedono l’uno
all’altro. Il vuoto non toglie la proporzionalità del moto, perché sebbene sia
annullata la proporzione tra velocità per ciò che riguarda la resistenza del
mezzo, tuttavia la proporzione rimane relativamente alla diversità dei termini,
come sopra e sotto; ugualmente rimane la proporzione relativa alla qualità
dello spazio; rimane anche quella relativa alla massa del mobile e, infine,
quella relativa alla forza di quel che, estrinsecamente o intrinsecamente,
imprime il moto. Il mezzo, dunque, non è, né può essere causa di velocità o
lentezza. Infine, qualunque e di qualsivoglia specie sia il mezzo attraverso
cui le cose si muovono, sembra irragionevole l’affermazione di Aristotele che
il mobile riceve il movimento dal mezzo, poiché attraverso uno stesso mezzo
alcune cose salgono, altre scendono e per l’appunto vediamo muoversi in
qualsiasi direzione queste cose e quelle, allora e ora, più lentamente; quelle
e queste, invece, ora e allora, più velocemente. Sebbene ciò che si trova in
mezzo (che da Aristotele è chiamato ‘mezzo’) opponga ora maggiore, ora minore
resistenza, come l’acqua più impura resiste di più rispetto all’acqua più pura,
e questa di più rispetta all’aria, non potrà, tuttavia, mai esser dimostrato
che il mezzo abbia di per sé la forza di spingere.
È
proprio del vuoto non solo contenere, ma anche separare, e per ciò diciamo che
esso è luogo senza corpo o spazio in cui è il corpo e riteniamo che il luogo e
il vuoto non differiscano se non per qualche ragione insignificante.
MI SPIEGO MEGLIO
Senza dubbio è
necessario che il vuoto sia anche ciò che separa:
La disputa di cambrai Giordano Bruno Pag. 153/160