L’operazione
della virtù intellettiva consiste nell’intendere il significato delle parole,
delle proposizioni e dei ragionamenti. L’intelletto capisce il significato delle
parole quando comprende il valore di ciascuna per la sua definizione.
Ma
la definizione si fa per termini più generali e questi si definiscono per altri
più generali ancora, finché non si venga alle nozioni prime e generalissime,
ignorando le quali non si potrebbe intendere le definizioni delle altre. Se non
si intendesse che cos’è l’ente per sé non si potrebbe affatto intendere la
definizione di alcuna sostanza speciale. Ma l’ente per sé non si conoscerebbe,
se non si conoscesse con le sue proprietà, che sono l’uno, il vero, il buono.
Ora l’ente potendosi conoscere come diminuito e come intero, come imperfetto e
perfetto, come ente in potenza e ente in atto, come relativo e assoluto, come
parziale e totale, come transeunte e permanente, come condizionato e
incondizionato, come ente misto al non ente, e come ente puro, come ente derivato
e primo, come mutevole e immutevole, come semplice e composto, dato che la
privazione e i difetti non si possono conoscere se non si ha prima la nozione
del positivo, non ha luogo da parte dell’intelletto nostro la intellezione
piena e rivelatrice di alcuno degli enti creati, ove non lo aiuti la cognizione
dell’ente purissimo, attualissimo, completissimo e assoluto, che è l’ente
semplicissimo e eterno, nel quale sono nella loro purezza le ragioni di tutte
le cose. ma come intenderebbe l’intelletto che un certo essere è difettivo e
incompleto, se non avesse alcuna cognizione dell’ente senza difetto? E così
degli altri caratteri sopra accennati.
Si dice che il nostro intelletto comprende
veramente il senso delle preposizioni quando sa con certezza che sono vere; e
saper questo è sapere perché non si può ingannarsi nell’affermarlo. Sa infatti
che quella verità non può essere altrimenti. Sa dunque che essa è immutabile.
Ma poiché la nostra mente stessa è mutevole, lei che così immutabilmente
risplende non può vedere, se non per qualche altra luce, che del tutto
immutabile la irraggi; e tale è impossibile che sia una creatura mutevole.
Conosce dunque in questa luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, che è la luce
vera, e il Verbo in principio presso Dio.
Il nostro intelletto capisce veramente il
significato di un ragionamento quando vede che la conclusione segue
necessariamente dalle premesse; e ciò vede non solo nei termini necessari, ma
anche nei contingenti; per esempio, se l’uomo corre l’uomo si muove. E tale
connessione necessaria coglie non solo nelle cose che sono, ma anche in quelle
che non sono; così l’affermazione se l’uomo corre l’uomo si muove, è valida sia
che l’uomo esista, sia che non esista. Il carattere necessario di tale
illazione non viene dunque dalla esistenza della cosa nel mondo reale, che è
contingente; né dall’esistenza della cosa nell’anima, che sarebbe una finzione
senza l’esistenza nel reale. Viene dunque dai modelli stabiliti nell’arte
eterna, secondo il quale le cose hanno una connessione un reciproco rapporto in
accordo con l’idea di quell’arte eterna. Infatti (lo dice Agostino nel libro
della vera religione) il lume di chi ragiona con verità è acceso
da quella Verità, e a lei si sforza di pervenire. Dal che appare
manifestamente che il nostro intelletto è congiunto all’eterna Verità medesima,
giacché senza il suo ammaestramento non può capire con certezza alcun vero. Puoi dunque vedere da solo la verità che ti
ammaestra, se non te la impediscano le concupiscenze e se i fantasmi sensibili
non s’interpongano a guisa di nubi fra te e il raggio della verità.
Vedi
dunque cose l’anima è vicina a Dio e come la memoria conduce
all’eternità,
l’intelligenza alla verità, la potenza elettiva alla somma bontà
mediante
le loro operazioni. Di più, mediante l’ordine, l’orige e l’abito
loro
queste potenze conducono alla stessa beatissima Trinità. Infatti dalla
memoria
nasce l’intelligenza, come sua prole; perché allora intendiamo
quando
la similitudine che è nella memoria si spiega nella luce dell’intel-
letto,
il quale non è altro che il Verbo.
Il
Concetto di S. Bonaventura
Pare
strano, dopo che si è mostrato come Dio sia tanto vicino alle menti
nostre,
che tanto pochi riescano a cercare entro se stessi il Primo Principio.
Ma
la ragione ne è chiara: la mente umana, distratta dalle sollecitudini,
non
entra in sé con la memoria; onnubilata dalla immagini sensibili,
non
entra in sé con l’intelligenza; allettata dalla concupiscenza,
mai
non ritorna a se stessa col desiderio della interiore soavità
e
della letizia spirituale. Quindi, totalmente immersa nelle cose sensibili,
non
può rientrare in sé, immagine di Dio.
Di
nuovo insistendo diciamo che dunque l’esser purissimo ed assoluto,
che
è l’essere semplicissimo è primo e ultimo,perciò di tutte le cose
è
origine e compimento finale. E’ eterno e presentissimo, e perciò
volge
e permea tutte le durate, quasi circonferenza e centro insieme.
È
semplicissimo e massimo, e perciò tutto entro ogni cosa e tutto
fuori
d’ogni cosa, e perciò sfera intelligibile, il cui centro è dovunque
e
la circonferenza in nessun luogo. È attualissimo e immutabilissimo,
e
perciò rimanendo stabile da movimento all’universo. E’ perfettissimo
e
immenso, perciò è dentro a tutte le cose senza esservi chiuso; fuori
da
tutte, ma non escluso; sopra a tutte, ma non sostenuto; sotto a tutte,
ma non gravato. E’ sommamente uno ed onnimodo,
e perciò tutto
in
tutto, benché le cose siamo molteplici ed egli non sia che uno …
Questa descrizione della divinità deriva
dall’esperienza intellettuale dello scrittore, ed è singolarmente identica a
quanto Bruno afferma e sta a dimostrare con una dipendenza dell’uno dall’altro,
ma l’identicità del percorso intellettuale seguito dai due autori.
Bonaventura pone queste sue parole
praticamente al termine del cammino spirituale indicato. Bruno le conferisce
all’aspetto più propriamente filosofico del suo insegnamento, e le sviluppa nel
De l’infinito universo e mondi, quasi a dimostrare la fecondità del metodo
conoscitivo proposto nella Clavis Magna.