Galileo Galilei, con l’introduzione del suo cannocchiale, aveva rivoluzionato il modo di fare astronomia che adesso diventava assai più osservativa. Nel marzo 1610 scrive il Sidereus Nuncius e gli epistemologi lo giudicano un testo scritto in fretta e furia per timore che qualcuno gli soffiasse le scoperte che intanto andava facendo. Ed i suoi sospetti erano tutt’altro che infondati visto che il tedesco Simon Mayr ci provò a rivendicare la priorità nella scoperta dei satelliti medicei.

Per questo motivo Galileo, che nel frattempo continuava a fare scoperte, affinò la sua strategia inviando a giro per l’Europa strani anagrammi nei quali celava una presunta scoperta, così che potesse rivendicarne la paternità qualora qualche altro l’avesse fatta, permettendosi così di poterla analizzare a proprio agio.

Fu così che già nel luglio 1610 Galileo inviò presso Giuliano de’ Medici, ambasciatore del Granducato di Toscana a Praga, un anagramma: “smaismrmilmepoetaleumibunenugtaurias” e poi nel dicembre un altro “haec immatura a me jam frustra leguntur oy”. Anche se con l’aggiunta di “oy” il secondo è più carino in quanto cerca di dare un senso compiuto [Queste cose premature le studio ora invano oy]. Il primo svelava la presunta forma trilobata di Saturno, rivelatasi poi errata, e la seconda le fasi di Venere. Essi infatti, traslitterati, recitano: “Altissimus planetam tergeminum observavi”, cioè “Ho osservato l’altissimo [il più lontano] pianeta trilobato” e “Cynthiae figuras aemulatur mater amorum”, cioè “La madre degli amori [Venere] imita le figure [le fasi] di Cinzia [la Luna]”. Di passaggio si può notare l’estremo scrupolo di Galileo che per rendere più nascosta ancora la scoperta usa locuzioni di stampo classico o pagano, dicendo Cinzia in luogo di Luna, madre degli amori in luogo di Venere e pianeta altissimo in luogo di Saturno. 

Keplero, che già da tempo era presso la corte boema ed aveva una grande stima di Galileo, provò a convincere il collega pisano di svelargli l’arcano. “Vi supplico di non privarci più a lungo della soluzione. Dovete vedere che avete a che fare con onesti tedeschi”. Poteva cioè essere bravo a matematica ma il latino non poteva dunque essere la sua materia. Ma fu inutile. Galileo teneva serrata la bocca. A Keplero non rimaneva altro che mettersi pazientemente a sciogliere l’anagramma.

Solo per fare qualche piccolo esercizio matematico, la prima frase contiene 36 caratteri che, anagrammati in tutte le soluzioni possibili, producono un qualcosa come 3,72 1041 combinazioni, cioè 372 mila miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di possibilità. Anche con i più potenti calcolatori di oggi ci vorrebbe un tempo superiore all’età dell’Universo, impossibile da farsi a mente nel ‘600 se non si aveva già qualche indizio. Ma Keplero si trovò ad esultare quando credette di aver trovato la soluzione. La prima frase concepita da Galileo aveva almeno un anagramma di senso compiuto. Precisamente: “Salve umbistineum geminatum Martia proles, cioè “Salve, gemello bruciante, figlio di Marte”. Ora il fatto che una serie di lettere possa produrre, in latino, più frasi di senso compiuto potrebbe essere una semplice curiosità di nessun conto. Che anche la seconda variante abbia un’attinenza di natura astronomica già può essere più rilevante. Ciò che risulta però straordinario è che Keplero, inconsapevolmente, con questa soluzione aveva anticipato una scoperta astronomica che sarà compiuta da Asaph Hall 267 anni più tardi. Si tratta della scoperta dei due satelliti (figli) di Marte, Phobos e Deimos, similari per natura e dimensioni e quindi gemelli.

Naturalmente Keplero si cimentò anche col secondo anagramma galileiano. Anche in questo caso si hanno 1040 combinazioni. Ancora una volta l’astronomo non trovò la soluzione corretta ma di nuovo una frase di senso compiuto e di ambito astronomico: “Macula rufa in Iove est gyratur mathem etc”, cioè “Una macchia rossa su Giove gira matematicamente”. Sembra una chiara allusione alla grande macchia rossa. Il problema è che il primo avvistamento risale al 1665, oltre cinquanta anni dopo. Impossibile dunque che Keplero l’abbia potuta vedere. Si deve trattare ancora una volta di una sorta di premonizione.

Keplero era un preveggente? Due casi su due effettivamente diventano abbastanza rilevanti dal punto di vista statistico. Ad ammantare di fascino, e anche un po’ di mistero, tutta la faccenda c’è un altro indizio che certo non depone a favore del nostro astronomo. La madre fu accusata di stregoneria e solo la fama del figlio le impedì di salire sul rogo, a fiammifero già praticamente acceso. Aveva forse preso dalla madre qualche trucco del mestiere? E’ tutto frutto del caso? Ovviamente una soluzione a queste domande non può trovare risposta. Dal punto di vista logico, lasciando alla libera interpretazione capacità esoteriche e trascendenti di Keplero, possiamo solo argomentare che in quanto a latino avrebbe fatto la gioia di ogni professore. Altro che “onesto tedesco”!

 

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