Nel 1588 Galileo fu interpellato per risolvere un’erudita disputa inerente alla prima cantica della Divina Commedia. Quanto è grande l’inferno dantesco, era la domanda a cui lo scienziato doveva trovare una risposta. È ben noto infatti che non solo la prima cantica ma l’intera opera è ricca di rimandi geografici, topografici e soprattutto astronomici. I dotti dell’epoca erano convinti dunque che un astronomo sarebbe stata la persona giusta per dirimere una simile controversia e l’interpellato Galileo era convinto che prima di porre mano all’opera, Dante doveva essersi fatto uno schema delle dimensioni, della forma e della posizione sotterranea dell’inferno. Nonostante alcune incongruenze ed il fatto che talvolta sia davvero arduo trovare degli appigli le abili considerazioni portarono lo scienziato pisano a ricostruire il luogo, secondo la visione dantesca, deputato allo sconto eterno delle pene. Tali considerazioni finiranno in quel testo che reca il nome di Due lezioni all’Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante. Ben lungi da noi l’idea di voler emulare Galileo, tuttavia ci sentiamo vogliosi di ingaggiare una giocosa tenzone, cercando, sulla scia del Galilei, quegli appigli necessari per determinare i tempi, oltre ai luoghi, del viaggio del poeta nell’oltretomba. Per dare coerenza al viaggio sicuramente Dante deve essersi fatto qualche conto e tali e tanti sono i rimandi, non solo astronomici, che l’autore, oltre ad avere un’idea abbastanza chiara delle dimensioni, della posizione e della grandezza dell’inferno, si era preoccupato anche di averne una per la montagna del Purgatorio, per le sfere celesti (in un contesto aristotelico consolidato) e, soprattutto, dello scorrere del tempo durante l’intero viaggio. Alcuni passi danno chiara l’evidenza dell’autore-protagonista di voler spiegare al lettore la propria posizione. D’altro canto, se è vero quanto afferma Galileo, secondo cui l’autore aveva fatto in modo che non potessero essere svelati fino in fondo i ponteggi su cui fondare il poema, per dare modo, forse, ai critici successivi di affaticarsi per esplicare la struttura, altrettanto si può dire per quanto riguarda la cronologia del viaggio. L’analisi dei passi astronomici andrà dunque, di volta in volta, ponderata adeguatamente.

Prima di partire con la nostra analisi è necessaria qualche premessa, magari banale ma doverosa. Occorre ricordare che Dante vive a cavallo fra il XIII ed il XIV secolo. A quel tempo le arti liberali, cioè dei liberi cittadini, si dividevano fra Trivio, di ambito umanistico (grammatica, retorica, dialettica) e Quadrivio, di ambito più scientifico (aritmetica, geometria, musica, astronomia). Esse costituivano le basi della cultura dell’uomo medievale, mentre i lavori manuali, fossero stati anche della più avanzata tecnologia o delle arti plastiche più raffinate, erano considerati azioni degne di servi o al più dei maniscalchi.

Dante, figlio del suo tempo, ebbe una solida formazione culturale sia nelle discipline umanistiche che in quelle scientifiche che allora, meno specializzate rispetto ai nostri giorni, non si consideravano così complementari e quasi antagoniste. Le conoscenze in ambito fisico sono quelle aristoteliche, con due elementi gravi (terra e acqua) e due lievi (aria e fuoco), oltre alla quintessenza che permea l’universo con le sue sfere cristalline. Anche se i cieli sono fatti da sfere concentriche, secondo lo schema descritto da Aristotele, le computazioni vengono eseguite sulla teoria tolemaica, fatta di deferenti ed epicicli. Le dimensioni della Terra, ritenuta sferica, sono un po’ sottostimate. Approssimativamente si poteva pensare ad una Terra di poco meno di 5600 km di diametro. Le Terre emerse (l’ecumene) che si estendono per 180° in longitudine sono tutte unite tra loro, in una sorta di pangea, fatta eccezione per la terra degli antipodi, quella che verrà chiamata “terra australis nondum cognita” nella quale Dante situa la montagna del Purgatorio.

L’interesse di Dante per l’astronomia è evidente, non soltanto per i frequenti passaggi presenti nel poema ma anche per altri passi delle sue opere. Scrive ad esempio nel Convivio: “Questa [l’astronomia] più che alcune delle sopradette [scienze] è nobile e alta per nobile subietto, che è de lo movimento del cielo, e alta e nobile per la sua certezza, la quale è senza difetto, sì come quella che da perfettissimo e regolarissimo principio viene.” (Cv, XIII, 18).

E la scienza del “nobile subietto” è ritenuta così perfetta e regolare che Dante utilizza gli astri, sia per stabilire le date di determinati eventi, sia per definire la propria posizione nel ruolo di personaggio nel corso del viaggio, sia ancora per fornire indicazioni di orientamento spaziale, sia talvolta per fare sfoggio di un’erudizione significativamente fuori dal comune.

Ma cominciamo a vedere il poema, proprio dal principio, e a darne un preciso quadro temporale: ”Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / che la diritta via era smarrita.” (If 1, 1-3)

Anche se tutto il poema ha il sapore profetico Dante non intende far pronostici sulla sua avventura terrena. Col «mezzo del cammin di nostra vita» intende dire a metà del cammino della vita media di un uomo. Non a caso utilizza «nostra», riferito all’umanità, e non «mia».

Non è di sicura determinazione la data di nascita di Dante e spesso la si desume al contrario proprio da questo passo. È comunque documentata la data di battesimo: 26 marzo 1266. A quell’epoca, l’alta mortalità infantile congiunta con la paura per il Limbo, induceva a battezzare i figli appena nati. Dante ci dice di essere nato sotto il segno dei Gemelli. Anche se questioni inerenti la riforma del calendario potrebbero indurre in perplessità, senza entrare in dettagli possiamo prendere l’intervallo convenzionale del 21 maggio - 20 giugno. Appare già singolare che la famiglia Alighieri abbia atteso circa 10 mesi per battezzare il proprio figlio (con molta probabilità c’era l’intento di far coincidere la nascita spirituale del figlio con l’inizio dell’anno civile che cadeva il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione). Ipotizzare una data antecedente il 1265 appare del tutto fuori luogo. Inoltre Dante ha sicuramente bene in mente la Bibbia che quantifica la vita media di un uomo pari a 70 anni. Il passo biblico è il Salmo 89-10, 1.2 e che Dante lo conosca lo si desume dal passo IV/ XXIII, 9 del Convivio: “Là dove sia lo punto sommo di questo arco [della vita], per quella disaguaglianza che detta è di sopra, è forte da sapere; ma nelli più, io credo, tra il trentesimo e 'l quarantesimo anno; e io credo che nelli perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno”.

Non deve stupire che l’uomo del Medioevo concepisse il volgere di una vita in 70 anni quando le statistiche parlano di un trentennio circa. La motivazione risiede sul fatto che l’altissima mortalità infantile e le frequenti pandemie abbassavano l’età media. Per chi però superava l’infanzia ed evitava di incappare in pestilenze poteva in effetti sperare in quattordici buoni lustri. Anche la prematura scomparsa del poeta (morirà nel 1321, a 56 anni, a seguito della malaria che aveva contratto in un viaggio diplomatico nella laguna veneta) sfiora l’eventualità di morte per pestilenza.

Ma torniamo alla questione centrale del discorso. Poiché Dante considera l’intero ciclo di una vita pari a 70 anni, allora il mezzo del cammino significa trentacinque anni, ed essendo nato nel 1265, siamo nell’anno 1300. Certo, si potrebbe argomentare anche che il «mezzo» si debba intendere in maniera generica. Come nel citato passo del Convivio si legge Dante potrebbe intendere fra 30 e 40 anni. Con solamente questo rimando la data del viaggio immaginario si restringe all’intervallo compreso fra il 1295 ed il 1305. Alcuni critici sostengono infatti che l’anno sia il 1301. Non ci esimeremo dal tenerne conto. In effetti i passi esclusivamente astronomici si conciliano meglio così, ma esamineremo questi elementi nel corso della trattazione.

Ad avvalorare la tesi dell’anno 1300 c’è un passo all’inizio nel secondo canto del Purgatorio. Durante l’incontro con Casella, l’amico rivela “se quei che leva [l’Angelo nocchiero] quando e cui li piace, / più volte m’ha negato esto passaggio, / ché di giusto voler lo suo si face; / veramente da tre mesi elli ha tolto / chi ha voluto intar con tutta pace.” (Pg II, 95-99). La possibilità delle anime di cominciare il cammino di purificazione concessa senza limitazioni da tre mesi a questa parte si riferisce certamente al Giubileo (il primo nella storia della Chiesa) indetto da Bonifacio VIII proprio per l’anno 1300. Per essere più precisi la bolla Antiquorum habet con la quale il papa promulgava il Giubileo è del 22 febbraio ed il lucro dell’indulgenza andava dal Natale 1299 fino al Natale 1300. In realtà l’applicazione dell’indulgenze ai fedeli defunti sarà indetta molto più tardi, solo da Callisto III nel 1457, ma poiché era già credenza consolidata ai tempi del poeta che l’indulgenza ecclesiastica potesse essere applicata ai defunti, anche Dante fa sua questa concezione. Poiché il viaggio si svolge, come vedremo, a primavera il Giubileo era cominciato proprio da tre mesi circa. Tutto ciò fa dunque presupporre che l’anno sia proprio quello in cui Dante compie i 35 anni!

Stabilito dunque l’anno, passiamo ad analizzare, se ce n’è possibilità, il mese, il giorno e l’ora.

In base ai riferimenti cronologici sparsi nella Commedia si apprende che il viaggio comincia a primavera e si svolge nel giro di pochi giorni. La collocazione primaverile si deduce dai seguenti versi: “temp’era dal principio del mattino / e ‘l Sol montava ‘n su con quelle stelle / ch’erano con lui quando l’amor divino / mosse di prima quelle cose belle; / si ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle / l’ora del tempo e la dolce stagione” (If 1, 37-43).

Il muovere quelle cose belle da parte dell’amor divino è un chiaro riferimento alla creazione. Anche se il vescovo James Ussher (del XVII secolo), su basi bibliche, porrà la creazione del mondo al 23 ottobre 4004 a.C., alle 9 del mattino, la tradizione biblica medievale, alla quale Dante si appella, colloca la creazione in primavera. Come non bastasse poco più avanti si legge «la dolce stagione». Per dare una connotazione precisa possiamo stabilire, con un simulatore o con calcoli di astronomia sferica, che l’equinozio ebbe luogo il 13 marzo alle 11:10 TU, mentre il solstizio il 13 giugno alle 22:09 TU, riducendo significativamente la forbice di incertezza sulla data. Abbiamo già affrontato il problema della localizzazione della selva oscura e non possiamo sapere dove Dante la volesse collocare, comunque il TU (tempo universale) è l’orario del fuso orario di Greenwich usato convenzionalmente dagli astronomi. Se Dante, che ad inizio Trecento viveva ancora a Firenze, prende per buono il tempo locale dobbiamo aggiungere circa tre quarti d’ora. Da alcuni passi successivi si evince che il viaggio non può essere iniziato all’equinozio di primavera, come sostengono alcuni critici, ma quasi un mese dopo. Uno in particolare, al XXI canto dell’Inferno dà, in un solo colpo, l’indicazione del giorno, dell’ora e rafforza la tesi che si tratti dell’anno 1300. “Ier più oltre cinqu’ore che quest’otta, / mille dugento con sessanta sei / anni compié che qui la via fu rotta” (If 21, 112- 114). Si tratta di un passo in cui Malacoda, un diavolo, spiega a Dante che il passaggio è interdetto poiché il ponte è crollato. Appare strano che Dante nell’Inferno, cioè in uno dei Novissimi della teologia cristiana, metta un’indicazione temporale così precisa e così terrena. Ad ogni modo egli sta dicendo che ieri («ier»), cinque ore avanti rispetto all’ora («otta») attuale, di 1266 anni fa, questa via si interruppe («la via fu rotta»), cioè il ponte crollò. Poco più avanti si scoprirà che Malacoda sta mentendo in merito ai ponti crollati, ma se prendiamo per buona l’affermazione cronologica, visto che il viaggio è cominciato da poche ore: sono le 10 circa del mattino successivo a quello in cui Dante, uscito dalla selva oscura, si stava accingendo, all’alba, a salire su un colle. Infatti dobbiamo tener conto che il ponte è andato distrutto nel terremoto seguito alla morte di Cristo, avvenuta il Venerdì Santo del 34° anno ab incarnazione, verso le 15:00, di pomeriggio. Sul fatto che la passione del Signore sia avvenuta per Dante nell’anno di grazia trentaquattresimo non ci sono dubbi. Lo si legge infatti anche nel brano del Convivio immediatamente successivo a quello citato in precedenza per l’età dell’uomo (cfr. Cv IV, XXXIII, 10). Regge ancora la tradizione secondo cui Cristo è vissuto trentatré anni e collocando tradizionalmente la nascita per il “Figlio dell’uomo” al 25 dicembre, quando avvenne la Passione non aveva ancora compiuto gli anni. In definitiva l’indicazione per l’anno è ancora una volta il 1300. Qualche perplessità sorge invece sul mese e poi sul giorno. Secondo alcuni critici Dante ritiene che la morte di Cristo risalga al 25 marzo; quindi, durante il diverbio con Malacoda, dovremmo essere al 26 marzo 1300. Tuttavia Dante si riferisce al Venerdì Santo dell’anno in corso, il 1300 che, ricordiamolo, è il primo anno giubilare. Allora, calcolando la data della Pasqua (10 aprile), il viaggio ebbe inizio il 7 aprile. Infatti, solo al canto precedente, si dice che “e già ier notte fu la Luna tonda” (If XX, 127). Calcoli astronomici mostrano che la Luna fu piena il 6 aprile alle 1:55 TU. Questo permette di concludere che la lugubre esperienza della selva oscura è databile 7 aprile, mentre i due poeti cominciano a muovere i passi del viaggio vero e proprio solo dopo il tramonto del Sole («Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno / toglieva gli animai che sono in terra / da le fatiche loro; e io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sì del cammino e sì de la pietate che ritrarrà la mente che non erra» If II, 1-6), quando secondo il computo medievale era già cominciato il successivo giorno 8. Le cinque ore avanti, infine, fanno retrocedere le lancette dalle ore 15:00 della morte di Cristo alle presenti ore 10:00. Per precisione si dovrebbero considerare le ore 15:00 sul meridiano di Gerusalemme. Fra la Toscana e la città palestinese ci sono circa 24° di longitudine, quindi una differenza di quasi 100 minuti di fuso orario. Quindi il dialogo con Malacoda dovrebbe essere avvenuto verso le ore 8:20 delle località sul meridiano fiorentino.

Per quanti vogliono collocare il viaggio nel successivo 1301, la Pasqua cadde il 2 aprile, così facendo il Venerdì Santo scivola al 31 marzo. Se questa è la data il giorno precedente la Luna non era affatto piena! Se invece prendiamo come riferimento la morte del Messia al 25 marzo, adesso è già il 26 ed il plenilunio è più calzante, essendo occorso il 25 marzo alle 6:20 TU, così facendo tornerebbe il plenilunio, ma non il Venerdì Santo e gli anni sarebbero non 1266 più spiccioli, bensì 1267 più spiccioli, a meno di non pensare che Dante seguisse una tradizione diversa in merito agli anni di Cristo, il che però sembra essere escluso dal passo del Convivio.

L’ipotesi più credibile è che si debba pensare a delle licenze poetiche, per esigenze simboliche, quei rimandi che non concordano. Apparentemente si nota infatti una residua discordanza anche tra il giorno del plenilunio, il 6 aprile, e la data di inizio del viaggio oltremondano, l’8 aprile, che invece non vi sarebbe se ponessimo il viaggio nel 1301. Tuttavia occorre tener presente che Dante dice:

«iernotte fu la Luna tonda», non piena. La Luna, per chi l’osserva ad occhio nudo, rimane tonda per 3 giorni a cavallo del plenilunio. Dunque il poeta potrebbe intendere genericamente che «ieri», cioè il 7 aprile, la Luna appariva tonda (come del resto anche il 5 ed il 6), senza necessariamente riferirsi al giorno del plenilunio.

Ci potrebbe essere qualche spiegazione alternativa a tutto ciò? Dante, scrivendo la Commedia alcuni anni dopo, avrà dovuto eseguire i calcoli o avrà dovuto attingere a qualche almanacco astronomico per rivedere le fasi lunari e gli altri fenomeni transienti. Però, che abbia commesso qualche errore o che l’almanacco presentasse sviste così grossolane ci sembra di poterlo escludere quasi a priori. Certo rimane un aspetto vago visto che non ci sono nemmeno esigenze poetiche speciali: «mille dugento con sessanta sei» o «mille dugento con sessanta cinque» sarebbero entrambi endecasillabi!

Anche all’inizio del Purgatorio c’è un’altra incongruenza che punterebbe ancora sul 1301, ma questa l’esamineremo più avanti.

Determinare, infine, l’ora del viaggio ultraterreno del poeta, in compagnia di Virgilio, è cosa piuttosto semplice. Infatti nel proemio dell’Inferno si legge: “guardai in alto e vidi le sue spalle [del colle] / vestite già de’ raggi del pianeta / che mena dritto altrui per ogne calle” (If 1, 16-18). Il «pianeta che mena dritto» è chiaramente il Sole; tralasciamo la questione cosmologica sul fatto di definire il Sole come pianeta. Nei versi seguenti troviamo il poeta impegnato con le tre fiere nel passo già citato: “Temp’era dal principio del mattino”, (If 1, 37) e infine appare Virgilio a toglierlo d’impiccio.

In definitiva, dalle indicazioni astronomiche fornite nel testo, si deduce che la notte del 7 aprile 1300, Dante, in un luogo non ben definito, ma ad una distanza angolare di 30° da Gerusalemme, si trova smarrito in una selva oscura. All’alba del 7 aprile, mentre si accinge a salire su un colle, incontra tre fiere e successivamente Virgilio che gli si offre come guida nei regni dell’Inferno e del Purgatorio. Il viaggio, però, comincia all’imbrunire di quel giorno, visto che il secondo canto comincia con i versi: “Lo giorno se n’andava e l’aere bruno / toglieva gli animai che sono in terra / da le fatiche loro; e io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sì del cammino e sì della pietate, / che ritrarrà la mente che non erra.” (If,II, 1-6).

In definitiva gli elementi astronomici inducono a pensare questo: Dante incomincia il suo viaggio di quello che noi definiremmo giovedì 7 aprile, ma che per Dante è venerdì 8 aprile 1300 nel tardo pomeriggio-sera, diciamo, tanto per fissare un orario, fra le 18:00 e le 19:00. In alternativa il 25 marzo (già 26) 1301. E’ difatti ragionevole supporre che «lo giorno se n’andava» debba riferirsi ad un’ora del crepuscolo civile o al limite nautico. E qui scatta il cronometro!

 

Utilizzando un programma come Google earth possiamo portare alle estreme conseguenze il nostro gioco: dove poteva essere la selva oscura nella quale Dante si è perso? Non era nelle intenzioni del poeta dare una precisa localizzazione, tanto più che si tratta di un’allegoria della vita peccaminosa. Tuttavia, alla luce delle attuali conoscenze geografiche appare irragionevole che Dante si trovasse a trascorrere dei giorni in Scozia, Lapponia o Siberia. Poco probabile anche nella foresta equatoriale africana. L’unico luogo che potrebbe reggere è il Portogallo.




Nel resto della cantica infernale si susseguono numerosi i riferimenti astronomici, geografici, fisici e sono loro appunto che servirono a Galileo per congetturare le dimensioni dell’Inferno. Per il nostro ragionamento conviene invece saltare direttamente agli ultimi versi, grazie ai quali possiamo dare idea del tempo trascorso da Dante, in compagnia di Virgilio, nelle viscere della Terra.

“Levati sù”, disse ’l maestro, “in piede:/ la via è lunga e ’l cammino è malvagio, / e già il sole a mezza terza riede.”/ […] / e come, in sì poc’ora / da sera a mane ha fatto il sol tragitto? / […] / Qui è da man, quando di là è sera. (If, XXXIV, 94-96 / 104-105 / 118). Quando Dante e Virgilio si scambiano queste battute siamo all’imboccatura della Natural Burella. All’estremità opposta troveranno il «pertugio tondo» dal quale torneranno a rivedere le stelle. In fondo al Cocito era sera e Dante si meraviglia che in un lasso di tempo che gli è sembrato modesto («in sì poc’ora») sia passato mezzo giorno. Virgilio spiega a Dante quella che oggi chiameremmo differenza di fuso orario. Fra due luoghi posti agli antipodi ci sono 12 ore di differenza. L’uscita nel Purgatorio è agli antipodi del luogo nel quale il poeta è entrato la sera prima; «mezza terza» è una locuzione che indica la metà della terza ora del giorno (e «riede» significa «ritorna»).

Per comprendere questo passo bisogna considerare il modo di calcolare lo scorrere del tempo nel Basso Medioevo. Allora, come oggi, si avevano 24 ore, divise fra 12 di notte (dall’Ave Maria della sera concomitante, alla buona, col tramonto fino all’alba) e 12 ore diurne (dal sorgere del Sole fino all’Ave Maria della sera successiva). Le due mezze giornate venivano quindi divise in 12 parti. Così facendo le ore medievali, dette italiche, erano diseguali. In estate erano lunghe quelle diurne e brevi quelle notturne, in inverno saranno state brevi quelle diurne e lunghe quelle notturne. Solo in corrispondenza dell’equinozio saranno state uguali. Il viaggio comincia l’8 aprile e ormai è diventato il 9 aprile. Agli antipodi di Gerusalemme il Sole sorge alle 16:07 TU e tramonta alle 4:09 TU. Anche se non è chiaro se Dante si riferisce a Gerusalemme o al punto nel quale sta per uscire (ma non è ancora arrivato) poiché la differenza è di soli 2 minuti, possiamo considerare in pratica la durata delle ore pari a 60 minuti (la differenza è di appena 10 secondi ad ora). A metà della terza ora significa che dal tramonto (o dal sorgere a seconda di quale emisfero si considera, anche se pare più ragionevole considerare quello del Purgatorio) sono passate due ore e mezzo. Sono dunque le 5:39 TU, che corrispondono alle 8:00 locali, mentre a Gerusalemme sono le 20:00.

Se consideriamo l’entrata nell’Inferno alle 18:00 tanto per fare cifra tonda, la discesa si è compiuta in 26 ore. La risalita comincia alle 8:00 e termina ad un’ora non meglio precisata prima dell’alba, indicativamente fra le 4:00 e le 5:00. La risalita, nonostante sia in salita e nonostante l’illuminazione scarsa ed il suolo dissestato (“natural burella / ch’avea mal suolo e di lume disagio”, If XXXIV, 98- 99) si compie in meno di 21 ore. Il tempo in meno nella risalita è pienamente giustificabile dal fatto che non ci sono soste per intrattenersi con i dannati, anzi è Dante stesso a raccontarci che si incamminano «sanza cura d’aver riposo alcuno» (If XXXIV, 135). Anche tenendo conto delle dimensioni della Terra come le concepiva il poeta, il percorso infernale è stato percorso a velocità degne di un bolide di formula 1. La discesa infatti è stata effettuata ad una velocità media 215 km/h con numerosissime soste, mentre la risalita a 265 km/h!

Sta di fatto che la mattina di domenica 10 aprile1300, giorno di Pasqua, i due poeti si trovano sulla riva del mare alle pendici della montagna del Purgatorio. In alternativa tutto ciò avviene il 27 marzo 1301 o il 2 aprile 1301.

Tornando a cielo aperto Dante si potrebbe sbizzarrire in indicazioni astronomiche. Poiché le regole del Purgatorio prevedono che solo durante il giorno si possa procedere nell’ascesa mentre di notte occorre fermarsi, i rimandi del poeta sono per lo più legati al Sole, mentre le stelle, dopo il primo canto, finiscono in secondo piano. Già il 19° verso della cantica comunque pone una questione astronomica: “Lo bel pianeto che d’amar conforta [Venere] / faceva tutto rider l’oriente / velando i Pesci ch’erano in sua scorta” (Pg. I, 19-21). Tutti sappiamo quanto Venere sia luminosa ma di qui a sostenere che riesca a velare la costellazione ce ne corre! Si tratta di una iperbole poetica per indicare solamente che il pianeta si trova nei Pesci. Con un simulatore o con calcoli astronomici si può constatare che nell’aprile 1300 nei Pesci troviamo Marte, mentre Venere, a 36° di longitudine eclittica, è nel Toro e invisibile prima dell’alba. L’imprecisione astronomica mostra che Dante immagina concomitanze ideali, per esigenze allegoriche, conferendo al tempo stesso un’impressione di resoconto vero e proprio di un viaggio scandito nel tempo e nello spazio, con qualche licenza poetica ogni tanto, quando la simbologia lo richiede.

 


 

I sostenitori del 1301 come anno del viaggio possono mostrare che nella primavera di quell’anno, effettivamente Venere si trovava proprio nei Pesci e quindi visibile prima del mattino. La sua longitudine era di 344°, col Sole a 27°. Può al più questo passo addurre ulteriori dubbi sull’attendibilità delle effemeridi dantesche, fatte in prima persona o riprese da altri?

Riprendendo ancora una volta in esame le parole dell’amico Casella, incontrato all’inizio del Purgatorio, qualche sospetto ulteriore viene senz’altro. Le sue parole farebbero coincidere meglio la data del 25 marzo. Infatti se i tre mesi di cui parla si riferiscono all’inizio del Giubileo siamo a tre mesi esatti, se invece ci riferiamo alla bolla, del 22 febbraio, dovremmo essere al 22 maggio del 1299, il che è assolutamente fuori luogo. Si tratterebbe pertanto di una migliore concordanza sul giorno e mese e anno, ma non sull’evento pasquale.

Dante dopo avere visto i Pesci a Est volge lo sguardo a destra (cioè si rivolge a sud) e vede quattro stelle. Sicuramente si tratta di un’allegoria delle virtù cardinali (prudenza, fortezza, giustizia, temperanza). Inattendibile che si possa trattare della Croce del Sud, anche se Dante ne poteva aver avuto notizia da qualche viaggiatore. Oltre tutto le stelle costituiscono una graziosa costellazione per come sono state raggruppate, ma le componenti sono solo relativamente luminose: Acrux, la più brillante, è la tredicesima stella per luminosità. E’ tuttavia un’immagine suggestiva, tanto più che dice

«non viste mai fuor ch’a la prima gente» (Pg I, 27). Per effetto della precessione degli equinozi la Croce del Sud, infatti, in antichità era visibile anche dalla Toscana. Un ipotetico abitante che si fosse alzato di buon mattino di dicembre nel 2000 a.C. avrebbe potuto scorgere la Croce del Sud appena sopra l’orizzonte, mentre per Gerusalemme occorreva scorrere di meno indietro nel tempo! Era sufficiente l’XI secolo d.C.

Ma riprendiamo il viaggio. L’inizio del secondo canto è ancora una volta prettamente astronomico. In questo caso il Sole, l’aurora e la notte personificate servono per dare indicazioni orarie: “Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto / lo cui meridian cerchio coverchia / Ierusalem col suo più alto punto; / e la Notte, che opposita a lui cerchia, / uscìa di Gange fuor con le Bilance, / che le caggion di mano quando soverchia, / sì che le bianche e le vermiglie guance, / là dov’i’ era, de la bella Aurora, / per troppa etade divenivan rance.” (Pg II, 1-9). Tutta la locuzione è un po’ intricata ma cerchiamo di venirne a capo. Sono le ore 6:00 del mattino del 10 aprile. Ricordiamo che il Sole ha raggiunto una declinazione positiva, pertanto alle 6:00, anche se il panorama è dichiaratamente luminoso, per Dante che è nell’emisfero australe, il Sole non è ancora sorto da sotto l’orizzonte; approssimativamente è a

-2° di altezza ed è giunto all’orizzonte di quel meridiano che congiunge Gerusalemme col suo punto più alto, cioè lo zenit, mentre la Notte (personificata) che si muove dello stesso moto, ma diametralmente opposta al Sole, usciva dal Gange nel segno della Bilancia, che però le cascano di mano. Siccome il Gange era ritenuto 90° a est di Gerusalemme, quando il Sole è all’orizzonte di Gerusalemme e del Purgatorio la Notte sorge all’orizzonte est, esce cioè da Gange. Siamo appena oltre l’equinozio, quindi il Sole sta uscendo dall’Ariete per entrare in Toro, così come la Notte è congiunta con la Bilancia ma sta per lasciare il segno ed entrare in Scorpione. La notte lascia il segno della Bilancia così come una persona che le fa cadere dalle proprie mani. È questo il senso delle

«bilance che le caggion di mano».

L’immagine poetica dell’Aurora personificata appare molto più discutibile. L’orizzonte del primo mattino, prima rosso e poi bianco, non diventa arancione, caso mai è il contrario: prima è rosso, poi arancione ed infine bianco. In ogni caso è mattina presto. Sono passate 48 ore dalla partenza, ma per effetto del cambio di longitudine Dante e Virgilio hanno guadagnato 12 ore.

Passiamo al quarto canto dove troviamo un ulteriore controverso rimando astronomico: “Li occhi prima drizzai a bassi liti / poscia li alzai al Sole, e ammirava / che da sinistra n’eravam feriti” (Pg IV, 55-57). Dante nel primo canto racconta di aver visto Venere e i Pesci ed Est e poi quattro stelle a Sud. Per questo motivo si deve immaginare che l’uscita dalla Natural Burella alle falde della montagna del Purgatorio debba aver avuto luogo a Est, altrimenti la montagna stessa ne avrebbe impedito la vista. Oltre tutto, essendo Est il punto cardinale del sorgere appare anche allegoricamente logico pensare all’ascesa, alla purificazione, cominciando proprio da oriente. Così facendo però il passo citato appare controverso. L’ascesa della montagna verso il Paradiso Terrestre, posto sulla sommità, viene effettuata girandole intorno in senso orario o antiorario? I commentatori concordano su un percorso compiuto in senso antiorario. Siamo in tarda mattinata. Il Sole a sinistra («a sinistra n’eravam feriti») indica che i due poeti stanno procedendo verso Est-Sud-Est. All’alba di quel medesimo giorno Dante ha osservato a Sud quattro stelle. Ne consegue che nel frattempo ha effettuato una rotazione compresa fra 210° e 300° circa. Siccome sta camminando da meno di cinque ore e ha effettuato numerose soste per intrattenersi con le anime si dovrebbe supporre una montagna troppo piccola per accogliere tutte le anime in purificazione. Velocità supersoniche, mentre nell’Inferno si possono ancora sostenere, appaiono fuori da ogni logica nel Purgatorio, che nell’immaginazione di Dante, altro non è che la terra degli antipodi.

In teoria si potrebbe anche supporre che la montagna sia tanto alta sì, ma dal profilo molto affusolato, per cui anche ad essere alla base sul versante occidentale non sia impedita la vista di buona parte del cielo orientale. In tal caso avremmo una rotazione compresa fra 30° e 120° che è decisamente più ragionevole. Ma tale argomentazione a ben vedere non regge, per le motivazioni allegoriche dette sopra. Sembra molto più ragionevole immaginare una deviazione locale del cammino, come si conviene ad un sentiero tortuoso alpestre. Oppure ad un tragitto effettuato in senso orario. Che Dante rimarchi una sensazione temporanea dovuta ad una deviazione momentanea dalla traiettoria sembra un po’ strano. Forse, ancora una volta, c’è solamente l’intento di dare realismo al viaggio che sta intraprendendo.

Siamo intanto al mattino del 10 aprile (o 27 marzo, 2 aprile), con Dante e Virgilio in marcia da circa 50 ore.

Al XV canto un nuovo rimando: “Vespero là, e qui mezza notte era / e i raggi ne ferien per mezzo ‘l naso / perché per noi girato era sì ‘l monte / che già dritti andavamo inver l’occaso” (Pg XV, 6-9). I due poeti stanno procedendo verso Ovest. Rispetto al passo precedente hanno guadagnato quasi un intero giro poiché il viaggio in salita, per quanto tortuoso, è fatto a spirale.

Si può notare la “finezza” del verso che inverte il più ovvio dei sistemi di riferimento dicendo “per noi girato era sì ’l monte” anziché «avevamo girato il monte» o locuzioni simili.

Siamo arrivati al lunedì di Pasqua 11 aprile (28 marzo, 3 aprile), fra le 15:00 e le 18:00.

Si farà notte e poi il giorno seguente Dante e Virgilio si rialzeranno quando ormai è già mattina: “Sù mi levai, e tutti eran già pieni / de l’alto dì i giron del sacro monte, / e andavam col sol novo a le reni” (Pg XIX, 37-39). Rispetto a quattro canti prima non c’è un cambiamento sostanziale di posizione, a meno di non supporre ulteriori deviazioni locali, perché avendo il Sole del mattino alle spalle («a le reni») stanno ancora procedendo verso Ovest, anche se forse un lieve incremento si può intuire dal fatto che a mattina inoltrata il Sole, nell’emisfero australe, è già più spostato verso Nord. La giornata si conclude al canto ventisettesimo con i versi: “Dritta salia la via per entro ‘l sasso / verso tal parte ch’io toglieva i raggi / dinanzi a me del sol ch’era già basso. / E di pochi scaglion levammo i saggi / che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense, / sentimmo dietro e io e li miei saggi.” (Pg XVII, 64-69). Una perifrasi dei precedenti versi potrebbe suonare pressappoco: “La strada saliva diritta dentro la pietra [era scavata nella roccia] nella direzione verso cui facevo ombra del Sole che era già basso dietro a me. Avevamo fatto pochi scalini che ci accorgemmo che il Sole si era coricato dietro di me e degli altri poeti [in mia compagnia] per via dell’ombra che si era spenta”. Siamo al tramonto dell’11 aprile (oppure 28 marzo o 3 aprile 1301), terzo giorno di viaggio.

Due giorni dopo, a mezzogiorno, siamo ormai al 13 aprile di mercoledì dopo Pasqua (oppure 30 marzo 1301, ma che ancora non è Pasqua, o 5 aprile), Dante raggiunge il Paradiso Terrestre e di lì a poco sarà «puro e disposto a salire alle stelle». Ce lo dice lui stesso, ancora una volta con una perifrasi astronomica: “E più corusco e con più lenti passi, / teneva il Sole il cerchio di merigge” (Pg XXXIII 103-104). «Corusco» è un vocabolo che significa luminoso e i lenti passi sono un rimando ad un moto angolare apparentemente più lento effettuato in corrispondenza del cerchio meridiano. Tutto ciò, inequivocabilmente, indica che siamo a mezzogiorno. Di qui a poco Dante, privo dei peccati che tengono il corpo mortale piantato a terra, comincia ad ascendere al cielo. Tanto per continuare il gioco possiamo dire che Dante ascende ma a quanto pare non è toccato dall’aria. Egli infatti percepisce l’ascesa solo perché Beatrice, incontrata nel Paradiso Terrestre e che ha preso il ruolo di Virgilio come guida del poeta, a mano a mano che sale nei cieli diventa sempre più luminosa. Si può concludere allora che l’ascesa deve avvenire praticamente di moto rettilineo. Ovviamente questa è un’altra obiezione che anche alla luce delle conoscenze cosmologiche del tempo non potrebbe reggere, ma non vale la pena di perdersi in simili sottigliezze visto il nostro primario intendimento volto a dare indicazioni sul passaggio del tempo durante l’intero tragitto.

Entrati nella terza cantica i rimandi astronomici, sempre molto frequenti, diventano meno precisi per darci indicazioni temporali. Dante ormai è immerso fra i pianeti e le stelle e le indicazioni orarie vengono ad essere più vaghe.

Tutta l’iconografia è concorde su una rappresentazione nella quale Dio è posto perpendicolarmente sopra il Paradiso Terrestre e d’altra parte, abbiamo detto, Dante dovrebbe muoversi di moto rettilineo e forse anche uniforme. Questa concezione però non può reggere perché in alcuni casi, come vedremo tra breve, i richiami all’ecumene sono lampanti. Dal momento che nella concezione aristotelica la Terra è ferma, oltre che al centro, deve essere Dante a giragli intorno per arrivare dalle parti opposte, grosso modo, a dove si trovava quando ha cominciato ad ascendere.

La salita è immediata, pertanto l’ascesa avviene il 13 aprile a mezzogiorno: sono passati 5 giorni, oppure 126 ore circa da quando è partito. In questo stesso istante, poiché sopra il Paradiso Terrestre è mezzogiorno, sopra Gerusalemme, che è agli antipodi, è mezzanotte. Questo fatto sarà abbastanza importante per la cronologia successiva.

L’unico punto di tutto il Paradiso in cui l’ora è abbastanza chiara, si ha in: “Da l’ora ch’io avea guardato prima, i’ vidi mosso me per tutto l’arco / che fa dal mezzo al fine il primo clima; / sì ch’io vedea di là da Gade il varco / folle d’Ulisse, e di qua presso il lito / nel qual si fece Europa dolce carco. / E più mi fora discoverto il sito / di questa aiuola; ma ’l sol procedea / sotto i mie’ piedi un segno e più partito.” (Pd XXVII 79, 87). Dante ha abbandonato il moto rettilineo ed ha effettuato in cielo una rotazione di 90°. Ora può vedere il primo clima da metà fino alla fine. Sta ascendendo verso il Primo Mobile quindi il Sole è sotto i suoi piedi.

Questi versi mostrano però una difficoltà astronomica. Il Sole è nell’Ariete e da quella posizione, vista l’ora, non può illuminare la Fenicia, terra sui cui lidi fu rapita Europa.




Per risolvere la questione si prospettano due possibilità: o Dante con la locuzione “presso il lito” intende la Fenicia in maniera assai approssimativa; o Dante, non ricordando bene il mito citato da Ovidio, ha confuso il luogo di partenza con quello di arrivo (Creta) che è invece ancora in luce. In ogni caso fra Creta e la Fenicia si ha il terminatore. Poiché, approssimativamente, Creta ha una longitudine di 25° Est da Greenwich, mentre la Fenicia 36°, si deve dedurre che il Sole sta culminando sopra un meridiano di longitudine compresa fra 54° e 65° Ovest. Siamo dunque fra le 15:36 TU e le 16:20 TU. A Gerusalemme, che ha una longitudine praticamente coincidente con la Fenicia, siamo fra le 18:00 (inoltrate) e le 18:45 circa. Ma visto che l’ascesa dal Paradiso Terrestre è cominciata a mezzogiorno, dove a Gerusalemme era mezzanotte, sono passate altre 18 ore abbondanti. Dall’inizio del viaggio sono passate 144 ore, si sono conclusi 6 giorni e spiccioli e stiamo per entrare nel settimo giorno. Anzi, a dire il vero, quando Dante ripassa dall’emisfero australe verso quello boreale, sappiamo che cambia anche longitudine essendo dopo 27 canti sopra Cadice. Se dovesse essere passato sopra l’oceano Pacifico, dovrebbe cambiare anche giorno. Le 12 ore che ha guadagnato passando per l’Inferno le riperderebbe ora e sarebbe già in pieno settimo giorno.

Terminato il viaggio nella porzione fisica di cielo, troverà, dopo il Primo Mobile, la Candida Rosa ed arriverà finalmente alla visione dell’«Amor che move il Sole e l’altre stelle». Quanto duri questo lasso di tempo è impossibile desumerlo dall’opera. Volutamente Dante lascia ogni riferimento cronologico essendo entrato nella beatitudine eterna e senza tempo. Si può ipotizzare che il tutto si risolva in pochi minuti, giusto il tempo di far recitare a S. Bernardo la sua preghiera e poco più, facendo sì che il viaggio duri 6 giorni (abbondanti), come i giorni occorsi al Signore per portare a compimento la Creazione che, in qualche modo, Dante compendia. Oppure, più ragionevolmente, occorrerà una manciata di ore così da arrivare a 7 giorni ed avere una settimana piena. Oppure ancora, ma ci sembra la meno probabile, più di 24 ore così da intaccare anche l’ottavo giorno che veniva considerato, proprio come giorno in più rispetto ai giorni della settimana, come il giorno della pienezza dei tempi; da questo prendevano ispirazione anche gli architetti che spesso utilizzavano una pianta ottagonale per le chiese. Anche la costruenda cattedrale di S. Maria del Fiore, a parte le navate, ha una pianta ottagonale sopra l’altare, sul quale poi Brunelleschi isserà la sua magnifica cupola. Dante non poteva probabilmente nemmeno immaginare come sarebbe stata coperta la basilica ma l’impianto ottagonale è molto probabile che l’abbia visto, prima di essere esiliato.

Che dire dunque, giunti anche noi alla fine di questo viaggio. In base al solo testo non siamo in grado di stabilire altro che un limite inferiore alla durata del “tour” dantesco. Tale limite è pari a 144 ore, pari a 6 giorni, o se si preferisce, tenendo conto del cambio di fuso, a 6 giorni e mezzo dalla partenza. Il limite superiore potrebbe essere fissato in 7 oppure 8 giorni come abbiamo detto sopra. L’ipotesi più ragionevole è che tutto cominci l’8 aprile 1300 verso le 18:00 per terminare il 14, il 15 o al massimo il 16 aprile.

Abbiamo discusso sopra di possibili alternative. Comunque se il viaggio fosse cominciato il 25 marzo 1301 dovrebbe essersi concluso verso il 31 marzo e sostenendo la partenza al 31 marzo la conclusione è sempre verso il 6, 7 aprile.

Sarà occorso dell’altro tempo per ritornare con i piedi per terra? Certamente sì, ma questa è un’altra storia al di fuori della scansione temporale della Divina Commedia. Nel lasso di tempo del poema l’autore ha modo di vedere tutto l’Universo allora conosciuto, superando tutti in fantasia, visto che riesce nell’impresa di raggiungere l’esatto centro della Terra, impresa che anche Jules Verne negherà al professor Lidenbrock e compagni nel “Viaggio al centro della Terra”, non si limiterà a circumnavigare la Luna come i tre protagonisti, Ardan, Barbicane e Nicholl, di “Intorno alla Luna”, ma al contrario supererà tutti i cieli e squarcerà la sfera delle stelle fisse come il viandante protagonista de “L’atmosphere: météorologie populaire” di Camille Flammarion. Ma mentre il viandante è “fotografato” in quell’istante e nessuno ci dice se riesce ad andare avanti, Dante lo sopravanza “per giunger là dove nessuno è mai giunto prima” …meglio dell’astronave di Star Treck.

Il tempo trascorso è comunque sufficiente a fare nostre le perplessità di Venturino Camaiti che in occasione del VI centenario dalla morte di Dante compose delle poesiole in vernacolo fiorentino che facevano la parodia al sommo poema: “Mi permette? Dica. Se dormiva, parlava, camminava, insomma a pari nostro gli era vivo, alla latrina o a tavola un ci andava? Che Dante unn’era morto è positivo, ma se facea di corpo e se mangiava, ne domandi a i’ dDel Lungo: io non ci arrivo”.

 

Lorenzo Brandi

In occasione del Dantedì: 25 marzo 2021

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