DAL LIBRO I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA DEL FILOSOFO VLADIMIR S. SOLOVIEV

(edizioni LIPA Roma 1998 - pagg. 37 e 39)


     Riportiamo di seguito alcuni brani scritti dal filosofo Vladimir S. Soloviev (Mosca 1853-1900) sul tema, a noi caro, della “Preghiera”.

     Speriamo di fare cosa gradita, invitando, a meditare sulle parole di Soloviev, tutti gli ermetisti ed i lettori appassionati che seguono con affetto sincero il nostro blog sulla tradizione ermetica kremmerziana.

     Sulla scia della pubblicazione del Testamento spirituale di Salvatore Mergè, Maestro e fondatore della nostra Accademia ermetica, ultimo discepolo del Maestro Giuliano Kremmerz, siamo certi che le riflessioni di Soloviev sulla Preghiera e sul desiderio del BENE, possano contribuire ad un approccio autenticamente spirituale alla tradizione ermetica; riteniamo infatti che quello spirituale, sia l’unico approccio che consenta di penetrare, in spirito di Verità, nei misteri dell’ermetismo, e partire alla conquista dei segreti, che al pari di meravigliosi diademi, sono stati donati da uomini di luce, all’Umanità, per il suo riscatto dalla schiavitù del male, insito nella natura mista della stessa costituzione umana.

     Le parole di Soloviev, risuonano oggi ai nostri orecchi, dure come pietre, ma i nostri cuori, per quanto immersi nella mentalità dominante odierna, individualista e materialista, non possono non provare al loro cospetto, un sussulto di Gioia, riconoscendo il Sommo Bene che le ha ispirate. Non esiste volontà buona senza Dio, perché Dio è il Bene dell’umanità.

     Sono le parole del PADRE NOSTRO che hanno guidato il filosofo russo nello scrivere il testo da cui sono state estratte; mentre siamo assorti nella lettura, a quelle parole la nostra meditazione deve di continuo mirare, non perdendo mai di vista l’unica Volontà che possiede in sé anche ogni BENE, il vero Signore del Mondo, IL PANTOCRATORE, in nome del quale soltanto è giusto auspicare la riunificazione di tutti i cristiani, e non solo.

 

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DELLA PREGHIERA

Quando abbiamo provato nel cuore un'avversione verso il male, che domina nel mondo e in noi stessi; quando ci siamo sforzati di combattere questo male, e per esperienza ci siamo convinti dell'impotenza della nostra buona volontà, allora sorge per noi la necessità morale di cercare un'altra volontà, tale che non solo voglia il bene, ma anche lo possegga e per conseguenza possa comunicare anche a noi la forza del bene. Una tale volontà esiste, e prima che noi la rintracciamo, essa stessa ci ha già trovati. Essa rivela sé stessa alla nostra anima con la fede e ci unisce con sé nella preghiera.

Crediamo nel bene, ma sappiamo che in noi stessi il bene non c’è. Perciò dobbiamo rivolgerci al bene esistente, dobbiamo dare a lui la nostra volontà, offrirgli una vittima spirituale, cioè noi dobbiamo rivolgergli la nostra preghiera. Colui che non prega, cioè che non unisce la sua volontà alla volontà suprema, allora o non crede in questa volontà suprema, non crede nel bene, oppure considera se stesso possessore assoluto del bene, e la sua volontà come perfetta e onnipotente. Non credere nel bene equivale è la morte spirituale, e credere in sé stessi come sorgente del bene è follia. Credere nella fonte divina del bene, e pregarla, dandogli la propria volontà in tutto, è vera sapienza ed è il principio della perfezione morale.

Se veramente vogliamo una vita libera e perfetta, siamo tenuti a affidarci e darci a Colui che può liberarci dal male, e darci la forza del bene, a Colui che in eterno possiede la libertà e la perfezione.

Infatti la nostra anima è solamente capace di essere libera e perfetta, ma in sé stessa non possiede né libertà né perfezione, ha in sé unicamente la potenzialità per l'una e per l'altra. Questa possibilità verginale della nostra anima può divenire in noi la madre di una nuova vita felice. Per questo, cioè per la nascita reale di una nuova vita è necessaria l'azione di quello che in sé possiede un principio attivo creatore, o germe di questa nuova vita. La capacità divina di questa nostra anima, per non restare infeconda, ma divenire la madre (mater-materia) di una nuova vita spirituale che possa liberamente agire e creare, deve darsi al suo liberatore e signore, al Padre della nuova vita. Perciò il primo atto della fede, il primo atto della nuova vita spirituale, nella quale Dio agisce insieme con l'uomo, è la preghiera.

La fede senza opere è morta, e la preghiera è la prima opera e il principio di ogni vera azione. Credendo in Dio, noi dobbiamo credere che in Lui si trova tutto il bene pienamente e perfettamente, altrimenti egli non sarebbe Dio. E se tutto il bene realmente è in Dio, ne segue che da noi stessi non siamo in grado di compiere alcuna azione buona e vera: noi possiamo unicamente non opporci al bene o alla grazia che viene dall'alto, e con questa non opposizione, con questo consenso alla grazia, cooperare con essa. La grazia ci volge verso Dio, ed in ciò è riposta l'essenza della preghiera, che è già in certo qual modo un’opera vera e buona. Per essa noi agiamo in Dio, e Dio opera in noi.

Questo è già il principio di una nuova vita spirituale.

 

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Cosa significa desiderare Dio?

 

Quando noi nella nostra vita naturale desideriamo qualcosa per noi stessi, questo desiderio può essere di tre tipi: o noi desideriamo che qualcosa che ancora non esiste venga alla luce (come per esempio i genitori desiderano la nascita dei figli, gli artisti desiderano produrre le loro opere); oppure desideriamo che qualcosa di esistente, che non ci appartiene, diventi di nostra proprietà, o che la riceviamo come nostra (tali sono tutti i desideri dell'egoismo); o, infine, noi desideriamo cambiare ciò che è in noi o negli altri (tali sono tutti i desideri di miglioramento o perfezionamento). È chiaro che nessuno di questi desideri si applica a Dio in sé stesso, ma ognuno di essi si applica a Lui nelle sue relazioni con noi. Non possiamo desiderare Dio per noi come un oggetto qualsiasi: noi non possiamo desiderare che qualcosa di nuovo si compia in Dio stesso, essere perfettissimo, nel quale già tutto è perfetto: ma noi dobbiamo desiderare la nostra perfezione nell'unione con Dio.

Dio è eterno in sé stesso, ma noi dobbiamo desiderare che Egli cominci ad esistere per noi. Infatti, finché noi viviamo per la nostra volontà e per quella del mondo, Dio è per noi come se non esistesse.

Dio è l'essere Pantocratore, in sé tutto racchiude, e noi stessi apparteniamo a Lui. Ma noi dobbiamo appartenere a lui non solo in virtù della sua signoria, ma anche in nome della sua divina perfezione, per Lui stesso, come bene supremo, come unico bene; noi dobbiamo appartenergli liberamente e spontaneamente.

Dio è immutabile in sé, ma noi dobbiamo desiderare che Egli si muti per noi, vale a dire che noi ci mutiamo in modo conforme a Lui. Così da secoli eterni il sole immutabile riceve nuova forza per il cieco che riacquista la luce, perché il cieco si muta e riceve nuova forza, divenendo lui stesso un ricettacolo di luce.

Perciò, desiderando Dio, noi dobbiamo desiderare, in primo luogo ch'Egli si riveli a noi, e ci dica il suo nome: vale a dire che ci comunichi l'idea mediante la quale noi Lo conosciamo, e distinguiamo Lui da un altro essere. In secondo luogo, conoscendo Dio, noi dobbiamo realmente accettare la sua rivelazione e confessare il suo nome, perché è possibile, pur conoscendo Dio, non glorificarlo come tale (Rom., I, 21); ed in terzo luogo, conoscendo e confessandolo come tale, noi dobbiamo divenire conformi a Lui, affinché il suo nome sia santificato in noi: noi abbiamo già pregato, quando abbiamo detto: “Sia santificato il tuo nome”.

Ma se realmente desideriamo ciò, dobbiamo desiderare che Dio regni non solo nell'intimo del nostro cuore, ma anche in modo visibile; questo si avvererà quando non solo le singole anime ma tutte le creature si abbandoneranno nelle mani di Dio e formeranno realmente il suo regno. Un regno di Dio di tal fatta non esiste tuttora, ma credendo in Dio, noi speriamo nel trionfo dell'opera di Dio nel mondo. Noi preghiamo per questo visibile universale regno di Dio, quando diciamo: “venga il tuo regno!”.

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