La natura parla attraverso il silenzio, e però solo chi sa intendere questo può sperare di conoscere qualcuno dei segreti che esso custodisce nel suo seno.

Allorchè si è giunti a questa interpretazione sino al punto che il silenzio della natura diviene quasi assordante, mentre il rumore degli uomini non ci turba affatto, ci si avvede che non una delle infinite parvenze di cui si ammanta l’universo è senza significato.

L’uomo cammina nelle vie della terra come un essere che ad un certo punto della sua vita diventò per caso cieco. Egli non vede  più, ma ricorda talvolta che egli ha visto: e tanto più è in lui il ricordo del passato, tanto più è aderente la sua anima alla reale sostanza di ciò che invisibilmente gli si pone dinnanzi.

Non esiste alcun uomo il quale abbia tutto dimenticato e non «riconosca » nessun aspetto del mondo. Ma in verità l’uomo anziché eccitare la sua memoria e tentare in ogni modo di scendere nel cuore delle cose, tenta di dimenticare e di trasferire nella parvenza immediata il valore della realtà di cui intuisce la presenza ma a cui non può giungere senza uno sforzo dello spirito.

Data questa premessa, non meraviglia che l’interesse dell’uomo superiore – e che dovrebbe chiamarsi semplicemente uomo – sia rivolto precisamente a ciò a cui il restante degli uomini non dà alcuna importanza. Per l’uno tutto ciò che si tocca è ombra; per l’altro è cosa salda. Per l’uno le cose visibili non sono che la proiezione, ossia l’ombra, di cose invisibili; per l’altro quelle stesse ombre sono principio e fine: tutt’al più egli si limiterà a dare un futuro al di là della vita a ciò stesso a cui nega un principio prima della vita.

 

Se noi riuscissimo a conoscere la reale struttura di un fiore o di una pianta, saremmo vicini a conoscere la reale struttura di noi stessi e del nostro destino. Se noi conoscessimo con esattezza la legge a cui obbedisce la corolla di una rosa quando essa dispone in cerchio le sue foglie, non avremmo bisogno di volgere il capo in su per vedere le stelle, ma basterebbe che figgessimo in giù lo sguardo per ritrovare il firmamento.

Se noi riuscissimo a conoscere il segreto delle stagioni e a vedere dentro la terra così come vediamo sopra la terra, nel tempo stesso vedremmo chiaramente anche dentro di noi, e riconosceremmo senza esitazione che il sommovimento che muta sostanza alla terra è parallelo al sommovimento che muta sostanza in noi.

Essendo l’universo uno, monolitico, compatto, non c’è legge di un campo la quale non abbia l’equivalente in una legge di un altro campo. La fisica, la geometria, l’algebra sono scienze morali: e la forza di gravità prima di essere una forza agente nel campo della materia è una forza agente nel campo dell’anima.

Colui che studiando i fenomeni parventi non ne lascia una porta aperta al mistero, chiude la porta alla verità: scambiando per voce quella che è solamente eco. Colui che studiando un raggio di sole non riesce a vedere gli occhi di cui esso è uno sguardo, non ritroverà mai l’unità dei fenomeni ed invece di andare innanzi come lo scultore che di colpo in colpo di scalpello disseppellisce la statua, procede come un agente di polizia alla ricerca dell’autore di un delitto sempre in procinto d’essere afferrato e sempre inafferrabile, giacché invece di cercare di metter le mani sulla sua persona si tenta di arrestare l’orma dei suoi passi.

 

E’ degno di commiserazione, e di pietà, lo stato d’animo della grande maggioranza degli uomini i quali chiudono l’universo in due nette, ben delimitate regioni: una di fenomeni di cui essi conoscono le origini, cause ed effetti; un’altra di cui essi ignorano tutto. Da una parte il sole abbagliante; dall’altra una nebbia imperscrutabile. L’uomo è talmente convinto di avere completato l’inventario delle cose  create e dei fenomeni possibili, che ogni fenomeno appena appena esulante dal novero di quelli che già conosce – o, meglio, che crede di conoscere – è da lui relegato nel campo del miracolo, o della follia o della ciurmeria. Non avendo egli ali, manca poco che non consideri un affronto l’esistenza degli uccelli. Anche il concetto della divinità non è in lui meno puerile: da una parte la terra, dall’altra il cielo: da una parte il naturale, dall’altra il sovrannaturale: da una parte l’uomo, dall’altra Dio. Nessun contatto, nessun legame tra i due mondi e i due esseri.

Ed è perciò che della realtà tangibile l’uomo, che pur crede di conoscerla, ha una illusione di conoscenza. Tanto più illusoria quanto più si presume completa. In verità nel giudicare il mondo fisico l’uomo non si comporta diversamente di chi, conoscendo una sola lingua, volesse girare il mondo e pretendesse di esser compreso dappertutto, gratificando di « muti » gli uomini che gli parlano in una lingua diversa dalla sua. Ed è perciò che l’uomo, mentre crede di dominare il mondo è di continuo in balia del mondo medesimo il quale, essendo sorretto da una legge che egli ignora, continuamente smentisce le teorie, rompe le sue convinzioni, dirocca le sue costruzioni.

Se così non fosse, l’uomo saprebbe ad ogni istante che egli è lontano dalla realtà quanto il passante che mirando a sera la nebbia che sale dai fiumi, presumesse fissarla e si addormentasse nella certezza di ritrovarla là al mattino. Il saggio, al contrario, ben sa che la nebbia serale non è che la visibile sintesi della giornata umana la quale essendosi tutta esaurita tra fantasmi, si conclude col fantasma dei fantasmi, la nebbia che ottenebra la vista e non ha peso come non ha volto.

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