Vir sapiens dominabitur astris.


Il tempo è un modo sostanziale delle cose, una legge intrinseca dell’essere da cui non si può prescindere?

Ovvero è semplicemente un modo accidentale secondo il quale l’uomo è costretto a rappresentarsi le cose e gli eventi, i quali però, in se stessi, vanno pensati liberi dalla legge lineare e successiva del tempo?

Questo problema qui non lo porremo né dal punto di vista filosofico, né da quello della fisica di oggidì; ma invece quale l’impone una certa classe di fenomeni poco osservati e oggi piuttosto sporadici, ma non per questo meno reali. Intendiamo parlare dei fenomeni di previsione.

I quali si possono ordinare in tre classi:

  1. Si hanno anzitutto, sensazioni più o meno oscure di eventi imminenti, che nulla lascerebbe supporre.

Spesso queste sensazioni hanno un carattere premonitorio. Per es.: è accaduto ad un nostro amico di aver deciso la partenza per una città dell’alta Italia in un dato giorno e di essere stato presa da un impulso irresistibile ed inesplicabile a partire il giorno primo. Obbedisce, e nel viaggio avverte un vivo senso di angoscia che si risolve soltanto al passar oltre una certa città, presso alla quale il giorno dopo il treno con cui avrebbe dovuto partire ebbe uno scontro, in cui molti furono i morti e i feriti.

2. In secondo luogo, si hanno le predizioni. Dei soggetti, detti « lucidi », annunciano avvenimenti affatto improbabili o accidentali, che poi si producono davvero. Per es.: indicazione preventiva assolutamente esatta di chi, nella ressa di una folla che doveva occupare una sala di cinematografo, si trovò a sedere in un dato posto. Il calcolo statistico, rigorosamente applicato a predizioni del genere intenzionalmente provocate, si è dimostrato incapace a spiegarle, costatando un fattore irriducibile e irripugnabile di improbabilità.

3. In terzo luogo, vi sono vere e proprie pre-vegenze. Si tratta di uno stesso evento visto due volte, in modo assolutamente identico, nel presente e nel futuro. Per es.: uno di noi, ufficiale in zona di guerra, sognò di trovarsi a mensa una sera con un suo fratello, addetto ad un comando a Vicenza. Ad un tratto la luce si spegne per tre volte – segnale convenuto, ma da chi sognava affatto ignorato, dell’approssimarsi di aerei nemici. Fuga all’aperto verso un rifugio. Si attraversa una piazza, egualmente sconosciuta a chi sogna. Qualcuno urta il fratello che cade. Nell’oscurità, la persona in quistione lo aiuta a rialzarsi e riprende la corsa arrivando al rifugio mentre già risuonano le prime esplosioni. Il nostro amico, vivamente impressionato dal sogno, lo comunicò ai suoi camerati scrivendo anzi a Vicenza ad un conoscente, per informarsi se nulla era accaduto.

Non era accaduto nulla, ma qualche mese dopo, trovandosi egli una sera di passaggio a Vicenza per vedere suo fratello, con una assoluta coincidenza di dettagli, con la stessa identità di due proiezioni successive dello stesso film cinematografico, si svolse quanto aveva già sognato. Prima di vedere che possono dire codesti fenomeni circa la natura del tempo bisogna distinguere tre diverse concezioni del tempo stesso. Il tempo si può concepire:

a). Creativamente: un libero divenire, una corrente produce fatti, i quali prima non esistevano e che non obbediscono ad alcuna vera legge di necessità; l’ordine loro è il tempo.

b). Come un prodursi di eventi successivi, che però possono completamente spiegarsi in base a condizioni causali necessarie e sufficienti.

c). Come il semplice ordine irreversibile e lineare dei contenuti dell’esperienza umana.

Che i fenomeni di cui sopra, siano incompatibili con il primo concetto di tempo, è evidente: previsione implica predeterminazione, e la predeterminazione esclude la contingenza, propria a una libera spontaneità creativa.

- Che essi poi siano anche incompatibili con il secondo concetto, ciò dipende dalla possibilità di ricondurre, o meno, la previsione ad un sapere circa le cause, nelle quali si suppone risiedere in germe ciò che poi necessità vuole che si produca.

Vi è però da considerare che nei fenomeni di previsione non si ha una conoscenza delle cause, la cognizione non ha nulla di inferenziale e di intellettuale, come accade per esempio nelle previsioni della scienza; essa è invece data nella forma di una percezione più o meno diretta e nel terzo gruppo dei fenomeni considerati, appunto di una visione del fatto futuro. Tuttavia si potrebbe superare questa difficoltà concependo che l’avvenimento stia nelle cause allo stesso modo che l’idea di un edificio, che dovrà essere sicuramente costruito, sta nella mente del suo architetto; la previsione si spiegherebbe allora nei termini di una specie di percezione visualizzata di questa idea, avvenuta per contatto in sede supersensibile – quasi come, in piccolo, sul piano umano, uno per telepatia può percepire quel che una data persona ha in mente e si propone di attuare.

Bisogna tuttavia rendersi conto che, considerando così le cose, si può si continuare a dare al tempo un certo carattere di realtà, ma solo a patto di non assumere già da principio una posizione assolutamente deterministica, identificando il possibile al reale. Infatti una idea non si distingue dalla realtà che per il fatto di essere una « possibilità », ossia qualcosa che può anche non essere, che può realizzarsi ma anche non realizzarsi. Quando ciò non sia, fra la visione dell’idea (si tratta dell’idea-visione percepita nelle cause) e quella del fatto corrispondente non ci sarebbe differenza alcuna: sarebbe come se lo stesso fatto futuro fosse visto; fosse, cioè, presente. L’intervallo di divenire che separa il futuro dal presente sarebbe una pura illusione, un puro miraggio umano. Poiché il futuro non sarà: esso è già. Non meno che queste sarebbero le conseguenze qualora una preveggenza assoluta e inequivocabilmente provata fosse possibile in ogni caso.

L’uomo è un essere conoscente e a lui come tale le cose, quand’anche stessero per davvero così, per nulla dovrebbero creare turbamento; dovrebbero anche rallegrarlo, perché ne risulterebbe la superabilità della legge del tempo che limita il suo sguardo all’angusta prigione del presente e la possibilità sua di librarsi nel passato e nel futuro, in ciò partecipando quasi dell’omniscienza e della estratemporalità attribuite ad un occhio divino.

E’ il fascino del dono, o potere della conoscenza profetica, perché altro non sarebbe il nome di ciò che, sul piano iniziatico, corrisponde alla facoltà estranormale sporadica che agisce nei fenomeni volgari di preveggenza.

Se non che l’uomo, oltre che un essere che conosce, è anche, ed eminentemente, un essere che agisce. Da questo punto di vista le cose si complicano. Infatti alla realtà del tempo è connessa in buona misura la realtà della libertà e il valore dell’azione. Se ogni avvenimento futuro può esser conosciuto, ed anzi visto, ciò che vuol dire, per lo meno, che esso è predeterminato, mentre se la libertà esiste, nel futuro vi deve essere una indeterminazione, dipendente appunto dalla facoltà libera di scegliere e di agire, di far essere ciò che altrimenti non sarebbe o di non far essere ciò che altrimenti sarebbe. Tolta questa condizione, col vanificarsi della realtà del tempo e del divenire il tendere, l’agire, il combattere, il presunto creare o trasformare degli uomini sarebbero solo parvenze legate ad uno stato di ebbrezza e di illusione dinanzi ad una specie di spazio assoluto, dinanzi ad un mondo di cose e di eventi che né furono, né saranno, né mai cesseranno di essere, ma semplicemente SONO, invariabili.

Ognuno vede la gravità della quistione e l’opportunità di saggiare bene tutti i dati che possono portare a deciderla. E ciò non è facile. Gli uomini non amano credere quel che non fa loro piacere e sono propensi a dare ai loro sentimenti e ai loro pregiudizi un primato naturale sui fatti. Per cui, nel caso in discorso, molti « ragionano » così:« Abbiamo il senso della libertà, dunque non è possibile che vi sia davvero visione nel futuro ». « L’uomo deve essere moralmente responsabile, quindi il futuro non può (leggi:non ha il permesso di essere predeterminato) ». Ma la realtà non si cura dei sentimenti e dei desideri degli uomini; però non dalle proprie impressioni e dal « dover essere », ma dai dati dell’esperienza va giudicato ciò che è. Solo dopo aver fissato con sguardo calmo ciò che è si può far intervenire l’azione, al fine di mutare quel che eventualmente può esser mutato.

Ciò premesso, esaminiamo da presso le tre classi in cui abbiamo raggruppato i fenomeni in quistione. E’ facile rilevare che la prima, quella riguardante le premonizioni e i presentimenti veridici, lascia di fatto un buon margine alla libertà. In molti casi, questi moniti venuti all’uomo per via estranormale gli danno modo di regolarsi di fronte ad eventi , che altrimenti interverrebbero bruti e fatali – e il caso citato del viaggio provvidenzialmente anticipato in seguito ad un presentimento mostra chiaramente questa possibilità.

Passando alle altre due classi, la difficoltà si fa più grave. Tuttavia si può avanzare una pregiudiziale generica. Vi sono indubbiamente previsioni esatte; ma ve ne sono altre, e numerose, a cui i fatti non hanno corrisposto. Bisogna interpretare ciò come il semplice errore di una imperfetta facoltà dei soggetti, ammettendo dunque che quel che è stato previsto in modo sbagliato poteva però, in via di principio, esser anche previsto in modo giusto? Questa è una interpretazione possibile; ma ve ne è anche un’altra: si può cioè ritenere che molte delle previsioni « errate » fossero state « vere » in un primo momento, cioè corrispondenti ad un concerto di cause (eventualmente con pre-visualizzazione dei loro effetti) più probabile e tale quindi, che in via normale avrebbe senz’altro prodotto quel fatto; e « false » siano divenute, quelle previsioni, solo in un secondo tempo, per l’intervento o il risveglio imprevedibile di altre cause.

Ammettendo questa veduta, vi è di nuovo un margine per la libertà. E se sia così, in certi casi lo si potrebbe verificare in via perfino sperimentale. Perfino nel caso limite che si tratti non di predizione, ma di pre-visione, cioè dell’evento futuro non annunciato ma visto in precedenza, con me stesso agente così e così, bisognerebbe che al momento dell’avvenire del fatto io fossi colto da una specie di amnesia totale, tanto da seguire automaticamente il corso delle cose. Ma se invece ci si ricordasse subito e si sapesse: « Ecco che accade proprio ciò che ho visto », in molti casi si potrebbe anche intervenire e tentare di determinare un corso diverso di cose. E quando ciò riuscisse, per esser dimostrato, anche se in piccolo, il potere di far divenire « falsa » la previsione, verrebbe evitata la tesi dell’assolutc fatalismo (1) – (Bisogna tutta via considerare dei casi nei quali proprio ciò che si fa per scongiurare una data profezia può condurre a realizzarla; vi alludono vari racconti o leggende antiche, la più nota delle quali è quella di Edipo. Tutta via ciò non è il caso sopra considerato, che presuppone la conoscenza nel momento dell’avvenire del fatto previsto).

Vi sono poi altri casi da considerare: quelli in cui l’evento è stato possibile prevederlo non perché esso doveva necessariamente accadere, ma viceversa: è il fatto di averlo prevenuto che lo ha determinato rendendo dunque vera la previsione stessa. In un ambito banale, ciò si verifica non di rado sulla semplice base della suggestione. Avendo posto fede cieca in chi ha fama di prevedere il futuro, quante sono le persone che, suggestionandosi, sono andate a far vere le cose predette?

Ma la cosa può verificarsi in un ambito assai più vasto ed importante. In certi casi la previsione, invece di un vedere, è un vero e proprio atto predeterminante, è un porre le cause per l’evento in questione. Ciò cade naturalmente fuori dal campo della vita ordinaria attuale, rientra già nella sfera di una certa magia. Ci limitiamo a riferire un solo esempio, quello degli auspici e degli auguri che ebbero una così grande parte nell’antica vita romana. Risulta in modo indubbio da varie testimonianze che il procedimento degli auspici e degli auguri ebbe spesso il significato di un rito di predeterminazione magica: non si tratta di veder prima certi avvenimenti fatali, bensì di determinare prima certi avvenimenti fatali.

In molti altri casi, è vero, non si tratta di ciò; ma in ordine ad essi non bisogna dimenticare quale era lo scopo, in genere, dell’antica arte romana degli auguri: non era l’annunciare in anticipo, quasi per soddisfare una vana curiosità, ciò che in ogni caso doveva accadere, bensì l’indicare un insieme di circostanze e di congiunture per tenerne conto, per orientare in modo opportuno, efficace e felice (termine tecnico specificamente romano) l’azione. Quest’azione, perciò, la si riteneva possibile e reale, e solo per questo – per uno scopo pratico – i Romani, fino ai capi a ai duci, davano tanta importanza agli auspici (2) – (In modo particolarmente netto ciò appare nell’arte oracolare cinese che si lega all’ Y-king. Qui l’oracolo indica non fatti, ma situazioni in movimento, germi di fatti, al fine di tenerne conto e di agire utilmente, prima che ciò che è possibile si faccia reale e s’imponga in un’unica direzione.).

Per usare una imagine moderna, i responsi indicavano situazioni analoghe a quelle che una stazione meteorologica può far conoscere a chi ha l’intenzione di compiere una scalata alpina: certe condizioni atmosferiche sono previste, propizie o non propizie (« fauste » o « infauste », secondo l’antica terminologia) con carattere oggettivo, indipendente dallo scalatore. A lui il tenerne o no conto. (3) – (La situazione, in fondo, non è diversa per i dati dell’astrologia la quale rientra nello stesso tipo di scienze e pone parimenti il problema della misura, in cui il futuro sia predeterminato. Infatti una massima ben nota in astrologia è: astra inclinant non determinant, il che equivale a dire che sono predeterminate le linee dell’accadere più probabile, senza che – in via di principio – debba assolutamente escludersi la possibilità di un intervento « deflettente » ).

Queste considerazioni portano a indicare i limiti che, anche per chi ne sostiene la realtà, debbonsi porre al concetto di libertà. Qui si può far valere ciò che da vari ricercatori moderni è stato constatato positivamente, e ciò che l’avverarsi delle predizioni ha tanto più un carattere preciso, per quanto più esse riguardano avvenimenti esterni, o collettivi, o legati a passioni e ad interessi materiali, o, infine, per osare questo termine, che in vero non dice molto, « fortuiti ». Ora, è evidente che non si deve cercare la libertà là dove – almeno finché si è soltanto uomini – non si può trovarla. Esiste evidentemente una sfera soggetta alla fatalità o alla contingenza che dir si voglia, sfera accettata in toto da ognuno nello stesso momento che si assume la condizione umana – allo stesso modo che si accettano tutti i rischi e le contingenze del mare una volta che ci si sia decisi per un viaggio marittimo e ci si trovi ormai su di una nave. Così nessun uomo penserà sensatamente a rivendicare una libertà e il potere di mutare le cose, ad esempio, rispetto al morire o meno, all’essere soggetti alle malattie, al trovarsi nel luogo in cui cade un fulmine, o avviene un terremoto, o si accende una guerra, e via dicendo. Son tutte cose comprese, in genere, nell’avventura umana o, se si preferisce, terrestre. E che in questo campo siano possibili delle previsioni, ciò non ha nulla di strano. Nel riguardo, la quistione della libertà passa, se mai, al piano trascendentale, come accenneremo più sotto.

In secondo luogo, nella grandissima maggioranza gli uomini risultano talmente composti da abitudini , appetiti, istinti e reazioni fisse, essi sono talmente servi delle cose e di loro stessi, che sorprendente sarebbe non che vi sia, bensì che non vi sia prevedibilità del loro futuro. Conoscendo il cosi detto « carattere » di una persona, si conosce già approssimativamente che cosa essa farà in date circostanze. E poiché molte delle circostanze dipendono egualmente poco da essa, così tutti gli elementi per una predeterminazione sono virtualmente presenti. In effetti, in molti casi la facoltà delle previsioni è quella di leggere nell’anima di un altro, in quella zona profonda e sotterranea in cui vivono desideri segreti e inconfessati, e forze che possono sfuggire del tutto alla propria coscienza ordinaria ma che, nel punto giusto, sortiranno i loro effetti. (4) – (Così, nelle ricerche moderne, vi è chi ha voluto spiegare i fenomeni di preveggenza su base « psicanalitica », cioè facendo ricorso al subcosciente dei soggetti, ai quali la previsione si riferisce. Ciò in alcuni casi sarebbe legittimo, qualora la psicanalisi avesse una qualche nozione di quel che è effettivamente il « subcosciente »).

Qui si vede che, prima di domandarsi se si è liberi di fronte ad avvenimenti che avverranno o meno nel futuro, bisognerebbe chiedersi se si è liberi di fronte a se stessi, ed in quale misura. Anche a tale riguardo si dovrebbero evitare le impostazioni astratte dei problemi in termini di semplici alternative e porre il problema della libertà con riguardo ai singoli casi e ai singoli piani e, inoltre, passare dal campo teoretico a quello pratico non domandando: « Siamo liberi o no?» Bensì: « Si può divenire liberi, in che misura e come?».

Il problema della libertà rispetto a sé stessi, e non al regno della necessità naturale che ci circonda, è complesso. Volendosi attenere ai dati sperimentali in fatto di fenomeni di previsione, risulta un carattere di semplice probabilità quando le previsioni riguardano un piano di vita profonda, un ordine di decisioni serie e gravi in cui tutta la persona sia impegnata. Dal punto di vista umano, ciò direbbe di un certo margine di indeterminazione, che sarà tanto più vasto per quanto più decisioni del genere sarà un essere che domina sé stesso a prenderle.

Ma da un punto di vista superiore non ci si può arrestare qui, perché entra in questione il problema metafisico della predeterminazione di sé stessi. Nessuno nasce infatti senza una certa preformazione, e secondo la dottrina esoterica essa non è casuale né ristretta ai semplici fattori biologici ed ereditari; né più casuale è il nascere in un dato luogo, in una data razza, in una data epoca e via dicendo. Ciò, evidentemente, ha relazione con la dottrina della preesistenza dell’anima (da non confondere con l’errore della reincarnazione). Questa dottrina, che ha carattere iniziatico e fu nota tanto in Oriente quanto nell’antico Occidente, vuole non solo che l’Io preesista all’individualità umana, ma che sia lui a determinare la natura e il significato generale della sua manifestazione terrestre, cioè, insomma, la particolare vita che andrà a vivere. Come avvenga una tale determinazione, in che misura vi sia, in essa, libertà in senso assoluto, ciò qui lo si può lasciare indeciso, già per la ragione che il problema, di nuovo, può esser diverso caso per caso. Certo è che vi è un dato momento, posto fuor dal tempo, in cui l’Io è il signore della nascita; in quel punto si definisce ciò che nella tradizione indù si chiama il « corpo causale » e che nell’Occidente antico si chiama il « demone »(in una speciale accezione di questo termine), il quale condensa, per così dire, l’elemento « fatale » e prenatale in base al quale si dispiegherà una particolare esistenza finita. Da qui sorge nuova luce su ciò che, in molti casi, rende possibile i fenomeni di preveggenza.

Ora, se l’uomo vive la vita che, in sede adeguata, l’Io sia scelta, o è stato portato a scegliere, si vede che la tesi della libertà può esser giusta quanto quella della necessità, a seconda del punto di vista. Se si assume il punto di vista semplicemente umano, che si può chiamare quello dell’Io individuato, in opposto a quello dell’Io individuante, bisogna far entrare in linea di conto il fatto che nella quasi totalità dei casi la forza, per così dire strumentale, che determina la nascita e come un substrato profondo continua ad agire nella vita che ne sorge, é il desiderio. Il desiderio è l’opposto dello stato « fermo» di essere e di conoscenza è un tendere ad altro, da altro essendo mossi, un passare da un oggetto all’altro, da uno stato all’altro nel segno di un esser attratti (e di un identificarsi) o di un esser respinti. Non altra è l’origine e il fondo ultimo dell’esperienza umana del tempo: per un essere che non volesse, che non tendesse, che non desiderasse, (non solo nel senso comune soggettivo, ma nel senso più profondo e metafisico) non vi sarebbe esperienza del tempo o, almeno, come si dirà, sarebbe l’esperienza di un tempo diverso. E’ per essere assunte nel conato profondo della vita che le cose assumono aspetto di temporalità, sono cose situate nel tempo e il mondo stesso appare come un divenire: al modo stesso che a chi si trova in un treno in corsa la campagna sembra correre e trasmutare in vari paesaggi successivi.

Appare così che il tempo non è un modo sostanziale delle cose. Esso interviene necessariamente, ed impone la sua legge, solo sul piano di una data forma di esperienza definita dal « desiderio ». E quando è sulla base di quest’ultima che si attuano le varie potenzialità della vita che si è scelta, non solo il senso di essa  sfugge, ma, in effetti, tutto si svolge come in uno stato di sogno o in uno stato sonnambolico. Solo in rari casi questo stato si interromperà, in momenti di visione e di ricordo, solo nei quali l’Io riprende la sua funzione attiva di centro, di colui che sovrasta e dirige gli elementi fatali della sua vita terrena.

In relazione alla capacità di alcuni uomini eccezionali di intuire lucidamente ciò che accadrà scegliendo con esattezza la direzione efficace che, per così dire, trasporterà con se un insieme di circostanze, il Mereshkowskij, nel suo libro su Napoleone, ha usato un’espressione assai felice, anche senza rendersi conto di tutto il suo significato: ha parlato di un ricordarsi del futuro. Non si saprebbe esprimere in modo migliore il senso di quei momenti di risveglio nei quali nell’Io riemerge lo stato del « signore della nascita », il soggetto della libertà trascendentale.

Una tale prospettiva si amplifica sulla via dell’iniziazione e dell’alta ascesi, questa non potendo non essere che la vita di cui si produce una tal quale eterizzazione della coscienza. Là dove sia convenientemente rimosso lo stato-base di « desiderio » è dunque l’oggetto da oggetto di un tendere si purifichi in un oggetto di contemplazione, deve naturalmente seguire, almeno in un certo grado, il superamento della condizione temporale, la liberazione di sé e dell’oggetto e quindi la possibilità di cogliere sinteticamente, e nella sintesi del suo significato profondo, ciò che alla coscienza comune apparirebbe disposto analiticamente lungo la serie temporale, come una semplice sequenza di « fatti », di eventi più o meno subiti e di confusi atti di « volontà ».

Là dove gli orizzonti così si rischiarino ed un occhio non semplicemente umano dunque si dischiuda, non è detto che sia la fine di una vita e la fine di un’azione. E’ più tosto il momento in cui si può essere supremamente attivi e realizzare l’esperienza umana proprio secondo il fine per cui la si è voluta, senza confusione della parte rappresentata con l’attore che l’esegue, né di colui che agisce con l’Io distaccato che, senza agire, dirige l’azione (il purusha, secondo la terminologia del Sâmkhya). (5) – (Con riferimento a ciò si ha l’espressione iniziatica, ben facile ha capire: « colui che non ha più un demone ».)

L’esperienza del tempo assume essa stessa un’altra qualità, potremmo dire che essa passa ad un’altra dimensione. Non si tratta più del tempo « cronologico »né del « divenire » o « fluire », ma di un tempo, diciamo così, ritmico, non indifferente a quanto vi si svolge ma tale da darlo nei termini di uno sviluppo organico, nel quale un intimo nesso di significato connette l’Io e la sua esperienza, dandone i singoli contenuti come le parti integranti di un tutto che, insomma, è il senso di quella vita.

Per poco che si rifletta, apparirà chiaro come le cose, in un simile caso, stiano, quanto alla prevedibilità di ciò che ancora non è; sarà facile vedere che qui la prevedibilità non pregiudica la libertà, ma proprio il contrario (6), – (Chi però guardasse solo l’esteriorità, potrebbe talvolta avere l’impressione dell’opposto, perché in una vita integrata tutto ciò che è casuale, accidentale ed arbitrario e che come tale potrebbe lasciar margine ad una libertà più o meno significante e illusoria viene gradatamente ridotto, ed ogni cosa appare seguire una sua logica, obbedire a una legge, avere un suo senso: come nello sviluppo di una composizione musicale, ove ogni elemento particolare, comprese le apparenti dissonanze e le variazioni, riconverge in vario modo nello sviluppo complessivo.), nel senso che l’Io diviene centrale rispetto alle cause di ciò che avverrà.

Ma volendo pensare fino in fondo il problema, ci si può chiedere se qui sia dato o no il potere, malgrado tutto, di far si che il futuro sia in un modo anziché in un altro. In via assoluta, si deve rispondere di si; ciò dal punto di vista dell’Io nell’esperienza terrena equivarrebbe, è vero, più o meno ad un mettersi in contraddizione con se stessi, a volere d’un tratto altra cosa di ciò che si è voluto, quasi come chi, avendo cominciato a tessere un dato tessuto, ad un dato momento smettesse, oppure ne incominciasse uno affatto diverso. Ma, sempre in assoluto, non si vede che cosa impedirebbe un Io « distaccato » di contraddirsi, se lo vuole. Ma questo è un limite teoretico, e non ha senso farlo entrare praticamente in linea di conto. L’incoerenza, che si può incontrare – e allora la si incontra fin troppo spesso – riguarda un piano affatto inferiore; è ad essa che, di massima, si riduce la « libertà » nella vita comune, usata per disgregarla e privarla di ogni senso profondo nei limiti, in cui il mondo della necessità lo consente (7) – (Si può accennare che su questa via si è determinato lo stato dell’uomo moderno, che di massima non sa più né ciò che è, né ciò che vuole, né il senso di ciò che fa, perché la sua unita interna si è dissolta in forze contrastanti e contraddittorie, per angusta che pur sia la loro sfera d’azione rispetto ai fattori « fatali »che, in tal caso, agiscono in sede di determinismo, di bruta necessità. ).

Riassumendo: circa il tempo, nella conoscenza suprema non può esservi certo tempo. Gli eventi, in essa, non « divengono », ma SONO. Ciò, pertanto, in ordine al loro essere eventi in genere, e non eventi che riguardino la vita di un dato soggetto agente. Da questo secondo punto di vista essi sono semplici possibilità, delle quali si attualizzano solo quelle che l’Io elegge e vuole nell’assumere una data forma e un dato destino, e l’ordine di questa attualizzazione costituisce appunto una serie temporale, o attivamente, o passivamente vissuta. Nell’un caso come nell’altro, il tempo avrà sempre un carattere relativo. Così, delle tre concezione del tempo indicate al principio di questo scritto, sia dal punto di vista comune umano, sia da quello eccezionale di chi si è fatto il soggetto attivo del proprio destino, appare giusta la terza: il tempo è una semplice forma dell’esperienza terrestre e non ha fondamento nel mondo della Realtà.

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