Il Risveglio accende risveglio. Come rialza le cose cadute nello spazio in primi baleni di «figure» e di «segnature»; così pure esso desta l’azione e ne forma il « Rito ».

Conosci la magia del Rito come un prolungamento naturale di quella dell’Immagine. Se le « figure » sono arresti sottili delle forze invisibili e lucenti che si oggettivano nelle cose fisiche e le muovono e le mantengono; e se, in te, accoglierle è una rapidità senza tempo atta a fissare la forma del movimento loro prima che essa si traduca nella lingua dei tuoi sensi animali; nel rito però, tu ti congiungi a questo stesso movimento e lo animi e lo prolunghi nello stesso suo atto: sia pure per trasfondergli la luce della stessa tua liberazione, sia, formandosi in te una nuova causa, per agire sulle correnti e sui turbini delle « figure », a fine di congrue reazioni.

Conoscenza della Luce eterea, anima psichicità della natura, luce-vita, spirito-materia, interiorità-esteriorità – in ciò intendi la condizione prima. Per esaltazione di ebbrezza, per violenza, per disperazione, o per assoluta superiorità, occorre che fra la trama delle cose e degli esseri « morti » questa Luce a te sia apparsa sì che tu nello spirito sappi evocarla. E se in essa si accende, si forma, si satura l’atto del rito, ecco che invisibilmente simboli viventi, dèi, possanze gloriose e senza numero si muoveranno e si incroceranno in alto e un equilibrio si scioglierà, un altro si ricomporrà e si fisserà, rigorosamente ritmato sulla forma e sulla forza dell’atto stesso.

Quando il gesto è « realizzato », esso è realtà. Questa è la legge. E della « realizzazione », a sua volta, la Luce eterea è la chiave come ora ti dirò.

Quando il desiderio o la volontà tua giungono ad una forza estrema, sono legati ad una rappresentazione intensa, che è l’idea della realizzazione o del movimento e, nel contempo, già un abbozzo, una incipienza  effettiva di questo stesso movimento in cui essa tende a tradursi.

Il mago si svincola e più in alto sale, e sospendendo la sensibilità periferica, isolandosi in estasi attiva dal corpo e quindi dall’esterno, vede luce. Al contatto con questa luce la rappresentazione giunge ad una supersaturazione dell’impulso dinamico, congiunta ad un senso assoluto, irrefragabile, fatale, di certezza.

Nel gesto rituale allora l’impulso si fa atto, si proietta in atto, e suggella testimonia compie questa certezza, inserendola, imponendola sull’esterno. Esso lancia una forza all’esterno, attraverso un mediatore che non conosce la legge dello spazio e della resistenza, forza o massa materiale. Allora la realizzazione prende luogo: tu vedrai in obbedienza silenziosa ed invisibile l’esteriorità muoversi, la reazione prodursi. 
Come della magia dell’immagine, così anche dell’azione rituale sappi che la « similarità » è il cardine: il rito esprimendo nel veicolo di più complessi nodi di forze fluidiche lo stesso atto dello spirito, che nella magia mentale agisce sulla « figura » degli elementi o sulla rappresentazione analogica dell’evento. Perciò, anzitutto, devi evocare e plasmare simpaticamente nella mente esaltata la forma di ciò su cui vuoi agire, sino a che per induzione condotto ad uno stato di rapporto col suo spirito astrale, tu possa imporre il comando.

Pensa, per un’analogia, a quelle esperienze elettromagnetiche, ove si constata che in un circuito scarico convenientemente disposto si induce una corrente improvvisa, nell’istante che un altro circuito, distinto e lontano, si chiude. La corrente principale, quella che anima questo circuito, puoi pensare che raffiguri il desiderio che via via satura l’immagine fino a che, nel gesto rituale, avviene il lampo, la liberazione dell’atto, e in questo istante di luce-evidenza la forza si proietta in quell’altro circuito in sintonia, che qui è la stessa « figura » occulta della cosa. Epperò in questa balenando il comando, non più nella tua sola mente, una congrua realizzazione discende sul piano reale ed oggettivo.

Per divenire padrone delle forma, che si fanno servire al proprio volere, occorre dunque che tu sappia penetrare nel « pensiero » che le produce, ed impadronirtene. Occorre che tu sappia evocare. Evocare uno spirito – dice Eliphas Levi – significa entrare nel pensiero dominante di questo spirito, fissato dalle « figure », dalle « segnature » e dai pentacoli; e se, sulla stessa linea, sai elevarti più in alto, trascinerai con te questo spirito ed egli ti servirà. Nel caso contrario però, sarà lui a trascinarti nel suo cerchio, e sarai tu a servirlo: anche senza accorgertene.

« Il simile produce il simile ». « Evoca ». « Per produrre un effetto, imitalo »: comprendi dunque il perché della sterminata varietà dei riti che nei popoli selvaggi obbedisce a questi principi della magia « omeopatica » o « simpatica ». E sarai vicino a sapere quanto spesso superstizione non vi sia, se non in quelli che qui non san parlare che di superstizione. E’ che nello stato di magica esaltazione, o ebbrezza, o di violento desiderio, la legge di separazione  fra me e non-me interrompendosi, la sensazione, il movimento si proiettano ed operano fulminei come forze della realtà istessa, o degli altri, su cui si vibri la tua magia. L’immagine dà  vita al rito; il rito, a sua volta, reagisce sull’immagine, l’accende, la esprime, ne moltiplica la luce e l’occulta potenza.  Ecco dunque i riti di imitazione – punti d’appoggio per l’evocazione e la fissazione nel fuoco mentale, e sembra per la proiezione; e così tu odi di chi, in tempi arcaici o ancor oggi i popoli lontani, scioglie nodi e soffia, per scatenar il vento; chi versa acqua per invocar la pioggia, o si bagna, come l’arida terra chiede le acque dall’alto; e lampi e tuoni imitarsi ad arte per attrarre la procella; ed ascesi esteriori – su alberi, su pali, su gradini, - per base di acese trascendenti; e maschere che, portate, identificano a l’ente che esse raffigurano e mettono in contatto con la forza sua; e la danza selvaggia delle femine, per l’animazione e l’irresistibile forza degli uomini lontani in guerra; e attraverso le grandi luci delle stagioni, l’orgia e lo stupro a sfrenare ed eccitare le oscure possanze di crescenza, onde messi rigogliose scaturiscono; e nel sacrificio cruento invocare il mistico potere che strappa alla vita animale e consacra nell’immortalità; e ancora, non remoti ma prossimi, vedrai maghi creare nella cera le effigi di quelli su cui vogliono operare, e su esse ritualmente vibrare il loro atto di morte o di vita o di incantamento; o essi stessi drammatizzare ciò che altri per magica forza farà; e scagliar pietre, o sputo, per disciogliersi da stanchezza, terrore o affanno; e la spada impugnare contro l’invisibile, che nessuna punta mai raggiunse; e lentamente piegar legno, sino allo schianto per la loro volontà di distruzione, fissata nel fuoco mentale su persone o cose. E la voce, come espressione, essendo già, eminentemente, rito, udrai della magia del Verbo: di parole sacre che ti darebbero il potere sugli elementi, sulle città, sugli iddii; di nomi occulti, a cui è legata l’anima stesa di chi li porta, come la fiamma a legno. Un senso solo, in tutto questo: gesto-espressione evocatorio che forma e magnetizza l’imagine nella Luce – e la proietta all’esterno.

Vedi, allora, uno sfondo palesarsi, sul quale la piccola figura dell’uomo getta ombre gigantesche. Ecco dal risibile dramma, con cui egli ritrae i grandi fenomeni della natura in radura  di foresta, in deserta landa, sulla spiaggia spazzata dal vento, in chiarità alpestre o in luogo sotterraneo, da un tale risibile dramma promanano irresistibili forze di simpatia, che centro ne fanno,  e pernio, di un dramma cosmico. Il rito trae l’azione dall’infinito e all’infinito la protende: nella Luce eterea, che le dà resurrezione, essa si libera dall’umano, diviene brivido che serpeggia per le membra dell’Uomo Cosmico, e le muove.

In tutto questo, adunque, conosci l’esaltazione sino all’estasi di luce, come condizione. Dorme, il Rito, prima di allora. E se tu sprechi in esso, e non sai che esso è magia solo come veicolo-espressione di uno stato di verità – di « fede », se preferisci – ossia: di un senso di poter fare, di sentire che ciò che deve essere non « deve » essere, ma E’; se tu speri e operi non sapendo questo, non realizzando questo – e per realizzarlo il contatto è necessario – non sarai che un illuso per ridicola superstizione.

Molto minore « fissità » dell’anima e delle potenze sue rispetto al corpo fisico, con relativa molto maggior facilità di isolarlo; preponderanza quasi esclusiva dell’immaginazione sulla cerebrazione in frange di interferenza naturale fra interiore ed esteriore, fra io e natura; e suggestionabilità, profonda selvaggia violenza di desiderio e di emozione – tellurica, più che ancora umana – per questi elementi della psiche primitiva quasi in via spontanea i riti aprivano vie e irradiavano di magico potere; e per essi stessi retrocede, invece, in un mito, un tale potere, presso la pallida vita dei moderni « civilizzati ».

Altra via, invece, ti è tanto vicina – o lontana – oggi, quanto ieri: la via, dico, ove è la sola forza secca dell’alto, il Sole iniziatico, ad accendere la materia (l’uomo) e ad animare in Mercurio e le membra del rito.

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